Paul
Richardson, firma del Financial Times, sostiene che nessuna capitale europea
ha, come Lisbona,un equilibrio perfetto fra amore delle tradizioni e voglia di
adeguarsi ai tempi. Tre musei ne sono l’espressione evidente.
Caffetteria del Museu do Fado |
Il
più recente è il Lisboa Story Centre, aperto due mesi fa in Praça do Commercio,
per ridare vita a una zona un po’ dimenticata dai percorsi della movida.
Racconta la storia della città con
ricostruzioni, audiovisivi, interattività, tanto da aver preferito la
denominazione di Centro. Una tappa più adatta a una scolaresca che a un
viaggiatore intellettualmente curioso? Ci si ricrede vedendo l’architettura
elegante delle sale e l’ottimo livello del film, con effetto sensurround, sul
terremoto che distrusse Lisbona nel 1755. Una visita da completare con una sopa
o un piatto di bacalhau nel vicino Café Martino de Arcada, uno dei locali
preferiti da Pessoa. Come segnala un tavolo con i suoi libri e il suo cappello.
Museu do Design e da Moda |
Il
Museo del Fado in Largo de Chafariz de Dentro è una tappa obbligata per capire la saudade e il lato cupo
dei portoghesi. Ricavato nell’ex centrale del latte nel 1998 raccoglie pezzi
appartenuti a famosi “fadisti”, foto, manifesti,chitarre a 12 corde e vecchi
vinili. Da non mancare lo shop, con libri curiosi, anelli con azulejos, scialli
di seta dipinti a mano.Piacevole la caffetteria.
Il
Mude, Museu do design e da moda,
raccoglie oggetti di
design, mobili, abiti e accessori dai primi del 900 a oggi. Affascinante
l’ambiente, una vecchia banca in Rua Augusta, in cui sono stati tolti marmi e
preziosi rivestimenti e il cemento è a vista. Non c’è un’esposizione
permanente, ma i pezzi, che fanno parte di un’enorme collezione, ruotano
continuamente. Oggetti preziosi si alternano ad altri di uso comune. Dalla
sedia di Oscar Niemeyer del 1971 alla macchina da cucire Fisher Mewa. Dallo
stivaletto di Azzedine Alaya del 1998 all’abito di Zandra Rhodes del 1960. Dal
cappotto tutto zip di Jean Paul Gaultier a un curioso “Bar sur patins” di Paul
Dupré-Lafon del 1937.
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