mercoledì 29 ottobre 2025

SPAZIO PADRONE

Sembra un’ovvietà, eppure nessuno lo fa rimarcare. La scultura deve vivere nella presenza dello spazio.  Deve dialogare con ciò che le sta intorno. Un concetto interessante che è emerso nell’incontro di ieri alla Paula Seegy Gallery di Milano. A farlo notare è stata Maria Cristina Carlini artista, ma soprattutto scultrice. Di cui sono esposte in galleria, dal 25 settembre all’8 novembre, alcune opere.





Motivo dell’incontro estemporaneo la presentazione dei suoi "tirage de luxe" con il critico e curatore Matteo Galbiati. Si tratta di quaderni con le foto delle opere in mostra e in fondo una piccola opera in tiratura limitata di 20 esemplari, realizzata a tecnica mista con interventi in oro, che può essere lasciata nel catalogo o incorniciata e appesa. Un’occasione per dialogare con l’artista sulla sua attività e sulla mostra in corso Maria Cristina Carlini. Material, Composition, Architecture. Ed è per questo che rispondendo alle domande di Galbiati, che ha definito dedizione, vocazione e tenacia le caratteristiche del suo lavoro, Carlini ha parlato del dialogo con la materia. “La scultura vive la difficoltà della materia”, “Lo scultore deve pensare alla terza dimensione”. Ha quindi parlato dell’obbligo per l’artista di rispettare e assecondare la materia, la terra in particolare che è viva. Ma anche la ceramica con cui Carlini ha iniziato il suo percorso artistico. “Si deve tenere conto di quattro elementi che sono l’acqua, il fuoco, l’aria, la terra”. Interessante venire a sapere come la materia possa condizionare ma anche guidare l’artista. “L’ispirazione non so casa sia” ha detto. Una frase davvero apprezzabile in un’artista del suo livello, soprattutto in un mondo dove sembra che non si possa disegnare neanche una scarpa o una T-shirt senza l’ispirazione con la I maiuscola.  L'artista ha quindi parlato dello spazio che agisce sulla scultura, mettendo in evidenza come sia impegnativo quando non si conosce il luogo dove la scultura sarà collocata, indipendentemente dalle sue dimensioni. Una serie di concetti e commenti che contribuiscono ad apprezzare maggiormente le opere. Dalle sperimentazioni con materiali diversi, come corteccia, legno, cartone, ai paesaggi dell’anima Omaggio a Kiefer, alle immaginarie architetture.

martedì 28 ottobre 2025

PROFESSIONE CRITIC0

Non capita di frequente vedere una mostra sull’attività di un critico d’arte. Sembra quasi un paradosso. Certo può interessare gli addetti ai lavori, studenti e docenti d’arte, critici stessi e artisti.  Ma si ha qualche dubbio sul fatto che possa essere attraente per un visitatore comune. E invece Enrico Crispolti. La critica in atto al Museo del Novecento di Milano, dal 24 ottobre, non solo incuriosisce e stimola un pubblico vario e non specializzato, ma è l’inizio di un ciclo espositivo che il museo dedica a critici, curatori e storici dell’arte “che hanno contribuito a orientare letture, linguaggi e correnti dell’arte contemporanea”. 




Curata da Luca Pietro Nicoletti in collaborazione con l’Archivio Crispolti, attraverso libri, foto, scritti, critiche su giornali e riviste, ricostruisce un periodo artistico che va dai primi del 900 fino al 2018, anno della morte di Crispolti. Un archivio che non è solo di conservazione ma di divulgazione e quindi attivo. Il percorso espositivo si divide in sezioni che più che seguire una cronologia seguono dei temi. La prima parte dal 1951 e racconta il critico giovanissimo (era nato nel 1933, al centro Crispolti nel 1975) e la sua formazione universitaria alla Sapienza di Roma, prosegue con i suoi studi su vari artisti contemporanei, l’interesse per la Pop Art e il tema dell’arte nello spazio. Una seconda sezione vede Crispolti docente universitario, prima a Salerno poi a Siena, la sua partecipazione alla Biennale di Venezia per tre edizioni, le retrospettive dedicate a Burri, Cagli, Fontana e Magritte che lui vede come un precursore della Pop Art. Con il tema Volterra ’73 prende forma l’interesse sociale e politico, con studi sul rapporto tra arte, spazio urbano, lavoro. Una sezione documenta il suo impegno di curatore per tre anni per la Biennale di Venezia, l’interesse per l’arte ambientale e la grafica, per cui progetta cataloghi, libri, manifesti. Fino ad arrivare alla mostra sul futuro alla Mole Antonelliana di Torino del 1980, "che prelude alle mostre immersive contemporanee" (foto in basso). Ad accompagnare il visitatore registrazioni audio, libri digitalizzati, filmati storici accessibili tramite QR code. Di Silvana Editoriale il catalogo che raccoglie saggi, documenti e fotografie. La mostra, davvero incuriosente e piena di stimoli grazie anche a un coinvolgente allestimento, chiude l’11 gennaio.     

lunedì 27 ottobre 2025

SOGNI? DESIDERI? REALTA'

 “I sogni son desideri…” è scritto tra i bozzetti di Gaia Lucchini esposti al FLA FlavioLucchini Art Museum di Milano. Nel mitico film d’animazione di Walt Disney era l’esortazione di Cenerentola agli amati animali di non smettere mai di sognare. Perché a volte i sogni si avverano. Così è stato per Gaia e la prova è da vedere nella piccola mostra, aperta fino al 23 dicembre, in una delle sale dell’enorme museo ricavato nel rifugio antiaereo dell’ex fabbrica ora Superstudio Più, dove sono esposti più di 700 lavori di Flavio Lucchini, art director e creatore di Amica, Vogue Italia, Donna ecc. 





Sono tre abiti originali e disegni di abiti, di cui svariati utilizzati per spettacoli teatrali. Soprattutto i bozzetti, nella loro varietà, tracciano bene la figura di Gaia, figlia d’arte al 100% (Il padre è Flavio Lucchini, la madre è Gisella Borioli, giornalista pluridirettore e insieme fondatori dei quattro Superstudio) ma soprattutto il suo talento e la sua variegata formazione.  Appassionata di ballo e ballerina lei stessa, dopo gli studi di danza e coreutica contemporanea tra Milano e Parigi, prosegue con studi d’arte a Providence e di fashion design a New York. Da anni vive a Dubai, dove con il suo brand Miss Gaja crea i costumi dei musical più famosi in scena all’American School of Dubai. Ma anche abiti "da sogno" per balli importanti. Come i due esposti, uno nero, l’altro bianco. Tra i bozzetti, tutti indossati, i pezzi più evocativi, appena usciti da una fiaba non ancora raccontata. Come quelli con frange che ricordano la leggerezza trasparente della medusa, o  l’abito veramente da sirena, piuttosto che un ondeggiare di fasce bianche e nere intorno a un lungo tubino per una “zebra couture”. Ma anche “a sorpresa “il classico abito scuro maschile.

sabato 25 ottobre 2025

CREATIVITA' IN DIALOGO

 Si è aperta oggi, al Museo del Tessuto di Prato, Azzedine Alaïa e Cristòbal Balenciaga. Scultori della forma. Cosa accomuna questi due grandi couturier, oltre la capacità di scolpire il tessuto e quindi il corpo femminile, come dice il titolo? Molto di più. Entrambi stranieri, uno tunisino, l’altro spagnolo, hanno iniziato la loro attività a Parigi diventando vere icone della moda francese. Tanto che Hubert de Givenchy li considerava i talenti che meglio hanno segnato la storia della moda, mettendo insieme tecnica e arte. E la mostra nasce dal suo desiderio di riunirli in un’unica esposizione. Che arriva al Museo del Tessuto in occasione del suo cinquantesimo anniversario. Una collaborazione della Fondazione del museo con la Fondazione Azzedine Alaïa di Parigi, presieduta da Carla Sozzani, e i Balenciaga Archives di Parigi. Con il patrocinio dell’Ambasciata di Francia e curata da Olivier Saillard, storico della moda e designer. 





L’allestimento mette ben in risalto la creatività dei due couturier, il loro aver anticipato i tempi, ma soprattutto la capacità di valorizzare il corpo femminile.  Per quanto sia ben evidenziato lo studio dei tessuti e le tecniche sartoriali, la mostra non è solo per addetti ai lavori, ma riesce ad avere un taglio quasi spettacolare. A cominciare dalla prima stanza con un fasciante abito di Alaïa e un lungo da sera Haute Couture di Balenciaga al centro e, sulle pareti, dodici disegni originali di Balenciaga, per la prima volta in Italia, alcuni con le foto dei capi indossati, e un video di Alaïa nel suo atélier (foto sopra). Quindi il percorso, non cronologico, continua con tre sezioni, dove si affiancano le creazioni dei due.  Nella prima Atélier Tailleur capi più strutturati come abiti-redingote, giacche, tailleur, dove velluto e tessuti jacquard sono protagonisti. Nella seconda, Atélier Flou ci sono gli abiti da cocktail, da gran sera, ma anche da giorno. Taffetà, raso, e il famoso "gazar", rigido ma non troppo, sono in primo piano come drappeggi e scolli particolari. Terzo settore Spagna, dove i capi strizzano l’occhio al flamenco e ai toreador, e merletto “guipure” e pizzi Chantilly si sposano con pelle ricamata, traforata, impreziosita da perline e strass. Per arrivare alla mostra, passaggio obbligato e piacevolissimo nelle sale dell’esposizione permanente del Museo, molto ben organizzata, con una notevole e interessante collezione-spiegazione sugli "stracci riciclati" per diventare filati. Consigliato, anzi obbligatorio, uno sguardo al cortile con la grande vasca-fontana dove venivano lavati gli stracci e allo shop fornitissimo di libri e di oggetti intriganti. La mostra chiude il 3 maggio 2026.    

martedì 21 ottobre 2025

FOTO SPONTANEE DEL REGNO ANIMALE

Animal Kingdom Candids s’intitola la mostra fotografica con asta, il 30 ottobre al 3° piano della Throckmorton Fine Art di New York.  I soggetti sono animali di ogni tipo, anche se il weimaraner di Wegman sulla locandina potrebbe far pensare a una limitazione a quelli domestici e addomesticabili.  Ma non è la particolarità dell’evento. Lo è la sua finalità e la storia che ha dietro. E’ infatti organizzato da una fondazione che si prende cura degli animali nell’isola greca di Amorgos. A cui è devoluto il ricavato dell’asta oltre il ticket d’ingresso di 25 dollari.



    
 
                                                                                   
 

La sua origine data agli anni 80, quando una psicanalista italiana, che vive a New York, in navigazione nelle Cicladi con il marito, per un guasto del traghetto fu costretta a sbarcare su un’isola, bellissima e senza turismo, appunto Amorgos. In giro vide cani, gatti, cavalli in condizioni disastrose e nessuno che potesse curarli. Da quel momento iniziò una raccolta fondi per far andare due volte la settimana un veterinario sull’isola.  Incominciò a costruire rifugi fino a creare una fondazione di cui l’asta è una delle forme di finanziamento. Le foto in mostra, dove il fil rouge del curioso e dell’humour sono dominanti, sono di importanti fotografi, per la maggior parte americani, tra cui William Wegman, noto per i suoi straordinari scatti con i weimaraner, conosciuti anche come cani grigi di Saint Louis. Tra i non americani, l'italiana  Giovanna Dal Magro, ritrattista e fotografa d’arte, architettura, viaggi, grande appassionata di animali, capace di dialogare con tigri e leoni, come con cani o gatti. Sue un pavone con la ruota filtrata dalla luce, un cigno simile a una porcellana, un tenero levriero tra le statuette di monaci indiani e un pitbull dietro le sbarre, che Dal Magro assicura essere stato dolce e disponibile, a dispetto della fama della sua razza. 

venerdì 17 ottobre 2025

QUEL FATIDICO QUARTO D'ORA

E’ così piacevole, ben studiato, interessante, pieno di spunti il Vitra Design Museum di Basilea, che qualsiasi mostra è un’occasione da prendere al volo per visitarlo. Non è così per Catwalk: The art of the Fashion Show, da ieri fino al 15 febbraio. Perché sarebbe un’attrazione in qualsiasi location. Non solo per l’unicità, dato che parla di moda, non riferendosi a uno stilista o a una maison, come varie mostre in giro. Ma perché parla della sfilata e della sua storia come fenomeno di costume: "quindici minuti di cui le immagini fanno il giro del mondo". Mettendo in evidenza le connessioni nel tempo con l’arte, la musica, lo spettacolo, l’architettura. 






Il percorso espositivo si snoda in diversi saloni. S’incomincia dagli inizi del 900, con foto di Charles Frederick Worth che per primo ha mostrato alle sue clienti i capi indossati da modelle e non su manichini. O di Gabrielle Chanel che faceva scendere da una scala con specchi le indossatrici, "embrione" di una sfilata. O le bambole vestite di tutto punto in fil di ferro o quelle più realistiche dell’archivio di Balenciaga. Si prosegue con le prime sfilate dagli anni 50 in poi. A Parigi si sfila al Café de Flore o alla Brasserie Lipp. Accanto all’alta moda arriva il prêt-à porter. Kenzo trasforma le sfilate in feste, dove le modelle si muovono a ritmo di musica. Per Missoni una piscina di Milano diventa passerella. Fino ad arrivare alle top model con le quattro bellissime di Versace e alla sfilata spettacolo con folto pubblico, musica, applausi. Foto, ma soprattutto video e gli abiti sui manichini ricordano i casi più clamorosi.  Alexander Mac Queen fa dipingere un abito sulla modella da due robot (foto in basso). Chanel trasforma il Grand Palais in un supermercato o nella pista di lancio di un'astronave (foto in alto). Le location sono sempre più ricercate e a sorpresa. Un parcheggio e un ospedale in disuso per Martin Margiela, intorno alla Fontana di Trevi per Fendi. Alessandro Michele per Gucci ripropone il Cyborg Manifesto in una finta sala operatoria con la modella che in mano tiene la propria testa, riportata anche in manichino (foto al centro). Louis Vuitton costruisce un’incredibile passerella nel cortile del Louvre (foto al centro). La creatività è dappertutto, persino negli inviti di cui molti esposti. Non si arresta neppure con la pandemia. Ed ecco nella quarta sala la collezione in miniatura di Dior in una casa di bambole. O un video in cui Balenciaga fa scendere in passerella i suoi capi sui Simpsons. Prada fa sfilare l’uomo in ambienti rivestiti di tessuti di vario tipo e colore, poi dati alle scuole di moda per i saggi degli studenti. Tutto questo si ritrova nel catalogo, trattato come un vocabolario con le parole chiave delle sfilate. Da Azzedine Alaya e Backstage a Yves Saint Laurent e Zenith (sala di concerto alla Villette di Parigi dove Thierry Mugler ha sfilato varie volte), passando per Front Row, dove non poteva mancare la foto della "dea della prima fila" Anna Wintour (Il diavolo che veste Prada, direttore di Vogue America), Set Design e Mary Quant.

martedì 14 ottobre 2025

UN RACCONTO FATTO AD ARTE

Si chiama Bice Lazzari. I linguaggi del suo tempo, la mostra che si apre il 16 ottobre nel settecentesco Palazzo Citterio di Milano. Un titolo perfetto per presentare le opere di un’artista che ha lavorato con tutti i linguaggi possibili, confrontandoli, affiancandoli, mixandoli. Nata nel 1900 e morta nel 1981, Lazzari ha attraversato quasi l’intero secolo “lasciando un segno profondo e inconfondibile”.  Non a caso è stata l’unica donna inclusa nella mostra Kandinsky e l’avventura astratta alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia del 2003.   




Conosciuta forse più all’estero che in Italia, delle oltre 110 sue opere esposte svariate provengono dalla Phillips Collectiondal National Museum Women di Washington e dal Salamon R.Guggenheim Museum di New York. Femminista, "di un femminismo non di prassi ma concreto, lontano dal clamore del femminismo di strada" come ha detto Renato Miracco, che ha curato magistralmente la retrospettiva. La mostra mette ben in evidenza i passaggi dell’artista dall’arte, nei suoi vari linguaggi, fino all’arte applicata. Dalla tempera alla matita su tempera, fino al mosaico (foto al centro), moltissime le tecniche usate. Lo studio della materia è stato per Lazzari importantissimo e molti quadri lo rivelano.  Per mantenersi ha lavorato come artigiana disegnando stoffe al telaio, vetri, decorazioni di ambienti, borse. Giò Ponti le affidò la realizzazione dei tessuti per i suoi arredamenti. Ha decorato gli interni del transatlantico Raffaello. Anche la musica entra nelle sue opere. Con studi al Conservatorio di Venezia, era ossessionata dal bianco e nero dei tasti del pianoforte. E anche le partiture fanno parte di una serie di quadri che chiama Colonna sonora. Ma non sono titoli, sono solo dei nomi per "catalogare" lavori che utilizzano la stessa tecnica. Interessante ed evidente, come ha fatto notare Miracco, la circolarità della sua arte. Nelle opere degli ultimi anni si ritrovano gli stessi spunti ed elementi di quelle degli anni Venti. In un autoritratto o in una natura morta si individuano linee di riferimento uguali a quelle della pittura astratta. Notevole la ricerca dei colori, perfino nelle opere degli ultimi tempi, realizzate quando la malattia l’aveva resa cieca.  La mostra, che chiude il 7 gennaio, è al primo piano, da dove è possibile vedere  Fiumana di Pelizza da Volpedo, studio del più noto Quarto Stato, in un confronto a sorpresa con un’opera astratta di Bice Lazzari negli stessi colori.  Una piccola, ma ulteriore prova di un allestimento d’eccezione.

domenica 12 ottobre 2025

AMORE HORROR

Per quanto il tema della violenza contro le donne sia affrontato spesso con eventi e manifestazioni (il 25 novembre si celebra la giornata internazionale della donna),i casi di stupri, violenze,  uccisioni, nelle strade e in famiglia, continuano a riempire le cronache. E’ quindi giustissimo, anzi doveroso parlarne. Il teatro in questo gioca un ruolo importante. Ne è un ottimo esempio Amori Rubati, uno spettacolo "modulabile", la cui sesta edizione è andata in scena l’11 e il 12 ottobre al Teatro Gerolamo di Milano.  



E’ tratto dalla raccolta di racconti L’amore rubato di Dacia Maraini, da lei stessa adattati per il palcoscenico. Si compone di due monologhi diretti e interpretati da Viola Graziosi (foto in basso)e da Federica Di Martino, che ne ha curato anche il progetto. Il primo monologo, dal racconto Cronaca di una violenza di gruppo s’intitola Francesca, tredicenne protagonista di una storia realmente accaduta. In scena Federica Di Martino che, cambiando solo il cappello, diventa di volta in volta il prete che trova la ragazzina sanguinante sulla strada, due degli stupratori suoi compagni di scuola, il preside che, nuovo Ponzio Pilato, preferisce ignorare la cosa, e il padre forse la figura più commuovente nella sua incapacità di dare un senso alla cosa. Tutti, anche chi mente come i ragazzini, contribuiscono a tracciare il ritratto della vittima, creatura fragile, rovinata per sempre, nel suo inguaribile dolore. Nel secondo monologo da Anna e il moro, Viola Graziosi è una bella donna in abito elegante che dialoga con la figlia, appunto Anna, all’inizio esultante per aver coronato il sogno di diventare attrice. Non la si vede ma si sente il suo entusiasmo, come quando poco dopo racconta di avere trovato l’amore della sua vita, appunto il moro, un cantante rock di successo più grande di lei. La mamma ha subito dei dubbi, confermati quando viene a conoscerlo, educato, gentile, ma sfuggente e distaccato. Cerca inutilmente di mettere in guardia la figlia, “troppo innamorata” per darle ascolto. Incominciano così i maltrattamenti, dapprima mascherati come risultato di cadute, poi sempre più forti fino ad arrivare al coma e alla morte.  Anche questa ispirata a una storia vera accaduta a Parigi. Bravissime le attrici a far rivivere con le voci, ma anche con i movimenti ben studiati, i due casi. Nessun eccesso, nessun compiacimento da melodramma, ma solo il racconto dei fatti. Attraverso i personaggi coinvolti per Di Martino, attraverso il ritratto della madre impossibilitata a intervenire per Graziosi.

venerdì 10 ottobre 2025

SI', VIAGGIARE

E’ uscito Poesia in viaggio. Una vita. 1959-2025 di Angelo Tondini Quarenghi, giornalista, scrittore, fotografo con un archivio di un milione di foto e ventisette pubblicazioni in Italia e all’estero: saggi, kaiku, racconti, epigrammi. 



Un libro difficile da definire. Anche se sono 600 pagine con 1200 componimenti, per la maggior parte poesie, non è una raccolta di poesie. Non si può considerare un libro di viaggio perché, anche se parla dei 171 Paesi che l’autore ha visitato in 65 anni, appunto dal 1959 al 2025, e sono suddivisi scrupolosamente per continenti con una parte iniziale dedicata all’Italia, non dà indicazioni sui luoghi. Non è certo un romanzo, perché non c’è una storia, una trama, dei personaggi. Anche se oltre all’autore ce ne sono a centinaia coinvolti direttamente, descritti, accennati, immaginati. Quello che è lo dice la copertina, non tanto le due fotografie, che comunque  raccontano il "saper vedere" di Tondini, quanto quella frase in basso “Il viaggiatore trova quello che non cerca. Il turista cerca quello che non trova”. In ogni poesia, perfino in ogni haiku, in ogni riflessione,  si racconta il mondo. Attraverso piccoli particolari, dettagli, l‘incontro  con una persona, i contrattempi, anche i commenti negativi. Si passa da un ricordo buffo a un’emozione, da una delusione alla constatazione di contrasti, da immagini di storia antica che rivivono ai controsensi in un aeroporto affollato o all’ossessione dei selfie, una delle "piaghe" dell’overtourism. Lo humour e il sentimentale, il critico e il divertito si intrecciano in un mix che, pur non essendo mai didascalico, fa venir voglia di viaggiare. In un certo modo, però. Il libro è edito da Underdog
      

giovedì 9 ottobre 2025

UN VIAGGIO NELL' OCCULTO

Fata Morgana: memorie dall’invisibile, titolo incuriosente per una mostra che soddisfa in pieno le aspettative.  Ideata e prodotta dalla Fondazione Trussardi, a Palazzo Morando di Milano, è curata da Massimiliano Gioni, curatore ormai "storico” della Fondazione, con la collaborazione di Daniel Birnbaum e Marta Papini. La scelta del luogo è determinante, non solo perché è un museo di Costume Moda Immagine. Come hanno detto Beatrice Trussardi, presidente della Fondazione, e Gianfranco Maraniello, direttore del Polo Museale Moderno e Contemporaneo di Milano, è un edificio dove l’arte contemporanea dialoga con l’architettura, la storia, la memoria. Ma soprattutto perché Palazzo Morando è stata la residenza (donata al Comune di Milano) della Contessa Lydia Caprara Morando Attendolo Bolognini, appassionata di occultismo, con una cospicua biblioteca di libri su spiritismo, alchimia, sonnambulismo, ora conservati nell’Archivio Storico Civico e nella Biblioteca Trivulziana a Milano. 





Il titolo della mostra Fata Morgana è quello di un poema pubblicato dal francese André Breton nel 1940, un viaggio tra “zone d’ombra” dove storia, arte e misticismo si intrecciano.  Distribuiti al pianterreno e tra la collezione permanente al primo piano, dipinti, sculture, documenti, installazioni, video, foto che raccontano lo spiritismo e la sua nascita a metà 800 e l’occulto in tutte le sue forme. Coinvolte figure eccentriche, medium, malati di mente, artisti, per la maggior parte donne e femministe. Tra le più presenti le opere della pittrice svedese Hilma Klint, frutto di un linguaggio sovrannaturale che "anticipa l’astrattismo di Kandinsky e Mondrian". Non potevano mancare Carol Rama con le creature dalle grandi labbra rosse o Man Ray con il metronomo con occhio o Rosemarie Trockel con l’inquietante neonato nella carrozzina. O ancora Chiara Fumai, scomparsa nel 2017 a soli 39 anni, di cui un'opera è nel manifesto della mostra (foto al centro) o
 Andra Ursuta romena, classe 1979, con i nudi tra simbolismo oscuro e humour nero (foto in alto).  Meno conosciuti Fleury Joseph Crépin definito artista autodidatta, idraulico, musicista, rabdomante, guaritore o Giuseppe Versino  con i suoi capi e accessori creati intrecciando fili presi da stracci (foto in basso). Un primo esempio di moda sostenibile, confezionato nell’Ospedale Psichiatrico di Collegno, dove fu internato per anni. La mostra, aperta oggi, chiude il 30 novembre. Unico neo i testi espografici ottimamente compilati, ma mal collegati alle opere.

mercoledì 8 ottobre 2025

UNA HUB TUTTA PER SE'

Uno spazio aperto al pubblico dove vedere mostre di artisti affermati ed emergenti, acquistare accessori o pezzi di design con una storia da raccontare. Dove assistere alla presentazione di un libro o anche stare seduti su un divano o una poltrona vintage, di modernariato o Luigi XVI, per scambiare due chiacchiere o sfogliare un volume sul teatro, piuttosto che sull’arte o su cucine speciali. Il tutto con sottofondo di musiche scelte. Esiste ed è a Nardò, piccola città vicina a Lecce, famosa per le sue spiagge. In un palazzo dei primi 900, appena fuori dal centro storico. E’ stato inaugurato a fine settembre ed è già diventato un “indirizzo deputato” e non solo per i pugliesi.

 





Si chiama Voiceat Space, un nome che rimanda a una linea di borse con un discorso dietro, create da Annalaura Giannelli avvocato, scrittrice, ma soprattutto brillante imprenditrice con molte idee e progetti, che è riuscita a mettere in atto nel giro di poco tempo. E questo "hub culturale", come lei stessa lo definisce, la rappresenta in pieno. A cominciare dalla intelligente ristrutturazione di 150 metri quadri che, da anonimo deposito sono diventati un locale davvero accogliente. Si entra passando da un grande portone di legno a cui segue una porta a vetri che dà luce e visibilità al locale, caratterizzato da arcate contornate da mattoni e da un pavimento bianco per enfatizzare quella famosa luce salentina. In fondo, inaspettato, un piccolo ma godibilissimo giardino, con un vecchio limone e delle palme Cycas. Disseminati qua e là, sempre a formare degli angoli attraenti, poltroncine e divanetti Luigi XVI,  una consolle veneziana, un comò 800. In una libreria libri che parlano della Puglia, sul teatro, l’arte, la storia, la gastronomia. E poi le famose borse Voiceat, dalle shopper alle tracolle con le diverse riproduzioni di dipinti intriganti e anche le mantelle. Che raccontano il progetto Voiceat, una collezione che vuole dare voce alle donne maltrattate. In un  dialogo, senza competizione, borse vintage, dal secchiello di Chanel alla borsa classica di Ferragamo, alla pochette di Gianni Versace anni 80. Appese o sui tavoli le opere in mostra. Dopo le iperrealiste zebre di Vito Distante da qualche giorno alle pareti ci sono gli affascinanti animali post cubisti dell’ artista francese Etiennette Johan, posate sui tavolini e su piedistalli le flessuose "sculture con anima" di Dario Tarantino (nella foto con le sue opere). Lo spazio è aperto da lunedì pomeriggio a sabato, dalle 10 alle 13 e dalle 17 alle 20,30. E Annalaura Giannelli è sempre presente, pronta a raccontarvi del suo progetto e di molto altro.

 

venerdì 3 ottobre 2025

LE GIOIE DELLA VITA

Fa piacere vedere come il gioiello si possa rinnovare, specie se l’elemento in più non è la preziosità dei materiali, pietre o metalli, ma il contributo di creatività. E’ il caso dei gioielli scultorei di Rossella Taffa, in mostra fino al 5 ottobre allo Spazio Brera Statuto 12, a Milano. Realizzati in bronzo e in argento, alcuni pezzi unici, colpiscono per le forme, dove il movimento è sempre  presente. 



Ecco, per esempio, l’anello in bronzo dorato con uno slancio che ricorda una spirale (a destra). O, sempre in bronzo dorato, il ciondolo Abbracci che simula una foglia mossa dal vento (a sinistra). Il senso della leggerezza è la caratteristica comune, ma anche nell’anello, interamente in bronzo dorato della serie Chevalier, tagli irregolari sulla superficie creano un movimento che toglie peso. Sono tutte piccole opere che si rifanno all’antica arte orafa della fusione a cera persa, a cui Rossella Taffa si è avvicinata incontrando l’orafa Diana di Bari. “Un raggio di luce su una pietra naturale...una forma insolita di un sasso sono solo esempi di come la mia immaginazione... mi porti a plasmare materiali naturali in una sintesi di armonia scultorea” spiega Taffa “Il mio obiettivo è creare oggetti esclusivi che vadano oltre l’ornamento, ma diventino espressioni di scelte personali”. E sembra proprio che sia riuscita nell’intento. Ad affiancare e a fare da cornice ai gioielli di Rossella Taffa, i kimono  e i caftani di Laross Unconventional Chic. Disegnati da Rossella Molteni, con un passato di giornalista e redattrice di moda, sono capi, spesso pezzi unici, in velluto di seta tinta unita e stampati che, pur ispirandosi a capi orientali molto connotati, diventano nell’interpretazione di Molteni dei kimonoaporter (sua definizione) perfetti da città, per il giorno e per la sera. 
 

giovedì 2 ottobre 2025

DAVVERO SOLIDALE

E’ difficile affrontare temi come la malattia, specie in un mondo come quello della moda dove tutto deve essere all’insegna del glamour, dell’apparenza, della bellezza, eccetera eccetera. Per questo l’iniziativa di Primark è particolarmente apprezzabile. Nel mese dedicato alla prevenzione e alla ricerca sul tumore al seno, il colosso irlandese, con oltre 80mila dipendenti in 17 paesi d’Europa e negli Stati Uniti, ha lanciato la sua campagna di sensibilizzazione chiamata We’re with you. Che non consiste solo in una cospicua donazione alla fondazione AIRC per la ricerca sul cancro e a un invito ai clienti a partecipare alla raccolta fondi. 



Primark ha, infatti, creato una collezione di abbigliamento e accessori con una cinquantina di pezzi dedicata alle donne in fase post-operatoria.  Comprende  protesi per il seno in schiuma modellata,  leggere e comode da indossare, in cinque misure e con le tasche dove inserirle nei normali reggiseni, ma anche reggiseni senza ferretto, ultra confortevoli. E poi pigiami a righe, vestaglie in un tessuto caldo e morbido decisamente donanti con  ciabattine coordinate, e felpe con cappuccio, T-shirt e biancheria intima seducente. Oltre a creme e una maschera idratante per giuste coccole. Il tutto a prezzi bassissimi. 
Non finalizzato a chi ha subito l’intervento, ma destinato a persone con disabilità Primark propone, sempre a prezzi molto interessanti, pure una piccola collezione, con sistemi di zip e chiusure speciali. Dal trench classico alla maglia a righe, ai jeans. Capi tutto di buon taglio e in apparenza normali, ma in realtà studiati per essere facili da indossare anche per chi ha difficoltà nei movimenti.