Può esistere un iperrealismo
surreale? Sembra quasi un assurdo, il trionfo dell’ossimoro, forse un concetto per
spiazzare, per stupire. Eppure si addice
ai dipinti di Marco Petrus. Sono trenta quelli esposti alla Triennale di Milano
dal 30 aprile al 2 giugno. Il titolo è Atlas, non così criptico come si
potrebbe pensare. In fondo l’opera
del pittore riminese (classe 1960), come dice lui stesso, è un atlante urbano, una guida simbolica e
soprattutto emozionale alle architetture
del mondo. Meglio che parlare di una
città ideale, concetto un po’ troppo legato a schemi o progetti del passato. Ci
sono edifici in strani, impossibili raggruppamenti, altri invece che hanno la fedeltà del dettaglio di una
fotografia. Anche se si ha difficoltà a immaginarne la prospettiva con cui sono
stati ripresi. Bastano comunque quei brandelli di cielo per far capire che non
sono il frutto di un obiettivo. Certo ce ne sono di azzurri, ma sono forse di
più gli arancioni, i gialli, i rossi cupi. Sono scelte cromatiche, come spiega l’artista, per riequilibrare, per
evidenziare. Alcune architetture le riconosci immediatamente come quelle di
Milano, per la maggior parte degli anni Trenta, progettate da Piero Portaluppi, Giuseppe
Terragni, Giovanni Muzio, come il palazzo della Triennale che ospita la mostra.
Ecco addirittura, simile a una foto aerea, l’incrocio di Via Moscova e via
Turati dominato dall’immensa Ca’ Brutta di Muzio. O il Garage Traversi di Via Bagutta, ora nuovo polo del lusso, con tanto di scritta. Ma
è riconoscibile anche la famosa Unité d’habitation di Marsiglia di Le
Corbusier. Ci sono palazzi più recenti di Londra, Shanghai, New York. Tra
l’altro nelle ultime opere gli edifici occupano tutta la tela, sono per lo più
le facciate, con solo qualche triangolo di finto cielo o respiro.
Il catalogo è edito da Johan &
Levi con testi di Michele Bonuomo e Federico Bucci.
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