domenica 27 luglio 2025

NOVECENTO EMOZIONI

Non deve essere semplice mettere in scena Novecento di Alessandro Baricco, perché il monologo è talmente incisivo e potente che, chi l’ha letto, è portato a un’immaginazione sfrenata. Così da poter rimanere deluso di un’interpretazione sul palcoscenico. Non è il caso della versione di Stefano Messina con la sua regia, in collaborazione con Chiara Bonome. Non è superfluo dire che parte del successo può essere dovuto anche al “teatro”: uno scalo al tramonto con qualche nuvola dopo una giornata di pioggia e sole e, a seguire, una notte stellata, non interrotta da lontanissimi aerei. O dal passaggio quasi fiabesco di navi illuminate. Una scenografia quindi perfetta trattandosi di un pezzo che si svolge interamente su un piroscafo, anche se in navigazione sull’Atlantico. Lo spettacolo, infatti, si è tenuto allo Scalo Chiappa di Pieve Ligure, per Scali a mare Pieve Ligure Art Festival, con la direzione artistica di Sergio Maifredi.



Messina arriva in scena con una sciarpa grigia su camicia bianca e pantaloni con bretelle. E da quel momento è tutto un crescendo di emozioni con un ritmo sempre sostenutissimo, in cui affianca la parola a movimenti e a una mimica straordinaria. Soprattutto all’inizio quando a gesti racconta i vari componenti del piccolo gruppo che suona sulla nave. In sintonia con le musiche, per ogni strumento, di Pino Cangialosi. L’attore prosegue interpretando i vari personaggi. Dal macchinista che trova Novecento neonato in un fagotto al capitano ridicolo, dai compagni musicisti al jazzista presuntuoso e, naturalmente, a Novecento di cui riesce impossibile non innamorarsi. Davvero incredibile la capacità di Messina, da solo, di riempire il palcoscenico-roccia. Applausi scroscianti e meritatissimi.    

giovedì 24 luglio 2025

UN LIBRO E' MEGLIO, MOLTO MEGLIO

Fa sempre piacere l’uscita di un libro che parli di donne che si sono distinte in campi ritenuti per secoli “feudi” maschili. Soprattutto se chi l’ha scritto appartiene a quel “campo”. Ma non è solo questo che ha reso interessante e intrigante la presentazione di La scienza al femminile. Storie e testimonianze di Maria Pia Abbracchio (Franco Angeli Editore).Scritto con il contributo di Giacomo Lorenzini, citato in copertina e di altri dodici collaboratori. 




 



E’ stato un insieme di fattori. Intanto il luogo, il piacevole piazzale davanti alla libreria Capurro di Recco, che da anni organizza incontri seguitissimi e molto partecipati. Poi l’introduzione di Federico Rampini, non solo personaggio per creare audience, ma intervistatore coinvolto, con domande giuste per stimolare l’autrice, senza minimamente imporre la sua persona e le sue esperienze, come sovente succede quando a presentare un libro c’è un personaggio più noto del presentato. E non certo ultimi gli interventi di Abbracchio che, nonostante il suo importante curriculum professionale(ora professoressa ordinaria di Farmacologia dell’Università degli Studi di Milano, dove è stata prorettrice vicaria con delega a Ricerca e Innovazione per sei anni) ha parlato in modo incuriosente e mai sentenzioso. Ha raccontato storie di scienziate “incomprese”, senza mai cadere nel "drammatizzante", o di atteggiamenti maschilisti senza indulgere nella polemica spicciola. Ha anche esposto proposte, contenute nel libro naturalmente, per migliorare la situazione, utili soprattutto alle giovani generazioni. Sempre lontana dai soliti schemi fissi in odore di vetero-femminismo, purtroppo ancora presente e controproducente. Grazie anche a una sottile vena di ironia, come nel racconto autobiografico dell’incontro con il notaio, scambiata per segretaria perché bella e giovane. Toni misurati, mai polemici o superficiali nelle domande del pubblico, che hanno ricevuto risposte pertinenti e anche costruttive. 
 

mercoledì 16 luglio 2025

QUANDO LA TRADIZIONE E' INNOVATIVA

La moda genderless può creare qualche perplessità. Anche nei più “aperti”. Specie se si pensa all’uso della gonna per l’uomo, capo considerato nel passato scomodo e poco funzionale da svariate generazioni di donne. Eppure la collezione Drumohr per la primavera-estate 2026, la prima del nuovo direttore creativo Massimiliano Giornetti, fa ripensare. Esiste una distinzione certo, che riguarda soprattutto le taglie, ma è vero che tutti i capi possono essere indossati sia da lui, che da lei. L’obiettivo è una “vestibilità rilassata” sostiene Giornetti e porta come esempio una foto di Gregory Peck negli Hamptons con una maglia.  Una vestibilità funzionale, che tiene conto della qualità dei materiali, sempre puntando sulla ricercatezza del dettaglio. Con qualcosa di nuovo, senza mai stravolgere l’identità del brand. Un marchio nato in Scozia nel 1770 e acquistato nel 2006 dal gruppo italiano Ciocca, da sempre rappresentativo di uno chic understatement e particolare. Inizialmente di sola maglieria, destinata a un pubblico maschile, ora con capi in tessuto e anche per la donna. 




Ecco in collezione un grande uso di lino nell’attualissimo color burgundy, sempre presente il cardigan. anche in cotone, ampio, tinta unita o con le Random stripes righe multicolori. Un primo esempio di sostenibilità, perché le righe sono riciclo di lane lavorate. O ancora la vecchia lavorazione razor blade, ma al contrario. Una lavorazione particolarissima ribattezzata da Gianni Agnelli, grande estimatore della maglieria Drumohr,a biscottino e diventata uno dei simboli del brand. Tutto è calibrato, misurato, perfino il pigiama di seta, con pantalone lungo o corto, può diventare più sportivo abbinato alla giacca in cotone. “Giacche che sembrano maglioni e maglioni che sembrano giacche” spiega Giornetti. Una collezione quindi che rispecchia perfettamente i nuovi canoni della moda. Capi attraenti, con una precisa identità, capaci di essere sempre attuali pur rinnovandosi e soprattutto confortevoli. Tra le novità anche gli occhiali da sole, un modello in tre tonalità con all’interno delle aste il mitico biscottino. Per un kit da spiaggia con telo-mare e shorts. Questo solo per lui (foto in alto).


martedì 1 luglio 2025

DIETRO AL VESTITO, MOLTO

Per due giorni, il 27 e il 28 giugno, è stato possibile vedere nella sede milanese dello IED, Istituto Europeo di Design, le collezioni di tesi dei diplomandi in Fashion Design. Una vera e propria mostra dal titolo Unfold dove le 55 creazioni protagoniste nello Spazio Teatro diventano parte di un "racconto corale". Più opere che abiti e non tanto perché in tutte prevaleva l’elemento fantastico e onirico sul funzionale e il portabile, sottolineato e enfatizzato dai manichini  artistici di Hans Boodt Mannequins, quanto perché sono il risultato di pensieri e riflessioni, dove la moda è solo un tramite, un linguaggio.


 

Per questo la mostra prevedeva un percorso d’introduzione, dove era possibile vedere le foto dei modelli presentati con una spiegazione-riflessione degli autori. Tra l’altro tutti presenti e piacevolmente disponibili a fornire spiegazioni aggiuntive.  Cinque le sezioni previste. Astratto con "le visioni che nascono da luoghi invisibili, emotivi, interiori". I tessuti usati sono riciclati, ruvidi e imperfetti. Echo insiste sul "potere evocativo dell’abito", quindi su ricordi e passato. Synthesis vede il corpo come "luogo da proteggere" ed ecco l’uso di materiali sperimentali o da lavoro. Organico è la sezione in cui maggiormente "il corpo s’intreccia con la materia", e lo studio della silhouette è preponderante. Onirico, giocando sulla memoria, cerca di "restituire bellezza" nei minimi dettagli. Più che una mostra, un vero spettacolo dove la moda, intesa come abito, è il fil rouge per smuovere considerazioni sul mondo, sul suo presente e sul suo futuro. Con l’ottimismo della poesia.