Che ridere faccia bene alla salute è confermato. Se poi il riso non è cattivo, né amaro, né volgare, né offensivo e presuppone una certa cultura, è ancora meglio. Tutto questo per dire che Classical Therapy del MozART Group, al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano fino al 27 ottobre, è davvero uno spettacolo indovinato e "terapeutico". Sul palcoscenico un vero quartetto d’archi con i due violini, la viola e il violoncello, tutti musicisti diplomati presso prestigiose accademie musicali di Varsavia e Lodz, perché polacchi, che si esibiscono nei teatri di tutto il mondo da quasi trent’anni.
Inizia come un regolare concerto con tutti in frac e le note del Mozart più conosciuto e poi a poco a poco la scena si trasforma. Qualcuno lo definisce cabaret, perché come in un cabaret ci sono danze, esibizioni, movimenti e uso degli strumenti musicali in modo inconsueto, che scatenano gli applausi. Ma in realtà è qualcosa di diverso, di speciale, dove niente è scontato e già visto. Per quanto ci siano situazioni che suscitano convinte risate, non c’è presa in giro della musica, che sarebbe per certi versi facile. Nessuna delle gag tipiche su quel mondo, collegate magari al frac o al non coordinamento dei musicisti, o a qualche "stecca" clamorosa. Niente di tutto questo. E’ un racconto quasi storico sulla musica in cui la musica è linguaggio e filo conduttore, insieme a una garbata, ma solida ironia. Ci si mette un cappello da cow boy e gli strumenti diventano chitarre per musica country. Si muovono le gambe in un certo modo ed ecco il più scatenato rock and roll. Si suona qualche nota particolare, si usa gli strumenti come una batteria ed ecco i Beatles, che escono poi di scena uno dietro l’altro come sulle zebre di Abbey Road. Qualche accenno all’opera, ma mai insistito, perché troppo facile e al limite del grossolano. Geniale violino e violoncello suonati a quattro mani o ancora il ballo abbracciati in coppia suonando il violino. Ogni tanto il primo violino dialoga con il pubblico in un inglese stentato. E sono dei break piacevoli che non interrompono, anzi completano l’atmosfera divertente. Al termine il coinvolgimento di una persona del pubblico con il tipico omaggio O sole mio all’Italia, spiritoso, ma non grottesco in modo scontato. Speciale il bis con un gioco di luci e ombre dietro uno schermo che conferma le capacità acrobatiche del quartetto, specie del secondo violino.
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