martedì 30 gennaio 2018

NON E' TUTTO WEB QUEL CHE E' GIALLO


Parlare di internet, app, social, manipolazioni on line, furbizie varie virtuali, non è più un modo per rinnovare la narrativa gialla e non. E’ una conditio sine qua non per essere contemporanei. Quindi il fatto che Paolo Roversi riesca a sostenere duecento pagine e più piene di delitti, investigazioni, colpi di scena basati per la maggior parte su conoscenze del web e dintorni, non stupisce. Piuttosto stupisce che lo riesca a fare senza forzature. O meglio che il racconto, infarcito di aspetti tecnici di quel mondo, non risulti pesante e gratuito. Anche per chi è  alfabetizzato il minimo sul settore.  Forse perché, come ha detto Roversi alla presentazione del suo ultimo libro Cartoline dalla fine del mondo (Marsilio Farfalle), “La prima regola per scrivere dei romanzi credibili è scrivere quello che conosci” e avendo fatto il cronista alla Gazzetta di Mantova e nutrendo una passione per l’informatica, ha i requisiti. Comunque il potere e le magie del web non sono la caratteristica principale del romanzo. Il protagonista è il solito Enrico Radeschi, giornalista e hacker, che ritorna a Milano dopo esserne stato via otto anni, per sfuggire a una pesante minaccia di morte. L’antagonista omicida con cui si deve confrontare è un altrettanto abile hacker, che agisce secondo un piano, in qualche modo ispirato a Leonardo da Vinci. Alle sue opere, ma anche ai segreti della sua vita. Fra droni e punture di strani serpenti si viene a scoprire una Milano leonardesca sconosciuta. Come il vigneto o il cavallo alto più  di sette metri,  arrivato a Milano nel 1999, in pezzi da comporre, dal Michigan e ora davanti al galoppatoio di S.Siro, disegnato dal grande maestro. Anche se ogni tanto la narrazione sembra interrompersi per queste note storiche, che ricordano un po’ le descrizioni di animali nei romanzi di Salgari, non si avvertono stridori e stonature. Non sono inopportune, non tanto perché incuriosiscono, quanto perché danno un ritmo diverso alla suspense. Aggiungono quel qualcosa in più a una Milano che con i locali degli happy hour o la Silicon valley del quartiere cinese, sarebbe un po’ risaputa.  

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