giovedì 18 gennaio 2018

AZIONE ARTISTICA



La performance è una forma d’arte interessante e contemporanea. Riflette situazioni, affronta problematiche del momento, lancia messaggi. Il valore estetico non è più il solo dell’opera d’arte, che deve comunicare qualcosa e non può limitarsi a emozionare. Deve colpire, far riflettere, coinvolgere.  Frangente Breaker di Adelita Husni-Bey per Furla Series al Museo del Novecento di Milano ieri e oggi, sicuramente non lascia indifferenti. Forse non trascina, ma sollecita il pensiero. Anche se, per chi ha visto l’ottimo film The Square dello svedese Ruben Ostlund,  è difficile non pensare ai punti di contatto. In questo lavoro l’artista italo-libica, classe 1985, nata a Milano ma di stanza a New York, affronta tre tematiche diverse, in tre atti. Il primo tratta la percezione. Il pubblico diviso in gruppi davanti a un’opera della collezione, dopo averla osservata, è invitato a occhi chiusi a pensare a una descrizione da esporre tutti insieme in contemporanea e se chiamati per nome (dato all’ingresso) singolarmente. L’esperimento, ispirato al Teatro dell’Oppresso (tecniche teatrali create dal regista brasiliano Augusto Boal), risulta forzato. Gli spettatori sembrano più attenti a non fare brutta figura che a dare una descrizione sentita dell’opera. Il secondo atto nella Sala Fontana (nella foto) L’esilio, affronta il tema scottante dell’emigrazione. Ragazzi di colore del centro di accoglienza per migranti leggono scritti di esiliati di fronte a insegnanti d’ italiano. Quando uno dei due insegnanti sembra cadere a terra e viene sorretto, tutti si chiedono se fa parte della performance. Solo più tardi si riesce a sapere che il malore era vero. E lì si avverte un disagio e il parallelo con la scena dell’energumeno alla cena di gala di The Square è immediato. L’ultimo atto Azione per una catena umana si svolge sul sagrato del Duomo e vede due gruppi di performer intenti a costruire con dei sacchi una barriera per difendersi da un’immaginaria inondazione( nella foto in una piazza di Ghent). Ma entrambi cercano di attingere sacchi dal muro dell’altro, vanificando il lavoro. E la critica all’incapacità di fare sistema e al difficile rapporto tra identità individuale e collettiva è lampante.      

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