Un apparente non politically correct che invece si rivela politically correct, ma in modo intelligente, senza le irritanti ridicolaggini in cui cade spesso questa modalità di comportamento. Un po’ complicata, ma potrebbe essere la definizione giusta per PaGAGnini (sì proprio con gag in evidenza)da ieri fino a domani al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano.
Uno spettacolo che da anni gira il mondo con un successo travolgente e anche ieri sera si è visto l’entusiasmo con standing ovation in un teatro pienissimo. Sul palcoscenico un quartetto d’archi che viene da Madrid non proprio regolare, con tre violini, un violoncello e nessuna viola e un repertorio che va da Mozart, Vivaldi, la Carmen, i virtuosismi di Paganini fino al rock, a Serge Gainsbourg, agli U2. Un dis-concerto, come lo definiscono, che mantiene da anni la stessa struttura rinnovandosi nei contenuti. Dopo un breve inizio, dove impeccabili i quattro provano i soliti accordi, incominciano le gag che, proprio come nel titolo, attraversano di continuo lo spettacolo. L’aria ispirata dei musicisti o l’enfasi con cui maneggiano l’archetto assume proporzioni assurde, tra il pagliaccio e l’acrobata. Ma non c’è la presa in giro del mondo musicale, perché è tutto sconvolto da quell’approccio surreale e dalla bravura dei musicisti. Capaci di usare il violino o il violoncello come chitarra, cavalcare da cow boy un violino, suonarlo in posizioni assurde, saltare mentre suonano, palleggiarsi uno strumento. Ogni tanto, anche a sipario chiuso, una voce femminile, molto professionale, annuncia il pezzo che sarà suonato e anche questo è in quello stile ironico. Nel finale, rituale il coinvolgimento di due persone del pubblico, un uomo e una donna, per formare il sestetto annunciato, con conseguente innamoramento di un violinista per la nuova musicista sulle note e le parole struggenti di Le temps d’une chanson. C’è chi ha detto che lo spettacolo è un modo diverso per lasciarsi coinvolgere dalla musica. E quindi è politically correct.
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