venerdì 4 maggio 2012

L'ECO DELL'ECO


 Livia (in Valentino) e Colin Firth

Da anni si parla di moda sostenibile. Si organizzano dibattiti e tavole rotonde, congressi e convegni per chiedersi se etica ed estetica sono compatibili. Se si può conciliare creatività e ambiente, glamour ed ecologia.  Non si sa se sia l’aggettivo  sostenibile , ma  l’immagine che dà unito alla parola  moda, di primo acchito, evoca un vestire mortificante, gonnellone e zoccoli da vetero-femminista, scamiciati improbabili e tristi. Insomma  qualcosa di troppo lontano dal concetto brillante,  appunto glamour, che la moda vuole avere.  Eppure  da anni moltissimi capi sulle passerelle sono in tessuti ecocompatibili. Da Giorgio Armani a Tom Ford, da Gucci ad Alberta Ferretti, da Chanel a Yves Saint Laurent, da Paul Smith a Lanvin, Valentino, Roger Vivier, Zegna,Vivienne Westwood. Lo ha ribadito, ma per i più rivelato, in un forum  a marzo a Milano, Livia Giuggioli, meglio conosciuta con il cognome Firth del marito Colin. Con la giornalista inglese  Lucy Siegle ha fondato Green Carpet Challenge progetto per spingere le  celebrities   a indossare  sul red carpet abiti sostenibili. Lei stessa ai Golden Globe aveva un lungo di Armani in un tessuto  ricavato da bottiglie riciclate. Agli Oscar era in un Valentino ecocompatibile. Ecocompatibili anche gli smoking del marito firmati Armani e Paul Smith. A Copenaghen il 3 maggio il possibile   matrimonio fra moda e ambiente è stato ribadito con sfilate e mostre da un summit, organizzato da Nice, che raggruppa le camere della moda  di Norvegia, Svezia, Danimarca, Islanda, Finlandia e C.L.A.S.S. piattaforma internazionale per promuovere prodotti eco nel tessile-abbigliamento.
A far crollare il binomio triste-sostenibile l’ecobikini. Molto sexy, in colori accesi e con paillettes, del marchio Agogoa by Jerry Tombolini  è in un filato prodotto dalle Filature Miroglio, ottenuto con il polietilene delle bottiglie d’acqua. Nella bottega di Uruburo a Milano, da oggi fino a fine giugno, ci sono bracciali fatti con scarti di metallo  e borse  create con gonfaloni  o striscioni pubblicitari. E tutto è realizzato nelle cooperative dove lavorano, come nella bottega di Uruburo, soggetti socialmente svantaggiati.   

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