giovedì 17 aprile 2014

PIU' CHE PERFETTO


  Tilda Swinton e Edward Norton(in basso) in pellicce  Fendi 
Chi sostiene che la perfezione sia un’utopia, guardando il film “Grand Budapest Hotel” di Wes Andersen potrebbe ricredersi o per lo meno non essere più così ferreo nella sua convinzione. C’è tutto quello che di meglio il cinema può dare. Intrattenimento, che significa una trama forte con imprevisti e sorprese. Una recitazione  di tale  livello  che  si ha difficoltà a riconoscere gli attori, anche se tutti o quasi sono notissimi. Perché  i personaggi che interpretano sono talmente convincenti che non è possibile immaginarli o rivederli in uno dei tanti ruoli che hanno interpretato. Il protagonista Monsieur Gustave (Ralph Fiennes) è di uno snobismo  caricaturale ma con un animo nobile da supereroe,  eppure è una figura vera, reale. La fotografia è un insieme di immagini che potrebbero essere guardate e ammirate indipendentemente l’una dall’altra, fuori  dal contesto. Le scene, così come i costumi (Milena Canonero), si rifanno al passato, ma sono così ben studiati da essere lontani anni luce dalla ricostruzione pedissequa. Quasi da risultare frutto di una tendenza originale di quei tempi. Ci sono gli azzurri e i rosa del pop, c’è l’essenzialità un po’ cupa e inquietante dei disegni di Escher. C'è l' enfasi del fumetto e il kitsch da cartolina di paesaggi alpini. C’è quel poco di fiaba da mettere di buon umore senza essere stucchevole, quel tanto di suspense da attrarre senza angosciare. Quella giusta dose di intellettuale per non cadere mai nello sfoggio accademico. Ci sono tocchi di surreale così ben piazzati da non intralciare la narrazione. La storia, molto liberamente ispirata da un romanzo di  Stefan Zweig, prende, coinvolge. Si ride, si sorride, si partecipa alle fasi drammatiche con apprensione, però si esce sempre come si poteva uscire a otto anni dal più mieloso happy end di Disney. E con la voglia di tornare a rivedere il film.

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