mercoledì 14 luglio 2021

SENZA NOME

 La Venere di Milo, la Nike di Samotracia, la Statua della Libertà. Sono le sculture di corpi femminili più note, non ritraggono vere donne, ma dei simboli. Ci sono poi le Pietà di Michelangelo con la Madonna, non proprio definibile un ritratto e finalmente c’è la Paolina Borghese del Canova…Caso isolato. Invece quanti uomini a cavallo e non, sono in mezzo alle piazze, specie nelle città italiane. Tutti hanno un nome e un cognome. Come mai? Anche da questa domanda nasce l’idea di Scolpite, la mostra aperta oggi nelle Sale degli Affreschi di Palazzo Reale a Milano. Come dice il sottotitolo Riflessioni fotografiche intorno alla statuaria femminile, si propone di vedere la figura della donna nell’immaginario collettivo e trovare un perché della sua assenza nella statuaria pubblica.


Ovviamente a porsi il problema sono le donne, 35 fotografe che hanno cercato con i loro lavori di fare chiarezza su questo tema. C’è chi come Lucia Baldini ha lavorato  con photoshop su una scultura femminile del ‘500 alludendo alla chirurgia plastica a cui si sottopone la donna che non accetta il suo corpo, perché non risponde a quello che la società  vuole. Raffaella Benetti  ha ritratto Camille Claudel, allieva e amante di Rodin, artista brillante ma troppo determinata e quindi scomoda per l’epoca, tanto da essere rinchiusa in manicomio. Anna Rosati ha giocato su immagini di Biancaneve, rappresentazione perfetta della giovane donna nell’immaginario collettivo. Patrizia Bonanzinga  ha messo su una scultura acefala la testa di Sophia, androide sociale sviluppato dalla Hanson Robotics Limited di Hong Kong nel 2015.  C’è una donna sola e un enorme coltello che la sovrasta,  nella foto di  Antonella Gandini dedicata a una vittima di femminicidio. E poi c’è la Cleopatra di Giovanna Dal Magro, forte, combattiva, una protofemminista, forse una delle poche sculture con un nome, scovata dalla fotografa al Museo di Belle Arti di Marsiglia (foto in basso). La mostra promossa dal Comune di Milano, organizzata da Associazione Donne fotografe  insieme a Terre des Hommes fa parte  del palinsesto culturale  estivo La Bella Estate e sarà a Palazzo Reale fino  al 5 settembre.   
 


lunedì 12 luglio 2021

GHIACCIO CHE SCOTTA

Riscaldamento del pianeta, animali che si estinguono, ghiacciai che si ritirano o scompaiono. Dagli anni ’60 la superficie dei ghiacciai del Cervino è diminuita del 40 per cento. La temperatura a Plateau Rosà, 3600 metri, negli ultimi 70 anni è aumentata di 1,6 gradi. Notizie catastrofiche su cui non vogliamo soffermarci. Anche perché non ne sappiamo abbastanza. L’adieu des glaciers, al Forte di Bard (foto in basso), ce lo spiega senza terrorismi o fake news, ma con immagini. Come dice il sottotitolo, Ricerca fotografica e scientifica, è un percorso iconografico e scientifico tra i ghiacciai dei principali Quattromila della Valle d’Aosta. Uno studio di quattro anni che ogni anno esamina una montagna. Nel 2020 è stata la volta del Monte Bianco, nel 2021 del Cervino.



La mostra Il Monte Cervino: ricerca fotografica e scientifica è al Forte di Bard dal 9 luglio al 17 ottobre. I curatori del progetto sono Enrico Peyrot fotografo e storico della fotografia (sua la foto di Plateau Rosà in alto) e il Prof. Michele Freppaz del Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino. Da vedere fotografie inedite realizzate negli ultimi 150 anni da autori noti e sconosciuti, appartenute a collezionisti, enti di ricerca, enti pubblici, associazioni, fondazioni. Dalle foto di fine Ottocento di Vittorio Sella e Francesco Negri a quelle dei contemporanei Armin Linke e Olivo Barbieri. Dalle ventotto foto della scalata al Cervino della principessa Maria José, con le guide Luigi Carrel e Giulio Bich,  agli scatti inediti di imprese alpinistiche di scalatori come Walter Bonatti e Hervé Barmasse. Con la parentesi di una selezione di immagini che documentano l’incredibile discesa del Kilometro lanciato, le gare di bob, le prodezze del mitico Leo Gasperl che ha insegnato, o tentato di insegnare, a sciare alle più belle degli anni ‘50 e ‘60. E poi vip e personaggi vari. Tutto documentato da esaurienti didascalie.  La mostra può essere un’occasione per vedere, sempre al Forte di Bard ma fino al 31 agosto, l’anteprima della 56esima edizione di Wildlife Photographer of the Year, dedicata alla fotografia naturalistica. Orari: da martedì al venerdì dalle 10 alle 18, sabato domenica e festivi dalle 10 alle 19. info@fortedibard.it



 

mercoledì 7 luglio 2021

ARIA DI PARIGI

L’Alta Moda di Parigi ha fato ripartire la grande macchina delle sfilate.  Giorgio Armani con Privé alla presenza della figlia del presidente Mattarella. Dior al Museo Rodin, dove Maria Grazia Chiuri ha voluto le pareti ricoperte di ricami. Chanel ha lasciato i saloni del Grand Palais per il Palais Galliera dove è in corso la mostra dedicata a Coco.  Molte comunque ancora le presentazioni in streaming, dove più che mai si è scatenata la fantasia. Anche se persistono i luoghi comuni: le spighe di grano e l’erba mossa dal vento, i tramonti, i fitti boschi in cui s’insinua il raggio di sole, le onde del mare che si infrangono contro la roccia, le nuvole.



Inizia  con queste  immagini il video di Frank Sorbier, l’unico  stilista al mondo  ad aver ricevuto l’ambito titolo di Maestro d’Arte dal Governo Francese. Dopo zampe di cavalli al galoppo e i


soliti boschi, scoppia una risata e da quel momento compare una figura umana, una donna prima in abito bianco, poi in altri ricamati con oro e applicazioni di conchiglie, per niente di meno di un matrimonio.  La ragazza poi apre un cancello e nel giardino, 
of course segreto, vede un rudere, di chiesa o di casa, e improvvisamente,a sorpresa, davanti a lei è disteso uno scheletro,  ricoperto di gemme preziose. Per non farsi mancare niente, arrivano  un angelo, completamente vestito di bianco ali pelose comprese, e un lupo nero, immancabile simbolo freudiano-sessuale. Stephane Rolland  ambienta il suo video sulla costa basca dove, dice in un’intervista, la natura è straordinaria. Ed ecco le modelle in caftani o in lunghi e voluminosi abiti neri, rossi (v.foto in alto), bianchi che camminano sulle rocce a strapiombo o su lunghe spiagge deserte .  Straordinarie le decorazioni con i mosaici di Beatrice Serre, una vera artista del ricamo. Daniel Roseberry per Schiaparelli non ha scelto un’ambientazione particolare.  


Il suo matador è già abbastanza caratterizzato e non ha bisogno di una cornice. Incredibili, come al solito, gli accessori e i dettagli. Dagli immensi orecchini lucchetto alle grandi rose d’oro che fungono da corpetto (v.foto al centro), alle maschere sempre d’oro, ai bottoni della giacca in pelle in uno dei quali si apre un occhio azzurro. La cintura del trench argentato, come fibbia, ha delle mani che abbracciano. Le spalline dell’abito nero  diventano dei corni e vanno a cingere, minacciosi in tutti i sensi è il caso di dirlo, il cappello da torero. Viktor & Rolf raccontano di regine, sullo sfondo di castelli, con fasce da miss e molta ironia. 

lunedì 5 luglio 2021

ANIMAL TOWN

Ben allineati pinguini gialli sono pronti a tuffarsi nella Moldava a Praga. Suricati rosa dal parco spiano chi passa sul molo Umberto I a Portofino. Un elefante rosso, due conigli verdi e un’enorme chiocciola rosa, per sei mesi l’anno scorso, hanno invaso S.Benedetto del Tronto. Ventinove lupi gialli e uno grigio si sono piazzati nei punti clou di Parma, capitale italiana della cultura, a maggio e ci resteranno ancora due settimane. Sono arrivati a Trieste il 3 di luglio e ci staranno fino al 17 ottobre ben 120 animali. Di colori svariati e specie diverse.  Sono tutte opere di Cracking Art, il gruppo di artisti che dal 1993 espone il suo bestiario in plastica technicolorata in giro per il mondo. Nel nome l’obiettivo e il messaggio con cui hanno creato una svolta importante nel mondo dell’arte. Cracking da crack, spezzare, rompere, cedere: un utilizzo rivoluzionario dei materiali plastici per evidenziare il rapporto tra vita naturale e vita artificiale. Ma anche cracking catalitico, la reazione chimica che trasforma il petrolio grezzo in plastica, un processo che gli artisti vogliono rappresentare con le loro creazioni. Superfluo dire che rigenerare la plastica e farne delle opere, destinate a rimanere nel tempo, significa sottrarla alla distruzione che devasta l’ambiente. 







A Trieste gli animali sono sparsi nei luoghi più importanti della città. Da Riva Nazario Sauro a Piazza Hortis, da Piazza Cavour a Piazza Verdi, da Piazza della Borsa a Piazza Ponterosso, a Piazza della Repubblica.  Sono anche all’interno, nel Salone degli Incanti, che dà il titolo alla mostra, Incanto. Qui ci sono chiocciole di varie tinte e dimensioni. Le più grandi sono sul pavimemto, le più piccole e le medie si arrampicano sulle colonne, stanno appese agli architravi, si appoggiano alle finestre. Dei lupi rosa shocking circondano la fontana di Nettuno davanti al Palazzo del Tergesteo. Ecco un enorme coniglio bianco accovacciato nel mezzo di una piazza. E poi rondini, coccodrilli, elefanti, pinguini, rane. Tutti pronti a segnalare i palazzi e gli scorci più interessanti.  La mostra a cielo aperto è organizzata dal Gruppo Arthemisia e curata dal collettivo Cracking Art. Il Salone degli Incanti è visitabile dal lunedì alla domenica, dalle 10 alle 20.  Tutte le domeniche alle ore 11, visite guidate per vedere le installazioni partendo dal Salone degli Incanti. Prenotazione obbligatoria:arthemisia.it 


 

venerdì 2 luglio 2021

C'E' UN WAPITI DAVANTI ALLA REGGIA

Non può essere l’unica motivazione per un viaggio a Parigi, ma per chi conosce già la reggia di Versailles può essere un’ottima ragione per tornarci. E’ una mostra di scultura all’aperto che, inaugurata il 19 giugno, prosegue fino al 10 ottobre. Da vedere cinquanta opere dei Lalannes, cioè Claude e François Xavier Lalanne, coppia nella vita e nel lavoro. Le sculture, mai esposte così tante in un’unica rassegna, sono posizionate in un percorso che va dal Petit Trianon all’Amleto, piccolo castello costituito da vari edifici rustici, sulle rive di un laghetto. E' una parte del parco che, insieme alle due costruzioni, fu regalata da Luigi XVI a Maria Antonietta, desiderosa di ritirarsi in un luogo dove sfuggire all’etichetta di corte. Un giardino decisamente insolito, in uno stile anglo-cinese con grotta, cascata e piante rare che rispondevano a una concezione della natura ispirata a Jean-Jacques Rousseau. Le opere dei Lalannes si inseriscono perfettamente nel contesto. Rappresentano animali visti con un occhio fra il surreale e il poetico e una buona dose di humour, come suggeriscono anche i titoli.




Ecco davanti al Trianon Le lapin à vent con le orecchie come capelli al vento e una corporatura che ricorda quella di un pesce. Ai bordi del lago c’è la serie Des nouveaux moutons, la famigliola con mamma pecora, papà montone e il piccolo agnello. Con lo sfondo del Trianon, ma da una diversa angolatura La Choupatte, un cavolo con le zampe da gallina. Ci sono poi Wapiti, un particolare cervo del Nordamerica, un asino intitolato L’âne bâté, traduzione francese del nostro schiappa e poi degli enormi orsi. Molti i riferimenti al surrealismo, ma anche all’artigianato francese e al barocco. Tra i pezzi più famosi dei Lalannes, non presenti qui, c’è il Rhinocrétaire  un rinoceronte trasformato in scrivania  o ancora Gorille de Sureté, un gorilla che nasconde una cassaforte.    

giovedì 24 giugno 2021

LUGANO BELLA, DAVVERO

Una mostra particolare quella di Nicolas Party al MASI, Museo dell’Arte Svizzera italiana di Lugano, da domani al 9 gennaio. Infatti Rovine, questo è il titolo, viene definita un progetto. E’la prima monografica in Europa dell’artista (classe 1980) nato a Losanna, ma da cinque anni a New York. Le opere sono esposte nella grande sala del piano interrato in un allestimento dello stesso Party, che è un vero e proprio site specific. E’ costituito da cinque ambienti, ognuno dei quali presenta un tema: natura morta, ritratti, paesaggio, vedute rocciose, grotte. 


Ma lo spazio è stato completamente trasformato con interventi di colori accesi sulle pareti e decorazioni trompe-l’oeil, che richiamano marmi policromi, su soffitti e pavimenti, realizzati in collaborazione con l’artista Sarah Margnetti. Tutto è giocato in una perfetta simmetria che vede intorno quattro dipinti murali, ispirati a quelli del pittore simbolista svizzero di fine ‘800 Arnold Boklin, con vedute di edifici in rovina al cui interno sono posizionati dei nudi. In forte contrasto con il resto delle opere dal forte cromatismo. Dietro il pensiero positivo di Party, legato al lockdown, che parla di un mondo in trasformazione continua, che risorge dalle rovine. I dipinti, realizzati tra il 2013 e oggi, sono ispirati a quelli di artisti di varie epoche più o meno famosi, come Georgia O’Keeffe, la ritrattista Rosalba Carriera, Picasso del post cubismo, Magritte. Completano la rassegna quattro sculture, teste dipinte in colori accesi, di cui una è collocata nel prato fra il museo e il lago.  


Termina il 1° agosto, assolutamente da vedere, al terzo piano del MASI Capolavori della fotografia moderna 1900-1940. Oltre 350 fotografie della collezione di Thomas Walter dal 2001 al Museum of Modern Art di New York. Raccontano in bianco e nero quel momento incredibile che ha contribuito a velocizzare la tecnica della fotografia. Edward Weston, Man Ray, August Sander, Henri Cartier Bresson, Alfred Stieglitz,  Alexsandr Rodcenko e una folta rappresentanza femminile, Berenice Abbott, Gertrud Arndt, Lotte Jacobi, Lee Miller, Tina Modotti, per nominarne solo qualcuno.Per conoscere gli artisti svizzeri e chi li ha influenzati, dal 1850 al 1950, Sentimento e Osservazione aperta fino al 31 dicembre. E’ al secondo piano del museo con una vetrata da cui si gode una vista superba. Fortemente consigliato un break al raffinato Bistrot Luini sulla piazza. 


mercoledì 23 giugno 2021

PAPA' NON SI NASCE E NEANCHE SI DIVENTA...

Quando un testo che affronta tematiche importanti ma di quotidiana rilevanza riesce a diventare uno spettacolo che, non solo si segue con interesse, ma fa ridere, diverte, e può diventare oggetto di riflessione, vuole dire che dietro c’è qualcosa di più che una buona dose di spirito di osservazione. E’ il caso di Da quando ho famiglia sono single, da ieri al 27 giugno al Teatro della Cooperativa di Milano. Sul palcoscenico, da solo, Claudio Batta autore del testo con Ricardo Piferi, che ha curato la regia. Si parla di rapporti tra genitori o meglio tra padre e figli, argomento sviscerato in tutti i possibili modi, e ricettore di tutte le più svariate banalità. Dall’impossibilità di essere severi agli aiuti dello psicanalista, dal confronto fra l’educazione severe ricevuta a quella libertaria concessa ai figli. Nelle varie scene che compongono lo spettacolo ci sono tutte e molte altre in più, ma in nessuna si percepisce il già visto, la ripetizione, il commento facile.                                                 

  
Il modo di porre l’argomento, per quanto rifugga dagli effetti facili, riesce sempre a incuriosire, rinnovarsi, a diventare qualcosa di mai sentito. Ottimi i ritratti di personaggi,dall’analista radical chic e perentorio alla mamma virago della coppia lesbo. Dal papà apprensivo di trentenne bamboccione e di sedicenne senza orari al figlio costretto a fare il padre di genitori figli dei fiori, dallo spinello facile. Mai un momento di incertezza, il ritmo è incalzante, la risata esplode continua e irrefrenabile. E tutto senza mai una volgarità gratuita o un’insistenza  su terreni facili  per ruffianarsi l’applauso. Ne viene fuori un’analisi ben fatta, con un rigore quasi scientifico senza averne la pesantezza,  dove alla fine si arriva a provare una sorte di comprensione empatica per questa figura di genitore. Che sarà sempre più irrisolta, più si cercherà di studiarla e migliorarla.