martedì 17 giugno 2025

STORIE SOTTO IL MARE (E NON SOLO)

Le balene sono state spesso oggetto di racconti, fiabe, interi romanzi con firme più che autorevoli. Ma che potessero diventare il soggetto di una mostra divertente, poetica, incuriosente, allestita in un acquario, non ci se lo aspettava. E’ invece ecco Il canto delle balene. Storie fantastiche da un mondo sommerso, di Stefano Prina, all’Acquario Civico di Milano fino al 29 giugno. Stefano Prina non è un etologo e nemmeno un ittiologo o meglio un "balenologo", ma un architetto e modellista che ama raccontare storie attraverso i diorama, riproduzioni in scala ridotta di ambienti, soprattutto naturali.  In questo caso, dove  animali acquatici interagiscano con umani in scala.

 




L’autore stesso lo definisce un gioco dell’Oca in 33 tappe, dove non ci sono solo balene, ma anche polpi, squali, perfino pinguini, oltre che umani naturalmente. Ogni tappa è in sostanza "una scenetta", alle volte spiritosa e fine a se stessa, altre rivelatrice di verità scientifiche, altre ancora usata per affrontare o far riflettere su un argomento. Anche se il surreale è dominante. Ecco, per esempio, La
 seduta che ricrea lo studio di uno psicanalista, dove sul lettino c’è un balenottero che dice “Il fatto è che ho 738 fratelli, temo sarà una cosa lunga...”(foto in alto). C’è la tana che spiega come il gioco del nascondersi sia praticato da moltissimi animali e nei pesci preveda “in tana” quattro pesci, non uno solo come da noi umani. Un diorama racconta delle ultime bottiglie di grasso di balena, con il cadavere  dell’ultima balena fornitrice trasportata via e le bottiglie a terra. Una balena di legno su un carro vuole essere la testimonianza che nella guerra di Troia non fu utilizzato un cavallo, bensì una balena (foto al centro). C’è un palio con balene cavalcate da fantini (foto in basso). L’itinerario passa anche per il cinema. Ed ecco la famigliola con nonni e cane che guardano il colossal Lo squalo terrorizzati, mentre i nipotini sono tranquilli e divertiti. “Con la mostra Il canto delle balene l’artista mette a disposizione la sua arte, che unisce abilità meccanica e sogno, per una seria riflessione sullo stato di salute del nostro pianeta” ha scritto Domenico Piraina, direttore Cultura del Comune di Milano e quindi direttore dell’Acquario Civico, nella presentazione all’ingresso. Davvero una mostra da non perdere. 

sabato 14 giugno 2025

ITALIA - USA X TRE

Costantino Nivola, Angelo Savelli, Salvatore Scarpitta, tre grandi artisti del secolo scorso. Ognuno con percorsi diversi e modi diversi di concepire l’arte. Tutti e tre con una fama internazionale e un lungo legame con gli Stati Uniti. Così uniti li racconta, attraverso le loro opere (in vendita), la mostra Nivola, Savelli Scarpitta: un trio internazionale, fino al 28 giugno alla Galleria Paula Seegy di Milano. Così li ha raccontati in un piacevole incontro, avendoli conosciuti, Luigi Sansone, che ha curato l’esposizione. Ha messo in risalto e spiegato il loro percorso creativo, ma ha anche fatto conoscere episodi e momenti delle loro vite, interessanti, drammatici, curiosi, talvolta divertenti. 






“Hanno respirato e vissuto l’arte e la cultura dei due continenti e nello stesso tempo hanno contribuito ….a far conoscere l’arte italiana in America ed essere ambasciatori dell’arte americana in Italia” ha detto Sansone. Nivola, nato in Sardegna nel 1911, dopo essere stato direttore artistico dell’Olivetti per cui progetterà il negozio sulla Fifth Avenue, nel 1938 si trasferisce a New York dove entra in contatto con artisti e personaggi come Le Corbusier. Realizza bassorilievi per diversi palazzi di Manhattan. Si stabilisce in una casa un tempo abitata dai surrealisti, in mezzo a un bosco dove sono soliti andare in vacanza vari artisti. In galleria sono esposte le sue piccole ed espressive sculture in terracotta, in latta, in terracotta patinata e qualche schizzo (foto in alto). Angelo Savelli, nato in Calabria nel 1911, partecipa a diverse Quadriennali d’arte di Roma e alle Biennali di Venezia, dove nel 1964 riceverà la medaglia d’oro per la grafica. Nel 1953, si sposa con la giornalista americana Elizabeth Fisher e con lei si trasferisce definitivamente a New York. In galleria è possibile seguire il suo percorso artistico che va dal figurativo all’astratto a tinte forti, fino alle tele bianche con disegni pseudo-geometrici (foto al centro). Salvatore Scarpitta nasce a New York nel 1919, ma va in Italia nel 1936 per studiare all’Accademia di Belle Arti a Roma. Durante la guerra, essendo cittadino americano e antifascista, vive un periodo drammatico tra confino, fughe, nascondigli in montagna, fino al 1945 quando si arruola nella marina americana.  Avventuroso è anche un episodio dell’adolescenza raccontato da Sansone. Per sfuggire alle botte del padre per un rifiuto a lavorare, si rifugia su un ramo di un albero, dove, dicono, rimane un mese. Ispirando, pare, Il barone rampante di Italo Calvino.  Da vedere in galleria i suoi Senza Titolo di bitume e olio su tela, tra i quali il barattolo di cibo per cani (foto in basso), due collage  su stampa di Incidente a Rimini e una composizione geometrica su tela applicata su cartoncino.  

venerdì 13 giugno 2025

MOSAICI CAPRESI

Dilatare lo spazio attraverso la fotografia, questa la linea guida  dei mosaici con polaroid di Maurizio Galimberti. Che per tutto giugno sono esposti nella boutique milanese di Eleventy. Questa volta il soggetto è Capri. “Capri è luce che si muove . La polaroid mi permette di ascoltare la musica di questa luce, di scomporla, di darle una struttura armonica. Come il taglio di una giacca, come un’architettura di stile” dice Galimberti.  


 



Il suo racconto per immagini è un omaggio all’isola, che fa parte anche del libro Sguardare, realizzato dal Jumeirah Capri Palace, dove sono in mostra una selezione delle sue opere. Con il famoso hotel, Eleventy ha dal 2017 un sodalizio che poggia sui valori dell’eleganza e la qualità del made in Italy, di cui Capri è più che un esempio. “Lo sguardo di Galimberti ci ha permesso di raccontare un’estetica… che sentiamo nostra, fatta di luce, composizione, dettagli e identità” spiega Marco Baldassari co-fondatore con Paolo Zuntini e direttore creativo Uomo di Eleventy.   Ed ecco quindi, nei due piani della boutique, vetrine  comprese, inserite perfettamente tra le collezioni, le opere di Galimberti. Svariati e di svariate dimensioni i mosaici con i campanili presi da diverse angolazioni, con luci diverse, sfondi di colore diversi. O la composizione fatta da immagini di un turista che fotografa  mare, cielo e alberi, dove l’effetto scomposizione e ricomposizione è ancora più evidente. Capri non si vede, nel mosaico di polaroid con le mani (foto al centro), ma c’è, in forma di luci, ombre e soprattutto atmosfera.  


 

mercoledì 11 giugno 2025

ANNI D' ARTE

Una visita anche lunga non è sufficiente per la mostra alle Gallerie d’Italia di Milano, in corso dal 30 maggio al 5 ottobre. E il titolo Una collezione inattesa. La Nuova Arte degli anni Sessanta e un Omaggio a Robert Rauschenberg in qualche modo lo preannuncia. Non tanto perché conta sessanta opere che occupano quasi interamente le monumentali sale, ma perché racconta le sperimentazioni artistiche dalla fine degli anni Cinquanta fino agli anni Ottanta. Un periodo quindi lungo e denso di "rivoluzioni". Dove si inserisce appunto il tributo a Rauschenberg per il centenario della nascita con sue importantissime opere, in cui utilizza svariati materiali in inediti assemblaggi (foto sotto).  





Quanto ai lavori degli altri artisti sono in un dialogo, pressoché continuo, tra arte europea, italiana soprattutto, e arte statunitense.  Si parte dalla "piccola rivoluzione" di Lucio Fontana, Piero Manzoni, Yves Klein. I primi due con "la rinuncia al colore", sostituito dai famosi tagli di uno o dall’applicazione di vetri sull’acrilico, con l’effetto tridimensionale per l’altro. O, invece, un provocatorio monocolore per Klein. Si continua con il minimalismo americano dei meno conosciuti Robert Mangold e Carl Andre, affiancati dalle superfici bianche di Enrico Castellani. Un minimalismo rivisto, che prelude alle nuove intuizioni dell’Arte Povera, quello di Michelangelo Pistoletto che gioca con gli specchi o di Giulio Paolini con gli ineffabili leggii. Fino ad arrivare ai collage di Jasper Johns e alla Pop Art. Con Roy Lichtenstein, le immancabili Marilyn e i Mao di Andy Warhol, ma anche, nella medesima ripetizione ossessiva, le Electric chairs (foto al centro). Nella stessa sala ecco la bandiera piegata di Giulio Paolini con il titolo Averroé, dal nome del filosofo spagnolo del XII secolo, sul tema del simbolo che perde leggibilità. Alla fine del percorso le coloratissime opere di Jean-Michel Basquiat (foto in basso)che “rompe con i codici freddi della Pop Art”, e la pseudo-mappa di Francesco Clemente con il fil rouge fra Roma e Milano.

domenica 8 giugno 2025

LA MORTE SA LEGGERE

Il titolo Cara morte, amica mia può apparire un po’ inquietante, in qualche modo ribadito dalla foto di copertina, essenziale ma possibile stimolatrice di significati cupi. Basta poco però per capire che non è così e non è nemmeno un titolo per “comprare” l’attenzione. Già la cornice milanese dove è stato presentato il libro di Gaia Trussardi e la formula della presentazione tolgono molti dubbi. Sul Roof del Superstudio Più, dominato dal Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto, dà il via a una serie di incontri a cura di Gisella Borioli, fondatrice con Flavio Lucchini e anima del Superstudio Più. E’ stata chiamata Amiche “ben sapendo quanto la solidarietà, la complicità e l’amicizia tra donne siano la chiave per scoprire mondi sconosciuti”. 





Proprio come succede per questo primo libro di Gaia Trussardi. Autobiografico, racconta il confronto con la morte, prima del padre, l’imprenditore e stilista Nicola, poi del fratello Francesco. Per la maggior parte è scritto in forma di lettera, dove l’autrice parla con la morte, come fosse appunto un’amica, ragionando con lei sui dubbi, chiedendole spiegazioni dei suoi comportamenti, senza mai accusarla apertamente e senza masi esagerare. In altri capitoli, invece, evoca momenti più o meno felici dell’infanzia, episodi della sua adolescenza, e poi la giovinezza dove si fa vivo il pensiero della morte, l’anoressia, l’analisi. In nessun momento vuole impietosire, ma neanche dimostrare una sua fermezza, che invece possiede e forte. Non nega le sue capacità, ma non si crea problemi a rivelare le sue debolezze o la timidezza. Il tutto in un alternarsi di “profondità e leggerezza”. Un libro, tra l’altro, che può coinvolgere nella lettura ogni fascia d’età. Dalle sue coetanee (Gaia è nata nel 1979) alle più giovani e alle più mature, quando parla della passione per la musica, del rapporto con la madre, con gli amici, i fratelli, il padre stesso o ancora l'apprensione per i figli. Interessanti e coraggiose le domande che si pone, per esempio sulla possibile connessione tra felicità e superficialità, che denotano una  capacità di entrare nel merito delle situazioni e dei fatti, dovuta anche ai suoi studi di antropologia e sociologia in Inghilterra. Ne esce una figura di giovane donna che si ha voglia di conoscere, di scambiare con lei pensieri e riflessioni, ma anche di sorridere e rilassarsi con lei.  Per quel passare dal racconto di un momento terribile, come la notizia improvvisa e inaspettata della morte di un padre e di un fratello, al ricordo  di una gita da piccola o della sua prima esibizione un po’ goffa in una band musicale. Il libro è pubblicato da Francesco Brioschi Editore


venerdì 6 giugno 2025

DESIGN CONTEMPORANEO, ANZI DATATO

Mobili e oggetti di arredo di più di un secolo fa, perfettamente assimilabili a pezzi di ultimo design, sono in mostra da domani al Vitra Design Museum di Basilea. Un museo che non solo è una garanzia per la scelta delle mostre, ma un luogo dove si ha sempre voglia di tornare per la meraviglia delle installazioni permanenti, che creano una delle più rappresentative sintesi del miglior design dal Novecento a oggi. Questa ultima esposizione dal titolo The Shakers. A world in the Making ne è un esempio felicissimo. Non solo per il design, ma perché fa conoscere un’interessante realtà che data del 18esimo secolo.





 

Quando la comunità degli Shakers, nata in Inghilterra, nel 1774 emigra nelle colonie americane, dividendosi in 18 gruppi, dal Kentucky al Maine.  Sono circa seimila persone, che portano avanti una religiosità basata sul lavoro e l’uguaglianza, estesa al modo di vivere. Anche la costruzione di un mobile, di una scatola o di un attrezzo per coltivare la terra è un atto religioso. Vivono in comunità, rispettando il celibato. Uomini e donne lavorano insieme, ma dormono separati. Per questo ora gli Shakers sono ridotti a pochissime unità, si parla addirittura di due. Ci sono dei bambini, si vede dalle foto dell’epoca e dalle culle, ma sono orfani che vengono adottati dalle diverse comunità. I pezzi esposti autentici sono circa 150 e provengono, per la maggior parte, dallo Shaker Museum in Chatham, New York. I mobili, per  lo più in legno, hanno un disegno essenziale oltre a una precisa funzione e la mostra vuole proprio mettere in rilievo questa caratteristica di contemporaneità. Ci sono attrezzi da giardino, culle non solo piccole per neonati, ma grandi per gli adulti gravemente  malati. Molta attenzione è data al benessere e alla salute e ad aiutare le persone “diverse”. Ecco quindi la sedia a rotelle che può essere anche a dondolo. Lo scarponcino ortopedico con tacco alto per gli zoppi e una serie di medicinali a base di erbe. La funzionalità è l’elemento comune: dalle scatole-contenitori di vario tipo in legno, al piccolo scaffale  con piani ravvicinati per raccogliere i giornali. C’è una radio, ci sono macchine da cucire, cassettiere, tavoli per scrivere, stufe che servono per riscaldare gli ambienti, ma anche i ferri da stiro.  Oltre a  capi di abbigliamento, cappe in lana e cuffie che ricordano  quelle usate dagli Amish, con cui gli Shakers, a detta dei curatori, non hanno avuto mai punti di contatto. E’ ricostruita anche una casa in legno di uno strano azzurro, con lunghe panchine per gli incontri della comunità. Ma ci sono anche foto di case a più piani, costruite dagli Shakers. A completare la mostra una sala dedicata alla musica.  Oltre a un metronomo, a un piano-violino e a un libro di inni, il video Power dell’artista e coreografo Reggie Wilson, fondatore del Fist & Heel Performance Group, che con l’esibizione dei suoi ballerini vuole raccontare il legame delle danze degli Shakers con quelle degli afro americani. La mostra, organizzata dal Vitra Design Museum, dal Milwaukee Art Museum, dall’Institute of Contemporary Art Philadelphia e dalla Wustenrot Foundation in collaborazione con lo Shaker Museum, chiude il 28 settembre

martedì 3 giugno 2025

UN PRINCIPE PIU' CHE AZZURRO

Definirlo semplicemente romanzo non sembra giusto, gli si toglie molto, ma chiamarlo romanzo storico potrebbe essere azzardato. Il principe azzurro di Diego Cugia (Giunti Editore) è una felice sintesi di tutte e due le espressioni letterarie. Racconta la breve e intensa vita di Corradino di Svevia. Un personaggio che molti conoscono in virtù di quella discutibile poesia di Aleardo Aleardi che lo dipingeva "biondo, bianco, beato" e di un unico verso dell’inferno dantesco. Ma pochissimi conoscono i suoi “fatti”, svoltisi nel giro di soli sedici anni. 

 


Con una prima parte da piccolo principe di una delle più importanti famiglie reali, una madre autoritaria e anaffettiva che quando ha solo nove anni lo abbandona nelle mani della servitù, ma fortunatamente anche del famoso Yesuf che lo inizia a pensieri e riflessioni, che gli saranno utilissime per formare il suo carattere e la sua tempra. Nella seconda parte è un sedicenne con la mente di un uomo maturo, che vuole riconquistare le sue terre, ma non per la sete di potere fine a se stessa dei suoi avversari. Ne emerge una figura bella e positiva, di cui è difficile non subire il fascino o innamorarsi. E questo anche  grazie al tipo di narrazione che mette insieme fatti e sentimenti in giusto equilibrio tra loro, senza mai eccedere, e soprattutto non lasciando mai che gli uni condizionino la valutazione degli altri. Corradino è una figura vera, realistica, che potrebbe esistere, anzi si vorrebbe che esistesse. Un "principe azzurro" per tutti, non solo per le "Cenerentole". E questo è emerso già in parte anche nella presentazione del libro grazie alle azzeccate domande rivolte a Cugia dalle giornaliste e scrittrici Anna Folli e Valeria Serra. A cui l’autore ha sempre risposto con enfasi, alle volte perfino togliendo la parola alle intervistatrici. A completare la magia della situazione il luogo, The Sanctuary, una vecchia struttura ex deposito ferroviario di Porta Genova riadattato da una community di artisti. E la musica dal vivo di Soulin'duo.