venerdì 20 dicembre 2024

ABBIAMO FATTO TOMBOLA

Stupisce, ma La tombola è una delle più inossidabili tradizioni natalizie italiane. Anzi, negli ultimi anni si è addirittura consolidata, diffondendosi nei salotti più cultural chic. Sarà perché è un gioco "buono", è politically correct perché aperto a tutti, non crea pericolose dipendenze, eccetera eccetera. E in più oltre ad aiutare la socializzazione può essere un palcoscenico per chiunque voglia soddisfare le proprie attitudini o velleità di intrattenitore. 




Anche quest’anno Galleria & Friends, il progetto di Elisabetta Invernici (foto in alto) e Alberto Oliva per riscoprire e valorizzare le eccellenze milanesi dell’artigianato e delle vecchie botteghe, ha scelto di concludere gli incontri con la tombola. E quale storica bottega era più adatta di Cilento 1780?  Il mitico indirizzo di sartoria napoletana datata 1780, con una frequentatissima succursale a Milano in Via Fiori Oscuri, in piena Brera: perfetta sintesi di laboriosa milanesità e di napoletana creatività. Il successo è stato superiore alle aspettative. Alle 17, ora dell'appuntamento, il negozio era strapieno, con la quasi impossibilità di trovare posti a sedere, nonostante le molte sedie, poltroncine, divanetti. E addirittura qualche difficoltà a fare uscire i clienti (tutti stranieri e ignari dell’evento) imprigionati, con i loro acquisti, nella folla dei giocatori. Difficoltosa anche la distribuzione delle cartelle, "turistico-napoletane". Accanto a ogni numero, infatti, il disegno di quello a cui corrisponde nel linguaggio "napoletano-tombolese" con scritta in napoletano e in inglese. Esempio per il numero 10, un piatto di fagioli con la scritta "E fasule" e "beans",  per il 77 "E riavule" e "devils". Per citare due numeri sobri e non vietati ai minori, come la maggior parte di quelli della numerazione. A estrarre i numeri, dopo qualche esorcismo con un grande cornetto rosso,  Gustavo La Volpe (foto in alto) attore e napoletano verace, ora impegnato al Teatro Nazionale nel musical La febbre del sabato sera nel ruolo di Frank Manero, papà del protagonista Tony. A precedere il suo show, peraltro molto brillante, la spiegazione delle regole che hanno suscitato incomprensioni, commenti, polemiche inaspettate e, non intenzionalmente, molto divertenti. Regali dall’ambo alla tombola: bottiglie, biscotti, cioccolato, libri sulle botteghe e foulard per i vincitori delle due tombole, che hanno avuto le felicitazioni di Ugo Cilento, in collegamento da Napoli.


venerdì 13 dicembre 2024

RACCONTI DA BAR

Non era facile mettere sul palcoscenico "un bar sotto il mare", nel senso letterale della parola. Al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano ci sono riusciti con le luci di Mattia Pace e la regia di Emilio Russo, direttore artistico del teatro, che ha curato anche l’adattamento del romanzo del 1987 di Stefano Benni, appunto Il bar sotto il mare. Sul palcoscenico tavolini e sedie e un bancone da bar bianco, con tre sgabelli, bicchieri e bottiglie. Il tutto reso subacqueo da una proiezione di acqua con onde. In scena gli eclettici Roberto Andrioli, Lorenzo degli Innocenti e Fabrizio Checcacci, autore delle musiche insieme a Cosimo Zannelli, sempre presente con la sua chitarra. 



All’inizio una persona del pubblico, scelta preventivamente, è invitata sul palco per rendere più vere le conversazioni da bar. A lui, infatti, si rivolgono per raccontare le storie di paese. Un paese, Sompazzo, senza un’ubicazione precisa, ma collocabile, per la parlata degli avventori del bar, ora in Romagna, ora in  Toscana. Sono i classici pettegolezzi di paese, ma anche ritratti di personaggi "iconici", cronaca di avvenimenti salienti, luoghi speciali. Tutti enfatizzati e coloriti da una buona dose di surreale. Come La disfida di Salsiccia una gara a chi ne mangia più metri, anzi chilometri, per aggiudicarsi una bicicletta. O  il Pornosabato del cinema Splendor. O ancora l’amore tra Pronto Soccorso e Beauty Case. Lui ragazzino intraprendente dalle epiche avventure in motorino con conseguenti voli straordinari e cerotti dappertutto, perennemente inseguito da un poliziotto. Lei bellissima, sogno dei maschi del paese, con le sue microscopiche minigonne fatte dalla mamma con cravatte: da una cravatta tre minigonne. La chitarra di Zannelli fa da colonna sonora, ma ogni tanto il parlato si interrompe per lasciare spazio alle poesie di Benni, trasformate in canzoni da Checcacci. Piacevoli intervalli musicali, assolutamente in sintonia. Il bar sotto il mare è al Teatro Menotti fino al 31 dicembre, con una replica il 31 alle 22, “per salutare il nuovo anno con un brindisi finale”. E lo spettacolo si presta.   
 

venerdì 6 dicembre 2024

UN A SOLO DI UMORISMO

Il monologo è sempre più presente nelle stagioni teatrali. Le motivazioni potrebbero essere svariate. Dalle più "facilone" come spazi e palcoscenici piccoli a quelle meno semplicistiche e più pratiche sulla complessità di gestire grandi compagnie o di trovare attori giusti. Quello che è certo il monologo non è un tipo di teatro semplice. A partire dal poco materiale a disposizione e, quindi, alla difficoltà di reperire buoni testi e attori e attrici che li sappiano proporre in modo convincente. Se queste due condizioni si verificano, davvero il monologo è una formula teatrale vincente. Un esempio felicissimo è Ma che razza di Otello? di Lia Celi interpretato da Marina Massironi (nella foto) con la regia di Massimo Navone.  


A dividere la scena solo Monica Micheli con la musica variata e coinvolgente, da lei arrangiata, per la sua arpa. Nessun arredo tranne un leggio con microfono. L’umorismo è sicuramente un importante filo conduttore, ma non il solo. Otello è raccontato sia come personaggio della tragedia shakespeariana, sia del melodramma verdiano. Con commenti detti in prima persona ora dai due autori, ora dallo stesso Otello e da Desdemona e Iago, soprattutto nel caso di Verdi. Tutto inframezzato da continue riflessioni, quasi sempre riferite al contemporaneo, di 
Massironi. Vari gli accenni ai luoghi comuni, alla strettezza di vedute di personaggi pubblici, alle loro contraddizioni, alle cadute nel conformismo. Senza mai insistenze pesanti o volgari.  Spesso con ben assestati riferimenti a momenti storici o a fatti di cronaca, senza giudizi dall’alto, ma tenendo sempre presente il filone della comicità. Che alle volte è davvero irresistibile.  Ma che razza di Otello?, ieri e oggi al Teatro Gerolamo di Milano, è in tournée fino al 19 dicembre.  

giovedì 5 dicembre 2024

ALIGHIERO BOETTI : GIOCO E POESIA

Difficile descrivere le opere di Alighiero Boetti, impossibile non rimanerne colpiti. “Nessun ordine, nessuna gerarchia. Un bozzetto, una foto, un invito, una cartolina, un ricamo. Solo cose belle di Boetti su Boetti, per capire forse meglio il suo lavoro e il suo pensiero”  scrive Agata, la figlia del Maestro dell’Arte Povera  morto nel 1994 a soli 54 anni. Roma lo celebra con due mostre, una Alighiero e Boetti. Raddoppiare dimezzando nella cinquecentesca Accademia di S.Luca, vicino a Fontana di Trevil’altra Alighiero Boetti. Cabinet de curiosités alla Galleria Tornabuoni Arte, in via Bocca di Leone.     






Nella prima una statua-autoritratto di Boetti in bronzo accoglie i visitatori nel porticato borrominiano. All’interno una resistenza elettrica che la surriscalda. In mano tiene una pompa che zampilla, però, di acqua fredda (foto al centro a sinistra). Descrive il processo creativo dell’artista, il suo passaggio dalla tensione al rilassamento che ne segue. E’ uno dei rari pezzi unici o comunque che non rientra nei temi del "doppio" e della "proliferazione". Insieme a Io che prendo il sole a Torino il 19 gennaio 1969, disteso sul pavimento della prima sala. In realtà è composto da 111 elementi di cemento. Negli spaziosi saloni le altissime pareti sono interamente tappezzate dalle opere, dietro al vetro con sottili cornici di legno. Segni grafici, ripetuti con piccole varianti di colori o in dimensioni crescenti. O ancora 506 buste affrancate e altrettanti disegni in tecnica mista realizzati con la collaborazione delle Poste Francesi, del Centro d’arte contemporanea di Grenoble, del Museo delle poste (foto al centro). In altri quadri ci sono simboli affiancati ad altri simili, che di casella in casella vengono a comporre un insieme : è la storia della "moltiplicazione".  Impossibile riuscire a vedere tutti i passaggi, come quasi impossibile distogliere l’attenzione. Vale la pena però distrarsi un attimo per osservare lo straordinario pavimento. Totalmente diverso il Cabinet de curiosités a Tornabuoni Arte. Oltre alle opere sono esposti, e sono anch'essi opere, documenti inediti, cartoline, schizzi, progetti, appunti del quotidiano sulle cose da fare, le spese ecc. Provengono dalla collezione di Agata Boetti e danno vita al personaggio, al suo modo di lavorare, alla sua creatività. Oltre a un video e a una ventina di foto in bianco e nero scattate dal fotografo Giorgio Colombo tra il 1966 e il 1993 (foto in basso). Ci sono i quadretti con le parole, gli speciali ricami, le mappe, forse le sue opere più conosciute. Un’intera stanza è dedicata a Muro e a Zoo. Il primo è un insieme di disegni, foto, schizzi, nato come taccuino di appunti e progetti da sviluppare. Il secondo, pensato dall’artista come un gioco da fare con i figli Agata e Matteo, è un’installazione composta da centinaia di animaletti di plastica e un tappeto con una mappa (foto in alto). La mostra all’Accademia di S.Luca chiude il 15 febbraio 2025, quella in Tornabuoni Arte il 22 febbraio.



martedì 3 dicembre 2024

LETTERE DI E A UN SEDUTTORE SPECIALE

I modi di viaggiare sono infiniti. E’ vero ed è scritto anche sul logo di Albeggi Edizioni. E quindi anche in copertina di La verità di Elvira. Puccini e l’amore egoista di Isabella Brega. In effetti per l’anno pucciniano nel centenario della morte del grande musicista, l’autrice ha pubblicato un’edizione speciale del suo libro, edito nel 2018, arricchendola di una ben congegnata guida di luoghi pucciniani della Versilia e della Lucchesia. Ma non è certo per questa aggiunta, per quanto interessante e ben documentata, che il libro merita una lettura attenta. 


La formula, infatti, è particolarmente incuriosente, si presta a considerazioni e riflessioni sul personaggio. E’ in forma di epistolario: una ventina di lettere, alcune scritte da Puccini, svariate dalla moglie Elvira e dalla sorella (di Puccini) Ramelde, una dalle amiche, forse amanti, Sybil e Josephine von Steigel, una dalla figliastra Fosca. Alcune sono autentiche reinterpretate, altre frutto di fantasia, ma sempre su basi veritiere. L’unico uomo nella corrispondenza è lui, il Maestro, e questo la dice lunga sul suo rapporto con le donne. Capace di forti passioni e gran seduttore, ma assolutamente inaffidabile, donnaiolo irriducibile, gaudente smodato e seriale. In tutte le sue "maschilistiche debolezze" appare soprattutto nelle lettere di e a Elvira, per certi aspetti donna gelosa, vendicativa, disprezzata dai più, famiglia di lui compresa, massacrata dai critici,  eppure determinante nella vita e nella carriera di Puccini. Anche se sempre tenuta nell’ombra. Completano il libro un’intervista alla famosa soprano bulgara, da moltissimi anni in Italia, Raina Kabaivanska, e alla nipote ed erede Simonetta Puccini, figlia naturale di Antonio, unico figlio di Elvira e Giacomo, morta nel 1917.

venerdì 29 novembre 2024

IL SOGNO E' IN SCENA

Stilizzati ballerini compaiono sul palcoscenico, apparentemente sono nudi, ma di una nudità non provocante, eterea. In realtà indossano attillate tute color carne. Si fa fatica a distinguerne il sesso.  A sorpresa, a poco a poco, perdono peso e consistenza e si librano verso l’alto. Sul palcoscenico restano i loro corpi distesi, abbandonati come inutili fardelli. Dopo un po’ di tempo si scopre che non sono immobili, muoiono braccia e gambe, con eleganza e ritmo. Sono i cinque ballerini che, riflessi in un enorme specchio inclinato, diventano le creature volanti. Non a caso lo spettacolo s'intitola Fellini Dream e la compagnia No Gravity . Ed è in prima milanese al Teatro Menotti Filippo Perego fino al 1° dicembre. 


I danzatori, che sembrano “sfidare le leggi gravitazionali”, sono la Compagnia di Danza di Emiliano Pellisari , che cura le scene, i costumi, le luci, importantissime, e ovviamente la straordinaria coreografia, insieme a Mariana Porceddu, in arte Mariana/P, che è anche la prima ballerina. E’ lei al centro di questo sogno felliniano, ribadito dalle musiche di Nino Rota. Oltre che da continui riferimenti, più o meno forti, alla creatività del grande regista. Come le strane suore che circondano la protagonista e all’improvviso spiccano il volo e diventano farfalle. O i cerchi formati dai ballerini ed enfatizzati da mantelli, che si muovono come nuvole, i palloncini, gli ombrelli. O ancora il pagliaccio bianco vestito con il surreale cappello a cono. Tutti “freschi” del sogno da cui sono usciti. L’incantesimo continua, forse un po’trascinato. E non perché si rompe la magia, che all’inizio davvero sorprende e affascina. 

domenica 24 novembre 2024

COME METTERSI ALL' OPERA

Si segue con attenzione e si ride spesso. Ma far ridere non è la finalità e l’obiettivo primario di L’opera da 4 soldi in prima nazionale al Teatro della Cooperativa di Milano da venerdì scorso al 1° dicembre. Anche se il titolo potrebbe creare qualche dubbio in proposito e il sottotitolo ovvero come avrei fatto l’Opera da 3 soldi se avessi avuto i soldi per fare l’Opera da 3 soldi, confermare solidamente il carattere farsesco. Scrive nelle note Massimiliano Loizzi, che dello spettacolo è autore oltre che regista e unico interprete: “Avrei potuto chiamarla L’Opera del migrante evocando quell’Opera del mendicante di John Gay (poeta e drammaturgo britannico del 1700), da cui il capolavoro di Brecht fu tratto... raccontare un universo brulicante di miseria e dolore, con la maschera dell’intrattenimento e della satira”.



Certo la partenza è quella e cioè una storia ambientata nei bassifondi di Londra con mendicanti, delinquenti, tra rapine, prostituzione, ma anche amori. In realtà è un provocatorio attacco alla società capitalista e al mondo borghese, responsabile delle miserie del proletariato. Proprio come nell’opera brechtiana Loizzi al parlare alterna il canto, spesso supportato da scritte che compaiono sullo schermo-sfondo del palcoscenico. In un mix di melodramma e commedia. Dove i personaggi citati, e che ogni tanto si sostituiscono a quelli voluti da Bertolt Brecht, sono i nostri politici, sbeffeggiati ma assolutamente aderenti ai veri personaggi per l’insulso frasario. Ogni tanto Loizzi coinvolge il pubblico, ma senza insistenza disturbante.  Scherza con qualcuno perché sembra non capire, chiede l’applauso, cammina fra le poltrone. Le sue battute sono veloci alle volte anche troppo, tanto da non riuscire ad afferrarle prima della risata del pubblico. La satira c’è ed è forte, riuscita, ma senza mai arrivare alla presunzione di voler lanciare dei messaggi.

giovedì 21 novembre 2024

LA VITA E' UN ROMANZO. DAVVERO.

Che il suo libro potesse dare, attraverso il racconto della sua vita, un’esauriente e dettagliata visione del "periodo storico", non se ne dubitava. La scrittura chiara e ben articolata, senza concessioni a frasi fatte e retorica descrittiva si immaginava. Ma che Gisella. Volevo essere felice di Gisella Borioli Lucchini, "prendesse" come un romanzo, addirittura un thriller dalla trama ben congegnata, è stata una sorpresa. La trama non c’è, almeno nel senso tradizionale, ma c’è qualcosa che funziona in modo altrettanto efficace ed è il sentimento che gioca da filo conduttore. Sentimento che va dalla timidezza, e al saperla vincere, all’affetto incondizionato per la famiglia, dal grande amore fatto di attese, insegnamenti e batticuori per il marito Flavio Lucchini alla passione per il lavoro, tale da far superare la paura di mettersi in gioco. 



Ne viene fuori una Gisella personaggio. Senza mai percepire autoreferenzialità, nemmeno nelle descrizioni delle più avventurose imprese editoriali e del loro successo. Questo poteva già apparire alla presentazione del libro, un piacevole incontro, con un "Amarcord" di persone che hanno condiviso parte della vita, ma soprattutto del lavoro di Borioli, nel grande salone del FLA (FlavioLucchiniArtMuseum) al Superstudio Più. Ma un conto è la parola, che può essere smorzata, mitigata, addirittura ironizzata con un sorriso in più, un’esitazione, una pausa al punto giusto, un conto è la scrittura, ferma, immobile che non permette, né promette interpretazioni diverse. L’intenzione di Borioli di non cadere nella trappola dell’autocelebrazione e nella retorica, perfettamente mantenuta, forse è già espressa in quelle sei righe sotto il titolo: "Gioie e dolori, amori e tradimenti, successi e sconfitte, sogni e bisogni (titolo di una rubrica di Donna, mensile fondato e diretto dai Lucchini).Il turbolento mondo della moda nel sottofondo. Ogni vita è un romanzo. Questa è la mia".  A completare il tutto la prefazione di Andrée Ruth Shammah, (regista e direttrice di teatro a cui Borioli è legata da molte iniziative comuni) e svariate foto dei fotografi che hanno ruotato intorno alla coppia, tra cui  quella in copertina del matrimonio, firmata Oliviero Toscani. Dal libro si riesce anche a capire, non a condividere certo, come qualcuno per "invidiosa debolezza" abbia tentato di sfumare o anche di cancellare, i personaggi Lucchini e Borioli, dalla storia dell’editoria di moda e non solo.

martedì 19 novembre 2024

OLTRE IL GIARDINO

Il libro s’intitola Il giardino delle delizie e il suo autore è un architetto. Immediato pensare che si tratti di un architetto di giardini. E invece no. Ugo La Pietra è anche un editor, un musicista, un fumettista, un pittore, un cineasta, ma nella progettazione non tratta giardini.  Li tratta d’artista, nel senso che oltre ad aver scritto  altri libri sui giardini, li studia, li dipinge, li disegna. E nella mostra, aperta alla Galleria Paula Seegy a Milano fino al 30 novembre,  si trovano ben 27 delle sue opere in gran parte inedite, tra acrilici su tela, su legno, su carta, oltre a un album di disegni. Ma dietro a questi lavori c’è tutto un pensiero che La Pietra ha ben espresso ieri alla presentazione del libro in galleria. 




Ha parlato di urbanistica, di natura, di artificio. Perché il giardino è espressione del rapporto tra natura e struttura e dal punto di vista artistico nei giardini si fondono l’arte concettuale e la spettacolarità, due correnti artistiche che lo stesso La Pietra ha attraversato o comunque ne è venuto a contatto. Nei suoi dipinti si percepisce l’amore per i giardini “meta di riposo psicofisico, luogo dove coltivare  …spettacolarità e concettualità”, “spazio organizzato per il piacere”, “espressione del superfluo”, “sinonimo di paradiso”. Da cui la serie Il giardino delle delizie.  Ma anche l’incontro tra struttura e natura : è il caso dell’affascinante serie Gazebo (foto in basso). Nel libro scrive di fare attenzione al rapporto architettura-natura perché con il tempo vince la natura. Il suo discorso si "allarga", passa dal parlare del giardino come luogo di rifugio e contemplazione ai gazebi come luoghi di decompressione che nelle città potrebbero offrire un rimedio all’inquinamento acustico e atmosferico. 
 Evidenzia come in Italia, a differenza dei paesi soprattutto del nord, non ci siano parchi urbani. Un filo poetico aleggia su tutto. Riporta frasi come quella di Gilles Clément (botanico, paesaggista, entomologo che da anni conduce esperimenti nel suo giardino nella Nuova Aquitania, in Francia):"...il giardino sembra il solo e unico territorio d’incontro tra l’uomo e la natura, dove il sogno sia autorizzato". E osservando i suoi quadri il sogno continua. In linea ed esaustiva la prefazione del libro di Manuel Orazi.  

venerdì 15 novembre 2024

QUEL PASTICCIACCIO BELLO

Un umorismo raffinato, inedito, con riferimenti colti d’attualità e non, capace di scatenare risate irrefrenabili, che riesce a tenere la scena per un‘ora e mezza, senza un momento di cedimento. Questo è Fantasista!-A comedy pastichaccio (sì proprio scritto così) per la prima volta a Milano, al Teatro della Cooperativa fino al 17 novembre. In scena con un leggio, che guarda di tanto in tanto, Alessandro Ciacci (classe 1989) che del monologo è autore, regista oltre che unico attore. Come lui stesso scrive nelle note di regia è uno "show fluido" in cui “lo spettatore non assisterà a nulla di canonico, di ortodosso…un happening in cui le risate saranno provocate da un’imponente dose di follia”.

E qualcosa già affiora in quel sottotitolo : menippeo q.b. & con uso di paillettes. Ciacci parla di tutto, dall’autobiografico incontro con la sua maestra d’asilo, alla proposta della fidanzata Laura di una costosissima passeggiata nel bosco per sentire il bramito di un cervo. Con intervalli, in stile pubblicità del vecchio Carosello, revocato dalla musica. In un mix, spiega Ciacci, di Monthy Python e Woody Allen, si pubblicizza anche una bara. Niente è prevedibile, niente è scontato. Così tanto che se ci si distrae un attimo si rischia di perdere il filo. E si finisce per guardare invidiosi il vicino di poltrona che ride a crepapelle. Lo spirito critico c’è, si sente, ma non è dominante e comunque non è il filo conduttore. Ci sono dei bersagli, ma accennati, da intuire. Interattiva l’ultimissima parte in cui l'attore chiede al pubblico di scegliere tra due proposte per una serie di "cose", assolutamente surreali.

giovedì 14 novembre 2024

QUELLO CHE CONTA E' L'IMPRESSIONE

Il film Pissarro. Il padre dell’impressionismo, diretto da David Bickerstaff, già come è strutturato dice molto della pittura dell’  artista. Quale altro film biografico potrebbe essere fatto solo con dipinti del pittore, alternati da qualche altro non suo e dai commenti di direttori di museo e curatori di mostre? Il suo tipo di pittura, come lo stesso Pissarro afferma, non porta sulla tela persone, natura, case, come sono, ma ne riporta l’impressione che possono dare e che gli hanno dato. Da cui il nome Impressionismo. E come tali in questo senso già parlano di lui, del suo modo di vedere il mondo intorno, perché le sue opere sono tutte dipinte dal vero.  




E'particolare la sua visione di un bosco, della campagna francese, di un boulevard parigino ma anche delle persone.  Attraverso le contadine intorno all’albero (nella foto del manifesto) riesce a trasmettere il senso del lavoro duro, della fatica quotidiana, più che farne dei ritratti.  Nella donna "che si bagna i piedi" si percepisce la freschezza dell’acqua,  oltre a una certa sensualità. Nel ritratto della figlia morta a otto anni, con in braccio la bambola si avverte il dolore di un padre che conosce il tragico destino della sua bambina. Il film mette ben in evidenza la forza della pittura di Pissarro, il suo essere stato avanti nei tempi e quindi le difficoltà a essere capito. Molto di questo artista Bickerstaff l'ha ricavato dalle lettere intime scritte agli amici, conservate presso l’archivio dell’Università di Parigi, ma anche nell’archivio dell’Ashmolean di Oxford, primo museo pubblico del Regno Unito e della retrospettiva dedicata a Pissarro in quattro decenni.  Il film che fa parte della Grande Arte al Cinema , distribuito in esclusiva per l’Italia da Nexo Studios con i partner Radio Capital, Sky Arte, My Movies, sarà nei cinema solo il 19 e 20 novembre. 

mercoledì 13 novembre 2024

CRONACA DI UN MISTERO

Nessuno nato entro la fine del secolo scorso può non ricordare quel 16 marzo del 1978 e provare commozione, indignazione, rabbia, paura, sgomento. Difficile però che questi sentimenti possano tornare tutti insieme in un teatro.  Perché è questo che suscita  Moro: i 55 giorni che cambiarono l’Italia, ieri e oggi al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano.  In scena Ulderico Pesce  che ha scritto il racconto scenico con il giudice Ferdinando Imposimato, titolare dei primi processi del caso Moro, e ne ha anche curato la regia. 


E’ lui che prende la voce di Ciro, fratello di Raffaele Iozzino, uno degli uomini della scorta di Moro uccisi quel 16 marzo, l’unico che riuscì, prima di morire, a sparare due colpi di pistola contro i terroristi. Toccante il suo ricordo dell’ immagine in televisione del lenzuolo da cui usciva un braccio con un orologio, proprio quello che lui, Ciro, aveva regalato a suo fratello per la Cresima. Al racconto personale, con l’incredulità, l’orribile scoperta, il dolore della mamma si alternano considerazioni su quel giorno. Sui dettagli, i commenti, le testimonianze che sempre di più convergono a dimostrare come quel rapimento-strage, con conseguente assassinio 55 giorni dopo, era frutto di una macchinazione giostrata da un presidente del Consiglio e un ministro dell’Interno manovrati dai petrolieri e i conservatori americani, per bloccare quel compromesso storico che mai si attuò.  Uno schermo ogni tanto manda immagini di via Fani, delle auto,  dei corpi per terra, dello stesso Imposimato. Impossibili da dimenticare. Anche queste come le parole di Pesce mettono in risalto incongruenze e stranezze, che confermano sempre di più il complotto dall’alto. Perché la scorta teneva nel bagagliaio le armi e non a portata di mano? Perché sia l’auto di Moro che quella della scorta non erano blindate? Dov’era scomparso quel rullino con le foto dell’agguato? Perché a indagare sul rapimento fu l’Ucigos, organismo di polizia speciale alle dirette dipendenze di Cossiga, creato solo due mesi prima? Perché uno dei titolari della scorta venne mandato in ferie quel giorno e sostituito da Francesco Zizzi, da pochissimo poliziotto, appassionato di canzoni e di Modugno , che  prima di morire, in auto, cantava La lontananza. Ed è proprio quel mix di quotidianità e di tragedia, di persone normali  diventati indimenticabili e compianti eroi che rende quanto mai forte lo spettacolo. L’unico difetto la poca permanenza a Milano. Che invoglia  però a un altro spettacolo al Teatro Menotti, sempre scritto, diretto e interpretato da Ulderico Pesce, con l’accompagnamento della fisarmonica di Pierangelo Camodeca. E’ I sandali di Elisa Claps, dal 14 al 17 novembre, che racconta un altro mistero: quello della ragazza scomparsa e ritrovata cadavere dopo 17 anni nel sottotetto di una chiesa di Potenza.             


venerdì 8 novembre 2024

VANITA' DELLE VANITA'...

Al primo impatto affascina e sarebbe sufficiente per meritare una visita. Ma la mostra Vanitas da Brun Fine Art a Milano dà molto di più. Tutto comincia dal titolo. Una parola latina che vuol dire vuoto, effimero, poi prende significati diversi, non sempre positivi. Legati alla bellezza certo, ma anche a quella superficialità che ne deriva, al fermarsi alle apparenze, ai luoghi comuni. La mostra in qualche modo lo racconta. Esposte una sessantina di opere tra sculture e gioielli.  Le sculture sono busti o teste in marmo bianco da fine 700 a fine 800, i gioielli sono invece moderni, ma soprattutto contemporanei. Un contrasto-accordo che in qualche modo è enfatizzato dai numerosi specchi sulle pareti, dove oltre le opere si riflette lo stesso visitatore. Con effetti particolari.


Al centro della galleria su un tavolo il classico putto-angioletto con in mano un grande bracciale e intorno teste femminili con collane e spille e una testa maschile con una mascherina d’oro. Tra i pezziforti, proprio davanti alla vetrina, una delle famose Psiche di Pietro Tenerani del 1861 con un gioiello cinetico, datato 1968, di Arnaldo Pomodoro, una catena d’oro “che scivola sulla schiena sublimando la bellezza della scultura”(in basso a destra). E poi il busto di donna con vistosa capigliatura a boccoli del 1838, firmato Francesco Pozzi, che “dialoga” con una collana dall’immaginifico ciondolo del 1974 su disegno di Man Ray del 1937(in alto a sinistra). O ancora il ritratto di Antonio Canova del suo allievo Raimondo Trentanove del 1822 con una coloratissima collana in poliuretano espanso dello scultore Piero Gilardi, scomparso nel 2023(in alto a destra). La mostra, inaugurata ieri, è aperta fino al 19 dicembre da Brun Fine Art, via Gesù 17.



 

giovedì 7 novembre 2024

STAPPARE E' DESIGN

Può un cavatappi diventare oggetto di culto? La risposta affermativa l’ha già data Alessandro Mendini nel 1994. Quando ha disegnato, per Alessi, Anna G stilizzata figura femminile in zama (mix di leghe a base di zinco) cromata e resina termoplastica, pronta ad aprire bottiglie. Dieci anni dopo la affiancava un altrettanto stilizzato Alessandro M, nello stesso materiale, anche lui pronto ad aprire bottiglie. Venti e trent’anni dopo, il loro successo continua e viene celebrato da una nuova versione della "coppia" con il design di tre nomi della moda, della grafica e della pittura e cioé Arthur Arbesser, Studio Temp e Fulvia Mendini, figlia del grande architetto. 

 





Nuovo anche il materiale biocomposto, per un ciclo di vita “ecologicamente responsabile”. Ogni designer ha inoltre creato una serie di solo due pezzi numerati e firmati e una prova d’autore, per un totale di nove pezzi. Arbesser ha decorato il suo cavatappi Anna G con pettinatura a caschetto e abito di vari colori forti, gli stessi usati nelle sue collezioni (foto in alto) e per la prova d’autore abito nero con maniche a palloncino verdi e vistosi orecchini (foto in basso a destra). Per lui, Alessandro M, ha scelto una casacca a maxirighe davanti e a maxiquadri dietro su pantaloni a righe e bombetta in testa. Pantaloni a righe anche per la prova d’autore ma con casacca, d’argento come il cappello a cono (foto in basso a sinistra). Studio Temp porta la street art su entrambi i cavatappi, ed ecco grafiche di segnaletica stradale e disegni vari anche con elementi fosforescenti, leggibili solo al buio. Fulvia Mendini immagina un bosco di querce colorate in rosso e in verde, che diventano un abito per lei e un completo per lui. I fantastici cavatappi sono nei negozi dal 15 ottobre, ottima idea per una tavola natalizia.

martedì 5 novembre 2024

BIOGRAFIA ILLUSTRATA DI UN GENIO

“L’uomo che ha distrutto la moda” così era titolato l’articolo  del Corriere della sera nell’ottobre 1976, firmato Enzo Biagi, su Elio Fiorucci. Ma è sufficiente leggere il sommario e aver conosciuto il giornalista per rendersi conto di quanta ironia c’era in quel titolo. Ora, a quasi dieci anni dalla scomparsa di Fiorucci, ci si chiede come mai solo adesso gli sia stata dedicata una mostra, che apre domani a Milano e chiuderà il 16 marzo. Location la Triennale, luogo adatto a un personaggio dall’inesauribile creatività, primo a mettere insieme moda, design, musica e soprattutto a cogliere nel mondo stili e modi di vita, reinterpretarli senza snaturarne le caratteristiche fondamentali. Tanto da essere stato “per almeno due decenni un magnete della cultura giovanile internazionale e la culla di contaminazioni più fertili e audaci”. Come ha detto Stefano Boeri, presidente della Triennale, alla presentazione della mostra, dove ha anche parlato di “riempire il vuoto di una formidabile amnesia”. 





Curata da Judith Clark, direttrice artistica e docente di Moda e museologia a Londra, con l’allestimento di Fabio Cherstich, regista e scenografo, la mostra racconta un personaggio davvero unico, partendo dalla sua infanzia. Il percorso espositivo si apre con un’ aula scolastica da un solo banco, quello di Elio Fiorucci e una finestra al posto della lavagna. Finestra da cui "il ragazzino distratto e non interessato allo studio" vedeva il mondo, fatto di viaggi, di sogni, ma anche di commercio, che sarebbe stato il suo futuro. Com’ era scritto nel tema su fogli protocollo, posato sul banco. Da qui comincia la mostra con un ordine cronologico, ma non "determinante". “Con il permesso di divagare” ha spiegato la curatrice “E’ un documento aperto, non chiuso... una biografia intellettuale rispettosa delle mura in cui siamo”. Sopra l’aula pendono modellini di aerei, automobili, elementi del viaggio e del sogno. Tutto il resto sono pezzi di archivio, molti dati dai famigliari. “Abbiamo messo in ordine un delirio” ha detto Cherstich. Ovviamente di creatività. Nell’ampio e lungo salone  manifesti 
con le vamp, con i famosi angeli, con personaggi vari, oggetti, e poi fotografie , capi di abbigliamento, i suoi stivaletti in gomma, i nanetti, le borse di plastica. Su un tavolo la ricostruzione della scrivania di Fiorucci traboccante di oggetti. Nelle foto e nei manifesti molti i volti conosciuti, da Keith Haring, a cui Fiorucci affidò il compito di decorare le pareti del negozio di Milano, ad Andy Warhol, che scelse lo store Fiorucci di New York per il lancio della sua rivista Interview.  E ancora Basquiat, Madonna, che erano suoi amici. Per tutta la mostra si sente musica di quegli anni, ma anche la voce di Fiorucci che racconta. Svariati i documenti, le foto, gli oggetti di paesi lontani portati da ogni parte del mondo dai suoi collaboratori "trovarobe". Oltre al manifesto della donna pettoruta con occhiali neri, che  mostra la pagina con l’articolo del Corriere della Sera. 



mercoledì 30 ottobre 2024

GHIACCIO BOLLENTE

La veste grafica, se ancora si dice così, è tanto attraente da pensare che l’interno possa deludere, dato anche che il libro parla di un marchio di moda. E invece Iceberg-1974-2024 rewind – fast forward  (edizioni La nave di Teseo) “delude” ma in senso positivo, nel senso che sconvolge le aspettative. Ci se ne accorge già a pagina 9 con l’introduzione di Angelo Fiaccavento. Che continua fino a pagina 14 scrivendo delle molte identità del marchio. Con un’analisi precisa e ben spiegata sui vari cambiamenti o meglio “le epifanie e fenomenologie che la griffe ha assunto in cinque decadi di storia”, appunto dagli anni 70 a oggi. 



Quindi si entra nel volume, immaginato come un assemblaggio di fogli prima sparsi, poi raccolti secondo il periodo. Quel che si dice uno "scrapbook". Sono disegni, pubblicità con ritratti di personaggi, schizzi, foto per riviste di moda, introdotti da una tabella con gli avvenimenti in Italia e nel mondo, non sempre i più importanti in assoluto, ma quelli che sono stati più determinanti nei cambiamenti di due decadi. Esempio dal 1970 al 1990: 1989 "...cade il muro di Berlino". Ma anche : 1985 "L’edonismo reaganiano è etichettato e sdoganato a Quelli della notte". A cui segue nella pagina dopo la descrizione di come la moda sia stata influenzata dal contesto e nello stesso tempo abbia influenzato il contesto, in ognuna delle due decadi. Che sono anche le decadi dedicate a Jean-Charles de Castelbajac, al quale si deve molto, nome compreso, della trasformazione di un’azienda di maglieria in un brand iperfashion. Come spiega bene la piccola storia in fondo al volume Un iceberg in Romagna. Da Gilmar a Iceberg senza ritorno, scritta da Marta Franceschini. Un racconto quindi fatto di immagini forti, ben studiate negli accostamenti dall’art director Luca Stoppini (che con Marco Sammicheli ha ideato e allestito la bella mostra Forme Mobili alla Triennale di Milano, dove sono presenti capi di Castelbajac), che sembrano al primo sguardo casuali, mentre niente è lasciato al caso. Nelle decadi dopo, i cambiamenti alle volte sono graduali alle volte più dirompenti. Sempre messi in evidenza dai più grandi fotografi del momento (Oliviero Toscani, Patrick Demarchelier, David Lachapelle, Peter Lindbergh, Steven Meisel), capaci di cogliere e raccontare il nuovo della creatività dei talentuosi stilisti che hanno lavorato per Iceberg. Tra i quali Marc Jacobs, Dan & Dean Caten, Giambattista Valli, Alexis Martial, Arthur Arbesser, e l’attuale James Long. Per nominarne qualcuno.   

martedì 29 ottobre 2024

LIBERTA' E' PARTECIPAZIONE?

Il tema è datato, quasi cinquantenne. Se ne può sorridere e ironizzare ancora. Ma la domanda che ci si fa è se può continuare a reggere come spettacolo teatrale. Una risposta affermativa la continua a dare il titolo “Libertà obbligatoria”. Contradditorio fino al surreale, polemico, con la giusta venatura di humour.  Ed è quell’ironia non cattiva, né per questo qualunquista e superficiale, che rende gradevole la nuova versione di Libertà Obbligatoria, grande classico di Giorgio Gaber e Sandro Luporini del 1976, da vedere fino al 31 ottobre al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano. 


La regia è di Emilio Russo che, spiega, ha voluto considerare lo spettacolo di Gaber come "un classico da interpretare e pur nella sua universalità provare a contestualizzare". Ha preferito al monologo originale "una lettura collettiva tra musicisti e attori". E così ha introdotto, accanto al gruppo del precedente premiatissimo Far finta di esser sani, due attori di teatro, per rendere più chiaro e pregnante con le parole il pensiero di Gaber. Ed ecco quindi i bravi e convincenti Lisa Galantina e Gianluigi Fogacci dividere la scena con la piccola orchestra(un insolito quartetto) di Musica di Ripostiglio, Andrea Mirò definita "gaberiana per vocazione" con la sua voce entusiasmante e l’eclettico e brillante Enrico Ballardini. L’andamento non è serrato, non ci sono colpi di scena o effettacci, quasi per lasciare il tempo ai ricordi di affiorare e, forse, di confrontarsi con il presente. Si ride, si sorride, ci si sente coinvolti e gli applausi al ritmo delle canzoni lo confermano. Azzeccata la scenografia che racconta una casa dietro tende trasparenti. Divertente e interattivo con il pubblico il bis con Destra-sinistra . Forse inutilmente attesa da qualcuno La libertà (è partecipazione).

venerdì 25 ottobre 2024

AIMEZ-VOUS MOZART?

Che ridere faccia bene alla salute è confermato. Se poi il riso non è cattivo, né amaro, né volgare, né offensivo e presuppone una certa cultura, è ancora meglio. Tutto questo per dire che Classical Therapy del MozART Group, al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano fino al 27 ottobre, è davvero uno spettacolo indovinato e "terapeutico". Sul palcoscenico un vero quartetto d’archi con i due violini, la viola e il violoncello, tutti musicisti diplomati presso prestigiose accademie musicali di Varsavia e Lodz, perché polacchi, che si esibiscono nei teatri di tutto il mondo da quasi trent’anni. 


Inizia come un regolare concerto con tutti in frac e le note del Mozart più conosciuto e poi a poco a poco la scena si trasforma. Qualcuno lo definisce cabaret, perché come in un cabaret ci sono danze, esibizioni, movimenti e uso degli strumenti musicali in modo inconsueto, che scatenano gli applausi. Ma in realtà è qualcosa di diverso, di speciale, dove niente è scontato e già visto.  Per quanto ci siano situazioni che suscitano convinte risate, non c’è presa in giro della musica, che sarebbe per certi versi facile. Nessuna delle gag tipiche su quel mondo, collegate magari al frac o al non coordinamento dei musicisti, o a qualche "stecca" clamorosa. Niente di tutto questo. E’ un racconto quasi storico sulla musica in cui la musica è linguaggio e filo conduttore, insieme a una garbata, ma solida ironia. Ci si mette un cappello da cow boy e gli strumenti diventano chitarre per musica country. Si muovono le gambe in un certo modo ed ecco il più scatenato rock and roll. Si suona qualche nota particolare, si usa gli strumenti come una batteria ed ecco i Beatles, che escono poi di scena uno dietro l’altro come sulle zebre di Abbey Road. Qualche accenno all’opera, ma mai insistito, perché troppo facile e al limite del grossolano. Geniale violino e violoncello suonati a quattro mani o ancora il ballo abbracciati in coppia suonando il violino.  Ogni tanto il primo violino dialoga con il pubblico in un inglese stentato. E sono dei break piacevoli che non interrompono, anzi completano l’atmosfera divertente. Al termine il coinvolgimento di una persona del pubblico con il tipico omaggio O sole mio all’Italia, spiritoso, ma non grottesco in modo scontato. Speciale il bis con un gioco di luci e ombre dietro uno schermo che conferma le capacità acrobatiche del quartetto, specie del secondo violino.

giovedì 24 ottobre 2024

A ZURIGO IL MONDO NEL TEMPO

C’è l’arte visiva nelle sue varie forme, dalla pittura alla fotografia, alla scultura, ma c’è di più nelle mostre che si tengono al Museum Rietberg di Zurigo. La collezione permanente raccoglie i tesori artistici extraeuropei, quindi dell’Africa, dell’America, dell’Asia e dell’Oceania. Ma le esposizioni temporanee, più a tema preciso, spaziano affrontando argomenti diversi, legati alla vita del paese, alla sua storia, alle vicende politiche e sociali. Ne è un esempio In dialogo con il Benin, arte, colonialismo, restituzione che, inaugurata a fine agosto, chiuderà il 16 febbraio. 




Il progetto vuole raccontare le vicende del patrimonio culturale del Regno del Benin, un tempo collocato nell’attuale Nigeria. Passando dal saccheggio dei colonialisti inglesi, alla vendita  dei beni sul mercato internazionale, fino agli scontri e le problematiche per la restituzione.  Quattro i curatori, tutte donne, alcune residenti in Nigeria, altre in Svizzera come Esther Tisa Francini. Interessante e in sintonia con il tipo di approccio della mostra l’allestimento,  con paratie che creano due spazi, uno interno con le opere e uno esterno che lo circonda, con fotografie (in basso l'Oba, tradizionale sovrano del Benin), testi, piccoli video, che illuminano sui passaggi, gli scontri culturali, i diversi modi di intendere l’arte e la cultura, gli interventi europei, eccetera. Tra le opere all'interno si va da pezzi del 16° e 17° secolo a molti del 1800 e del 1900 (nella foto in alto il particolare di una porta) fino ad alcuni, tra cui installazioni, commissionati ad artisti contemporanei su temi scottanti come la schiavitù o la memoria culturale.  Da vedere fino al 19 gennaio nello stesso padiglione, al piano inferiore Ragamala. Dipinti per tutti i sensi. L’esposizione propone una cinquantina di pitture miniaturali dell’India (Ragamala) che raccontano storie d’amore intense e dolorose, mettendo insieme musica, poesia e percezioni olfattive. E’ invece in una piccola villa, accanto alla principale, nel magnifico parco del museo, Iran Portrait of a country, mostra fotografica aperta fino al 5 gennaio 2025 (foto al centro). Sono esposte le immagini di Antoin Sevruguin , nato nel 1851 in Iran da genitori armeni, cresciuto a Tibilisi in Georgia, e poi tornato a vivere e a lavorare a Teheran,
dove è morto nel 1933.  Le 63 foto esposte, solo una minima parte dei 7mila negativi andati distrutti, tracciano in modo poetico e a volte struggente il profilo del suo paese d’adozione, appunto l’Iran, tra il 1880 e il 1896.  



 

sabato 19 ottobre 2024

CORAGGIOSA GRANDEZZA

Il film racconta la vita e le opere di un’artista, senza una cronologia precisa, con dialoghi, interviste, commenti di critici e persone che hanno ruotato intorno a lei. Non c’è una trama, né una sequenza particolare. Eppure quei 60 minuti si seguono come un thriller o con la curiosità di una commedia happy end. Si sta parlando di Maria Cristina Carlini. Il coraggio della grandezza di Pino Farinotti e Tiziano Sossi sulla scultrice. Prodotto da Daniela Azzola è stato proiettato ieri in anteprima al Meet Digital Culture Center di Milano, centro per la diffusione della cultura digitale, a un pubblico foltissimo. 




Certo il luogo è di grande attrazione, ma non è stato quello a influire e ben disporre alla visione. Come neanche la presentazione di Farinotti e Sossi. Breve ma approfondita, perfetta per introdurre il personaggio. E personaggio Carlini (nella foto al centro)lo è, nonostante l’ essere schiva, sempre semplice e naturale, senza mai fastidiose false modestie. Il suo percorso artistico inizia, quasi per caso, a Palo Alto in California, dove appena sposata segue il marito. Qui frequenta un corso di ceramica appassionandosi al torchio, tanto che quando si sposta a Bruxelles, oltre a continuare l’attività artistica, insegna a lavorare al torchio. Nel 1978 ritorna definitivamente a Milano, la sua città, e apre un laboratorio in zona Brera, chiamato Le terre.  Qui sta una trentina d’anni, fino a quando si sposta in una fabbrica dismessa di Via Savona dove attualmente vive e lavora. Il nome Terre non è casuale, le sue opere, quasi tutte di grandi dimensioni da cui il titolo del film, sono realizzate in materiali “veri” come l’acciaio, il corten, il ferro(nella foto in alto Bosco Ferro), il legno di recupero. Raramente sono colorate, i colori li prendono nel tempo. Oltre che con le loro forme parlano con l’irregolarità delle loro superfici. Nei racconti di Carlini non c’è mai niente di autoreferenziale. Si riscontra una grande determinazione, una passione che continua a esserci e a rinnovarsi, ma mai niente di costruito o di forzato. Anche quando parla dell’innamoramento da ragazzina del Tondo Doni di Michelangelo o della fascinazione per la Pietà Rondanini. Sono creazioni incredibili che, dice, le fanno pensare che sia impossibile creare qualcosa dopo. E invece le sue monumentali opere, presenti in tre continenti, la smentiscono. Da Fortezza a Roma a Viandanti e Danzatrici a Pechino. Da Madre e Out & Inside a Denver (foto in basso) a La Vittoria di Samotracia e Icaro a Miami fino a Impronte al Museo del Parco di Portofino e Obelisco in Piazza Enrico Berlinguer a Milano del 2024. 



mercoledì 16 ottobre 2024

LIBERTA' E' RECITAZIONE

Lo spettacolo è coinvolgente. Per quanto parli di qualcosa di lontano, dove il dialogo non esiste, ma la poesia prende il sopravvento. Per quanto racconti di una società e di una civiltà ideale vissuta più di ventimila anni fa, dedita alla ricerca di cultura e bellezza. Quindi al limite del surreale. Gli attori si esprimono più con i gesti e i movimenti del corpo che le parole. Che ci sono, ma sono qualcosa di lontano, che vanno interpretate e devono essere legate al contesto. Un contesto e cioè un palcoscenico con cassette di legno e un grande tubo di plastica, ispirato all’opera dell’artista cinetico Giovanni Anceschi




Lo spettacolo è Extravagare. Rituale di reincanto (nelle foto)con la regia di Ivana Trettel e rientra in una rassegna ideata dalla compagnia Opera Liquida. Ieri è stato al Pacta Salone, il 4 ottobre al Teatro PuntozeroBeccaria dell’Istituto Penale per Minori Cesare Beccaria, e il 25 ottobre sarà al teatro della Casa di reclusione Milano Opera. Il 24 ottobre, invece, arriverà nel carcere di Opera, Antigone della compagnia Puntozero, invitato dalla compagnia Opera Liquida. Non è casuale la scelta di uno spettacolo all’Istituto Beccaria o nel teatro del carcere di Opera, dato che Puntozero è una compagnia teatrale composta da detenuti e non, dell'Istituto Penale Minorile Beccaria, mentre Opera Liquida è una compagnia composta da detenuti ed ex detenuti della casa di reclusione di Opera. Non solo per quel che riguarda gli attori, ma anche per i tecnici audio e luci, gli scenografi, i costumisti. Eccetto per la regia che, per Extravagare è di Ivana Trettel(nella foto), curatrice anche della drammaturgia e per Antigone di Sofocle di Giuseppe Scutellà. Nel programma della rassegna, il 12 e 13 ottobre c’è stato il seminario Il metodo di Opera Liquida : un approccio artistico al teatro in carcere, condotto da Ivana Trettel, che dal 2008 si occupa di Opera Liquida da lei fondata, affiancata da Vittorio Mantovani storico attore della compagnia, ex detenuto. Il 24, 25, 26 ottobre si apre la terza edizione della Masterclass L’officina di Opera Liquida : un incrocio di sguardi tra teatro e accademia, che coinvolge oltre che Trettel, docenti universitari, docenti dei laboratori, quindi attori, formatori, costumisti e persone detenute partecipanti ai corsi, ed è aperta gratuitamente a studenti universitari, operatori e artisti. L’iscrizione alla Masterclass a numero chiuso si chiude domani. La rappresentazione di Antigone il 24 ottobre e di Extravagare il 25, entrambe nel teatro del carcere di Opera, sono invece aperte anche al pubblico esterno. E davvero vale la pena vederle, per il grande impegno e la professionalità delle due compagnie. E soprattutto per la comunicazione empatica. Per prenotazioni e biglietti, entro il 20 ottobre: www.operaliquida.org