Dopo Caravaggio: Il Seicento napoletano nelle collezioni di Palazzo Pretorio e della Fondazione De Vito: una mostra che si annuncia riservata a un pubblico di raffinati cultori. E invece i sedici dipinti, da vedere al Museo di Palazzo Pretorio di Prato dal 14 dicembre al 13 aprile, hanno tutte le caratteristiche per incuriosire e affascinare il visitatore più superficiale o meno colto.
Intanto è interessante la provenienza. Tre sono di Palazzo Pretorio (in alto a sinistra), ma gli altri fanno parte di una raccolta costruita dagli anni Settanta in poi da Giuseppe De Vito, imprenditore di Milano nato a Portici e scomparso nel 2015, con un approccio all’arte particolare. Appassionato della pittura napoletana, all’acquisto previlegiava lo studio dell’opera, che portava avanti sia di persona sia coinvolgendo giovani nella ricerca. Tanto da aver raccolto numerosi scritti in proposito e aver fondato il periodico Ricerche sul ‘600 napoletano. La mostra, curata da Rita Iacopino direttrice del museo di Palazzo Pretorio e da Nadia Bastogi direttrice della Fondazione De Vito, riflette il suo pensiero. Divisa in quattro nuclei evidenzia i diversi modi dei pittori di guardare alla pittura del Caravaggio. Nel primo si avverte forte l’influenza del suo naturalismo. Sono due opere del Battistello, forse l’allievo più noto del Merisi, e San Giovanni Battista nel deserto di Massimo Stanzione (nella foto in basso un particolare).Nel secondo all’iconografia religiosa subentra il ritratto di pensatori, filosofi, profeti.Vi appartiene Sant’Antonio Abate di Jusepe de Ribera, spagnolo di nascita ma figura determinante tra i napoletani, due ritratti di un non identificato Maestro dell’Annuncio ai Pastori e Uomo con cartiglio di Francesco Fracanzano (nella foto in alto, a destra). Segue un nucleo che ha protagoniste donne, dalle sante alla samaritana, alle figlie di Loth. La pittura si addolcisce. Anche la rappresentazione dei martirii non è mai nel momento clou, ma prima o dopo. Niente sangue o scene truculente. Si prelude al barocco e si comincia a sentire l’influenza dei fiamminghi e dei veneti. Nell’ultima sezione ci sono quattro opere di Mattia Preti e una di Nicola Malinconico, ormai in pieno barocco, dove lo studio della luce continua a essere straordinario, ma è forte anche l’attenzione ai dettagli, come le mani dei personaggi o la trama dei tessuti. Qui da vedere un video che racconta le indagini in corso nei laboratori di Restauro dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze su Giacobbe e il gregge di Labano, dipinto proveniente dai depositi del Museo del Pretorio, forse replica di uno di Ribera conservato all’Escorial, vicino a Madrid.(Le foto sono di Giovanna Dal Magro).
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