
venerdì 29 dicembre 2017
SEX AND THE GIFT

mercoledì 27 dicembre 2017
LUCKY DOG
mercoledì 20 dicembre 2017
TERRITORIO A PROGETTO
Non è certo una mostra per tutti o da vedere di fretta senza leggere le didascalie, soffermandosi solo su quello che già si conosce. Però Il territorio dell’architettura, Gregotti e
Associati 1953-2017, può far capire molte cose, incuriosire, perfino
appassionare anche chi è digiuno sull’argomento. Intanto la location, il Pac
Padiglione di Arte Contemporanea di Milano, progettato da Ignazio Gardella agli
inizi degli anni Cinquanta. Con ingresso su via Palestro, ma affacciato con grandi vetrate sui giardini
della Villa Reale, uno dei più bei parchi della città. Nei saloni e nel soppalco, sono esposti
sessanta disegni e quaranta modelli originali, oltre a 700 fra riproduzioni e
fotografie. Per un totale di 1600 progetti, che sono solo una parte del lavoro in sessant’anni di Vittorio Gregotti, di cui la mostre coglie l’occasione per
celebrarne i novanta di età. Prodotta dal Pac e da Silvana Editoriale, l’esposizione
è curata da Guido Morpurgo, che ha firmato anche il catalogo edito da Skira, con
l’allestimento dello Studio Cerri e Associati.
Studiato con intelligenza, perché riesce a raccontare cosa è, cosa è
stata nella mente degli architetti e cosa deve essere l’architettura. Senza una
linea di demarcazione con l’arte, ma soprattutto con il territorio, come anticipa
il titolo. Molti gli esempi significativi in questo senso, dal centro culturale
di Belém a Lisbona al Progetto Bicocca a Milano, al teatro di Aix-en-Provence,
che sembra riprendere la forma del vicino Mont Sainte Victoire (v.foto di
Jean-Claude Carbonne). O la rassegna all’ingresso con oltre quaranta libri e 1200 articoli su
riviste scritti da Gregotti, che spiegano la sua concezione di architettura, “non
fatta solo di costruito, ma anche di
pensato”. La mostra, che termina l’11 febbraio, è la prima di una trilogia,
promossa dal Comune di Milano, per celebrare i grandi maestri dell’architettura
e del design. La seconda parte nel 2018 è dedicata a Enzo Mari, mentre la terza
nel 2019 a Ignazio Gardella.
martedì 19 dicembre 2017
L'ABITO NON FA IL MONACO

domenica 17 dicembre 2017
UN BIGLIETTO PER ANDARE VIA

scena è un ashram in India dove i ragazzi si ritrovano a meditare. Come
fondale la proiezione di un magnifico bosco dove volano stormi di uccelli. Una
situazione idilliaca che mostra però già
i suoi risvolti di sgradevole realtà con il ronzio e le punture di fastidiosi
insetti. L’attesissimo arrivo del santone,
impersonato da una ragazza con barba, su cui si accanisce l’ironia, sancisce il
fallimento dell’esperienza. La seconda scena è un circo, la metafora di una
vita felice fatta di fantasie, musica, colore, danza ma anche un richiamo
all’effetto delle droghe. I nostri sogni
erano più veri della realtà ripete ogni tanto qualcuno. Nell’ultima parte i dodici attori sono in un
immenso loft di archeologia industriale, in smoking e abiti da sera. Alcuni
ballano stancamente, altri dormono, altri si abbracciano sulle panche. Qualcuno
si perde in tristi monologhi. Per terra
un tappeto fatto di bottiglie e bicchieri vuoti. C’è ancora la voglia di libertà, ma si percepisce
che è successo qualcosa di doloroso, che la droga, l’alcool, il vivere liberi
non sono riusciti a tenere lontano. Siamo
negli anni ’80 la festa è finita, l’ubriacatura degli anni ’70 ci ha lasciato
sconfitti, incapaci di reagire. Comunque
il vento è cambiato, la rivoluzione è avvenuta, la vita non sarà più la stessa.
Diretto da Emilio Russo lo spettacolo ha un’importante componente musicale firmata da Andrea Salvadori, compositore e inventore di suoni della Compagnia
della Fortezza di Volterra. Molte le canzoni dei Beatles cantate tali e quali
in a solo o in coro oppure rivedute e
con arrangiamenti. Ma come ha spiegato il regista non vuole essere una
celebrazione del mitico gruppo. Si parte da loro come spunto per parlare di una
generazione che ha percorso determinate
tappe ed è riuscita a portare avanti
un’idea di libertà, talvolta anche al prezzo di sconfitte.
venerdì 15 dicembre 2017
COM'E' SCIATTA LA CITTA'...

maggiormente non sono le gravi problematiche come traffico, interminabili lavori in corso, sporcizia, di lunga e laboriosa soluzione. Sono i dettagli, deplorevoli quanto rimediabili. Sono le piccole sciatterie che colpiscono come un pugno in un occhio. E non solo al confronto degli antichi palazzi, delle chiese e delle piazze secolari, dei tesori archeologici, dei giardini storici, ma anche degli edifici e delle strutture contemporanee, come la rinnovata stazione Termini, per esempio. Una costruzione ben inserita nel contesto, con spazi organizzati, segnalazioni chiare e nei posti giusti, negozi attraenti con una varietà di proposte indicative di quello che può offrire il made in Italy e non solo. Un piano superiore dalle grandi vetrate, con ristoranti e locali buoni per rendere piacevoli le attese, ma anche per incontri di chi non deve partire (foto in basso). Ma basta uscire e l’impatto sgradevole è immediato. Dei grandissimi vasi di coccio, che dovrebbero formare un corridoio verso piazza della Repubblica, solo tre hanno piante, rachitiche e avviate a morire nel giro di poco tempo. Gli altri o sono vuoti o hanno disomogenei e trasandati cespugli d’ erba. In via Nazionale(foto in alto), che si raggiunge con una gincana tra sbarramenti, scavi, reticolati, quasi ogni cento metri ci sono degli orologi. Peccato che ne funzioni uno su quattro . Le bancarelle dei souvenir, tutte di rara bruttezza, ma è un classico, a Roma sembrano collocate strategicamente con il preciso intento di rovinare gli scorci e gli angoli più belli. La numerazione delle strade è bizzarra, per usare un eufemismo, distingue tra negozi e case di abitazione. Non sarebbe un problema se i numeri non fossero spesso mancanti. Difficile, anzi impossibile in questo modo calcolare a quale distanza sia un certo indirizzo. Ancora peggio la situazione delle targhe delle strade. Per lo più inesistenti. E quando ci sono, assolutamente illeggibili. In marmo o nel materiale dei palazzi, sicuramente un secolo e più fa, connotavano con eleganza la capitale. Ora la totale mancanza di manutenzione e la sporcizia ha reso le targhe un invisibile e inutile oggetto. Non c’è da stupirsi che chiedendo di una certa strada al solito passante con cane e l’aria di abitare in zona risponda “So che è da queste parti, ma…”. E magari si è nella via che si cercava. E tutto questo porta a dei paradossi. Per cui il quartiere dell'Eur, odiato e denigrato dagli amanti della città eterna, perché troppo lontano dal suo spirito, ora sembra un'oasi di perfezione.
Iscriviti a:
Post (Atom)