Stupisce pensare che Line al Teatro della Cooperativa di Milano fino al 12 giugno sia stato scritto più di 50 anni fa dal drammaturgo americano Israel Horovitz. Non stupisce, invece, che continui a essere rappresentata nel mondo e sia considerata la più longeva produzione dell’Off Off Broadway. Ovviamente con i dovuti aggiornamenti e le traduzioni, in questo caso molto ben calibrate dalla regia di Renato Sarti. Nonostante si possa considerare come teatro dell’assurdo, mette in evidenza una nevrosi reale e tipica della società contemporanea: la smania di assicurarsi il primo posto di una fila, appunto line, fino ad arrivare a una competizione con risvolti dal tragicomico al surreale. Di qualunque fila si tratti tanto è vero che non si fa cenno all’evento da raggiungere.
La scena si apre con un tipo di mezza età (Mico Pugliares), dall’aria rozza, che canticchia una canzonetta degli anni‘60 bevendo una birra, al suo primo posto conquistato, si saprà dopo, fin dalla notte. Nel giro di una ventina di minuti arrivano altri quattro personaggi. Il giovane saccente Stefano (Francesco Meola) appassionato di Mozart, che a forza di discorsi e sfoggi di cultura cerca di accaparrarsi quel primo, agognato posto. Quindi è la volta di Moira (Rossana Mola) bionda sensuale, che puntando sulle smancerie riesce a sovvertire temporaneamente l’ordine. Poi, ecco Dolan (Fabio Zulli) che finge nonchalance e superiorità, ma in realtà è tutto teso a conquistare quel metro in più. L’ultimo arrivato è Arnallo (Valerio Bongiorno) marito di Moira, ingenuo e remissivo, forse il meno interessato alla competizione, indifferente agli sberleffi e gli insulti della moglie, che senza pudore usa le sue arti seduttive, con seguito, per migliorare la posizione. Tutto finisce con un surreale balletto dove i cinque tengono in mano un pezzo di quella riga bianca, che definisce la line. Un finale metafora per ridere, riflettendo.
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