giovedì 12 luglio 2018

FIERA DELLE VANITA' ?



Luxus. Lo stupore della bellezza. S’intitola così la mostra a Palazzo Reale (a sinistra), da oggi al 30 settembre, prodotta dal Comune di Milano e dalla Fondazione Stefano Zecchi e curata dallo stesso Zecchi. Racconta “come il lusso abbia accompagnato, nella bellezza, la cultura occidentale in un costante e geniale intreccio con 
          quella orientale”. Un argomento non nuovo, ma che continua ad attrarre. Difficile da affrontare per la minaccia sempre incombente di cadere nello scontato, nel déjà vu, ma soprattutto di sforare. Ecco nel caso di questa mostra lo sforamento non c’è stato, ma ci sarebbe voluto. Buona la scelta degli oggetti esposti. Dai gioielli ai vasi, dalle scarpe ai profumi, dai vini al vasellame, ai bicchieri, fino alla tavola imbandita con candelabri a bracci e il mitico risotto di Gualtiero Marchesi dalla foglia d’oro, già nei piatti. Ma anche ai materiali,  come i vetri, gli specchi  piuttosto che  i tessuti in fibra ottica degli abiti di Federico Sangalli o ancora gli argenti. Non altrettanto convincente l’allestimento. Ognuna delle dieci stanze dell’Appartamento del Principe ha una sua identità, definita o spiegata da grandi libri con frasi celebri di scrittori e maître à penser sul lusso e la bellezza. C’è  la stanza del Palazzo  con i simboli del potere, dal mantello dell’imperatore alla sedia dell’incoronazione (in basso). C’è quella delle Vanità con le vestaglie del Vate. Ci sono le maschere e i manichini con mantello che occhieggiano a Eyes wide shut. Ci sono i  costumi teatrali che arrivano dalla Scala.  E c’è perfino la tigre imbalsamata, che viene dal Museo di Storia Naturale. La cornice è prevaricante e spesso sposta l’attenzione dagli oggetti. Si perde il filo del discorso. C’è troppa discrepanza fra la bellezza e la creatività  dei contenuti e il contenitore. Non abbastanza enfatizzato da arrivare all’onore del kitsch, né sufficientemente originale da superare il pacchiano tout court.





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