martedì 13 maggio 2025

RACCONTI IN VIAGGIO

Piccoli racconti per immagini dove poesia e ironia si accordano e si compenetrano. Questa è la mostra fotografica Doppia Uso Singola che si inaugura giovedì alla Galleria Patricia Armocida di Milano. Già il titolo, divertente ma con un retrogusto di tristezza per l’allusione alla solitudine, anticipa i contenuti. Questi sono giocati sulla collaborazione dell’artista, l’eclettico Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce, e la curatrice della mostra, la stessa gallerista Patricia Armocida.





Le 200 
foto esposte e incorniciate hanno il formato 20x20 delle "cementine", piastrelle da pavimentazione tipiche della Sicilia, di cui è originario Colapesce e dove sono stati realizzati la maggior parte degli scatti. Sono suddivisi in tre nuclei. Il primo, DUS acronimo di Doppia uso singola, usato nel "linguaggio alberghiero" e che dà il nome all’intera rassegna, raccoglie foto di camere d’albergo. Spesso il letto è disfatto e si vede utilizzato solo da una parte. Molte le foto di dettagli dal frigobar all’appendiabiti, alla doccia, al telefono sul comodino (in alto a destra). Lo completano un settore dedicato alle chiavi, prese da sole o inserite nella porta o sul pannello nella reception. La seconda serie, racconta “la relazione simbiotica” di Teresa e Anna, nonna e prozia dell’artista (in alto a sinistra). Immagini delle due case, dove molti particolari coincidono, ma anche di capi del guardaroba, spesso uguali, anche se le due signore non vorrebbero ammetterlo. E qui l’ironia è il filo conduttore.  Come anche nella terza serie intitolata Giorni sfiniti, dove i paradossi come una scala che porta a un muro o un assurdo groviglio di fili elettrici nel pieno centro di una città si alternano a immagini poetiche come un cielo di nuvole o uno spicchio di mare eoliano. La Galleria Patricia Armocida è a Milano in Via Filippo Argelati 24. La mostra è aperta d martedì a sabato dalle 11,30 alle 19, dal 16 maggio al 27 giugno.

lunedì 12 maggio 2025

NATURALMENTE PREZIOSI

E'calcarea l'enorme parete rocciosa chiamata Balena Bianca tra i boschi di San Filippo nel sud della Toscana. Ma Calcarea è anche il nome di una collezione di borse “che parla di ciò che resta, di ciò che resiste, di una bellezza che si sedimenta nel tempo”, presentata a Milano questa settimana.  





Proprio come quella roccia, anche l’ultima creazione di Biagini, marchio di alto artigianato fondato 40 anni fa da Alberto Amidei a Modena, affiancato dalla moglie Enza e dal 2009 dai tre figli. Un accostamento quello delle borse e delle rocce perfetto. Ribadito nelle immagini della campagna, frutto della collaborazione della famiglia Amidei con la fotografa Carlotta Bertelli e Gianluca Guaitoli direttore creativo di Studio Hamor, firmatario dell'art direction della collezione. A far da testimonial, nella natura splendida di Balena Bianca, Marie Sophie Wilson, modella icona e musa di Peter Lindbergh negli anni 90, tornata di recente in passerella per Valentino Haute Couture.  Ed eccola quindi seduta su una roccia, a piedi nudi in un piccolo ruscello, con lo sfondo del bosco, con in mano o a fianco alcuni dei pezzi clou della collezione. Dalla tracolla a forma di pesce in pelle dorata alle sacche in pitone o in struzzo, alle piccole borse squadrate in coccodrillo. Veri gioielli di prezioso artigianato. 

giovedì 8 maggio 2025

DIETRO GLI OCCHIALI

 La Biennale di Architettura di Venezia apre sabato ma già ci sono eventi e mostre. Come The lens of time, inaugurata ieri a Cannaregio, nel Palazzo Flangini, il primo che s’incontra sul Canal Grande appena usciti dalla Stazione, restaurato da poco. Ideale per raccontare la storia dell’occhiale dalle origini medioevali agli anni 90. Un oggetto con finalità funzionali, addirittura dispositivo medico, che mette insieme arte, design, artigianato, tecnologia, tradizioni, passato, presente e futuro. Come indica, sul manifesto della mostra, l’occhiale trasformato in clessidra, uno de simboli più rappresentativi del tempo che scorre. 





Da vedere al piano terreno, in teche di vetro, oltre 150 pezzi provenienti da tre collezioni, quelle private della famiglia Vascellari, ottici veneziani, e di Arte del Vedere di Lucio Stramare e  quella del Museo dell’Occhiale di Pieve di Cadore. Il percorso espositivo, in un’unica sala, attraversa sette secoli. Dai primi rudimentali strumenti per leggere del 1300, in ferro, rame, ottone, da appoggiare sul naso, usati soprattutto da studiosi e religiosi, come  spiegano i manifesti alle spalle, fino all’eyewear fashion degli anni 80 e 90 firmato delle più prestigiose maison, in nuovi materiali plastici. Molte le curiosità rivelatrici di modi di vivere, ma anche i pezzi con una storia specifica.  Come i rudimentali e pesanti occhiali di Sean Connery nel film In nome della rosa, o i piccoli, metallici inseriti nella copertina di una Bibbia, appartenuti probabilmente a un religioso (v.foto in basso). Svariati anche  gli astucci o le speciali lenti, come quella grande verde con montatura e manico in legno usata nel 1700 dalle dame veneziane in gondola, per ripararsi dal sole responsabile di “orribili abbronzature da contadina”. O ancora nel secolo dopo gli occhiali racchiusi nel manico di un bastone, di un ventaglio, di una collana, le lorgnette, i fassamano da tenere in mano (da face-à-main), i pince nez (v.foto al centro)
. Fino ad arrivare agli anni 50 con gli occhialoni da diva hollywoodiana a farfalla, precursori degli attuali cat-eye. E, dopo, alle maschere da moto e da sci, come quella indossata da Lady Gaga nella parte di Patrizia Reggiani nel film House of Gucci. Fino alle montature grandi firme o ai divertissement con vistose pietre di Moschino o con aste–forchette di Jean Paul Gaultier.  A completare il tutto due installazioni dell’artista Maurizio Paccagnella, una realizzata con acetato scarto di fabbricazioni di montature, l’altra con occhiali in un pannello che sembrano galleggiare in una materia fluida, ispirata alla Laguna di Venezia. La mostra, promossa da ANFAO Associazione Nazionale Fabbricanti Articoli Ottici, è a ingresso gratuito, tutti i giorni dalle 11 alle 17, fino al 30 luglio.  

lunedì 5 maggio 2025

TIPI DA FOTO


Typologien
s’intitola la mostra sulla fotografia in Germania nel 20° secolo, alla Fondazione Prada di Milano. Un titolo che incuriosisce, ma anche intimidisce. Come spiega la curatrice Susanne Pfeffer, storica dell’arte e direttrice del Museum MMK fur Moderne Kunst di Francoforte, fa riferimento a un "principio-metodo" per far emergere somiglianze e differenze. Un principio quello delle tipologie, non a caso, applicato negli studi botanici del Seicento e Settecento. Molto utile trattandosi di oltre 600 foto scattate da 25 fotografi, dal 1906 ai primi anni 
duemila. 





Quasi a insistere o a spiegare il "principio-fil rouge", ad aprire il percorso foto di piante e fiori realizzate da svariati fotografi. Dai ritratti perfetti, a scatti di paesaggi con inquadrature particolari, a interpretazioni surreali che spingono a visioni inaspettate come le  piante colte nel loro aspetto più stilizzato, tanto da sembrare architetture. La tipologia  si sposta sugli animali ed ecco immortalati da Candida Hofer tigri, leoni, giraffe e ma anche orsi polari e pinguini (foto in alto), ripresi e "mortificati" in giardini zoologici. Testimonianza di una “forma di solitudine dei tempi moderni”. Sempre della stessa autrice le biblioteche di Londra, Parigi, New York, riprese fuori orario, illuminate e deserte. E poi le case, come la differente "interpretazione-arredo" di una stessa stanza in un grande condomino berlinese. Famosa la foto del caseggiato di Maine-Montparnasse a Parigi, di Andrea Gursky, con un’ elaborazione digitale che gioca sulle differenze e le ripetizioni delle finestre. Sulla ripetizione e la diversità sono anche i ritratti di  persone  da sole sullo stesso ascensore di Heinrich Riebesehl. Nessun titolo, nessun nome, sebbene si sappia che le foto sono state scattate nell’ascensore di un quotidiano di Hannover e gli uomini e le donne ritratti sono persone che vi lavorano(foto in basso). Una di queste foto è anche la locandina della mostra. Gli sguardi diversi nello stesso ambiente sono i veri protagonisti. In una stanza chiusa il ciclo di Hans Peter Feldmann su morti legati a movimenti politici dissidenti. Novanta immagini, quasi sempre riproduzioni sgranate di fotografie  pubblicate su giornali. La mostra nel Podium della Fondazione Prada di via Isarco, aperta  il 3 aprile, chiude il 14 luglio.  

mercoledì 30 aprile 2025

PICCOLI, CONVINCENTI RITRATTI

“Salgo in scena senza copione e scaletta” scrive Ascanio Celestini nel comunicato del suo spettacolo Il piccolo paese, evento speciale, solo ieri, al Teatro della Cooperativa di Milano. E non è certo per quel commentare uno strano starnuto del pubblico o rispondere a una domanda. 




Nel suo programma di microstorie, accompagnate dalla fisarmonica davvero straordinaria di Gianluca Casadei, ci sono intere storie aggiunte o improvvisate. Alcune sono surreali, in altre ci sono personaggi reali, veri, anche con nome e cognome. Alcune sono brevi, altre più lunghe. Di alcune, forse la maggior parte, si ride, altre si ascoltano in silenzio e si arriva a commuoversi. Come per il ricordo di Giulio Regeni. Ed è lo stesso Celestini a far cadere qualche lacrima.  Ma in tutte, da quelle da copione a quelle improvvisate, c’è un pensiero di base che non solo le accomuna ma le rafforza. Ed è quello in cui si specchia il pensiero del pubblico, foltissimo( Pare non sia stato possibile accontentare tutte le richieste di biglietto). Dalla critica di un simbolizzato capitalismo, rovina dell’individuo, alle scelte discriminatorie e senza alcuna logica di un ministero. Da piccoli quadri di situazioni estreme degli ultimi cinquant’anni a un "progetto personale" di bomba.  Fino addirittura a due barzellette, giocate su un'ironia "matura e documentata". Divertenti, ma soprattutto dimostrative. 


 

venerdì 25 aprile 2025

RACCONTATELO CON I FIORI

Può esserci un racconto in cui piante e fiori sono protagonisti, ma che non sia una fiaba o simili? La risposta è sì, sfogliando e leggendo Egeo & Flora. Incontro tra mare e terra di Mila de Franco (Etabeta Edizioni). Nelle pagine del libro, con moltissime fotografie, si parla di un tipo di flora specifica. Alcune specie sono tipiche di quelle coste e di quelle isole, altre sono più comuni e si trovano in vari luoghi. Ma tutte hanno un’identità precisa, si può anche dire delle caratteristiche che le rendono più "animate e vitali".


     



Tutte, infatti, sono piante selvatiche che nascono senza che nessuno le pianti o le curi. In tutte c’è qualcosa che le rende speciali. Tutte crescono, si conformano, si piegano o restano perfettamente diritte per adattarsi al luogo dove sono, ma addirittura per difendersi dagli eventuali attacchi d’insetti e animali. E questo fa di loro degli esseri viventi, con cui è quasi possibile avere un dialogo. Ed è questo che esce dalle foto, ma che è soprattutto spiegato in quello che scrive Mila de Franco, biologa, ricercatrice, counselor olistica. Scritti che sono il frutto di ripetuti viaggi e lunghi soggiorni nell’Egeo, specie nelle Micro Cicladi.  Con la complicità di uno spirito di osservazione e un’attenzione che si rivela immediatamente già nelle prime pagine. Dove si passa dal cespuglio isolato al fiore appena sbocciato, ingrandito al massimo, e diventato il regno di un’ape. Ma anche di una roccia a picco su un mare blu o di un asino che sbuca improvvisamente da dietro uno scoglio. Documentatissima, ma da leggere piacevolmente come un romanzo, la parte finale con le immagini e le descrizioni delle specie più particolari e autoctone. In perfetta armonia con le note dell’autrice a chiusura. In cui invita a camminare nella natura ed entrarne in sintonia per trarre dal contatto il massimo beneficio. “Cerca un posto in cui ti senti a tuo agio che ti riempia di gioia”. E’ l’ultima frase del libro, solo una piccola sintesi di tutto quello che si vede e si legge nelle pagine del libro. Davvero convincenti.

mercoledì 16 aprile 2025

COSA C'E' SOTTO?

Vista così in fotografia sembra un’installazione, ovviamente interattiva, data la presenza dell’umano, del Fuorisalone di Milano. O di un’altra scenografica mostra in qualche parte del mondo. Non è virtuale, esiste e non è stata progettata e costruita dall’uomo. Si trova in Spagna, in Andalusia ed è la Geoda Gigante di Pulpì, piccolo centro di 8 mila abitanti non lontano da Almeria. E’ considerato il più grande geode d’Europa e uno dei più importanti del mondo. Da qualche tempo è stato inserito nel Patrimonio Mondiale dell’Unesco dal 95° Consiglio del Patrimonio storico della Spagna, riunitosi a Murcia.






Si trova a 60 metri di profondità all’interno della Mina Rica, una miniera di ferro e piombo, chiusa da anni, della Sierra de Aguilon ed è stato scoperto nel 1999 durante un’escursione del Gruppo mineralogista di Madrid. Ma che cosa è un geode? E la cavità di una roccia magmatica rivestita da enormi cristalli di gesso. Nella Geoda di Pulpì i cristalli sono particolarmente lucenti e con dimensioni da record, otto metri di lunghezza per due metri di altezza e undici di diametro. E tutti benissimo conservati, nonostante siano il risultato di un processo di carsificazione durato cinque o sei milioni di anni. Altra caratteristica che rende eccezionale la Geoda di Pulpì sono le dimensioni. Si presenta, infatti, come una grotta che può ospitare al suo interno fino a dodici persone. Chiusa al pubblico fino a qualche anno fa, si può ora visitare in gruppi di massimo 12 persone. Il tour dura circa 90 minuti. Dopo una visita alle gallerie della vecchia miniera, si scendono 164 gradini e si raggiunge il geode.