mercoledì 29 ottobre 2025

SPAZIO PADRONE

Sembra un’ovvietà, eppure nessuno lo fa rimarcare. La scultura deve vivere nella presenza dello spazio.  Deve dialogare con ciò che le sta intorno. Un concetto interessante che è emerso nell’incontro di ieri alla Paula Seegy Gallery di Milano. A farlo notare è stata Maria Cristina Carlini artista, ma soprattutto scultrice. Di cui sono esposte in galleria, dal 25 settembre all’8 novembre, alcune opere.





Motivo dell’incontro estemporaneo la presentazione dei suoi "tirage de luxe" con il critico e curatore Matteo Galbiati. Si tratta di quaderni con le foto delle opere in mostra e in fondo una piccola opera in tiratura limitata di 20 esemplari, realizzata a tecnica mista con interventi in oro, che può essere lasciata nel catalogo o incorniciata e appesa. Un’occasione per dialogare con l’artista sulla sua attività e sulla mostra in corso Maria Cristina Carlini. Material, Composition, Architecture. Ed è per questo che rispondendo alle domande di Galbiati, che ha definito dedizione, vocazione e tenacia le caratteristiche del suo lavoro, Carlini ha parlato del dialogo con la materia. “La scultura vive la difficoltà della materia”, “Lo scultore deve pensare alla terza dimensione”. Ha quindi parlato dell’obbligo per l’artista di rispettare e assecondare la materia, la terra in particolare che è viva. Ma anche la ceramica con cui Carlini ha iniziato il suo percorso artistico. “Si deve tenere conto di quattro elementi che sono l’acqua, il fuoco, l’aria, la terra”. Interessante venire a sapere come la materia possa condizionare ma anche guidare l’artista. “L’ispirazione non so casa sia” ha detto. Una frase davvero apprezzabile in un’artista del suo livello, soprattutto in un mondo dove sembra che non si possa disegnare neanche una scarpa o una T-shirt senza l’ispirazione con la I maiuscola.  L'artista ha quindi parlato dello spazio che agisce sulla scultura, mettendo in evidenza come sia impegnativo quando non si conosce il luogo dove la scultura sarà collocata, indipendentemente dalle sue dimensioni. Una serie di concetti e commenti che contribuiscono ad apprezzare maggiormente le opere. Dalle sperimentazioni con materiali diversi, come corteccia, legno, cartone, ai paesaggi dell’anima Omaggio a Kiefer, alle immaginarie architetture.

martedì 28 ottobre 2025

PROFESSIONE CRITIC0

Non capita di frequente vedere una mostra sull’attività di un critico d’arte. Sembra quasi un paradosso. Certo può interessare gli addetti ai lavori, studenti e docenti d’arte, critici stessi e artisti.  Ma si ha qualche dubbio sul fatto che possa essere attraente per un visitatore comune. E invece Enrico Crispolti. La critica in atto al Museo del Novecento di Milano, dal 24 ottobre, non solo incuriosisce e stimola un pubblico vario e non specializzato, ma è l’inizio di un ciclo espositivo che il museo dedica a critici, curatori e storici dell’arte “che hanno contribuito a orientare letture, linguaggi e correnti dell’arte contemporanea”. 




Curata da Luca Pietro Nicoletti in collaborazione con l’Archivio Crispolti, attraverso libri, foto, scritti, critiche su giornali e riviste, ricostruisce un periodo artistico che va dai primi del 900 fino al 2018, anno della morte di Crispolti. Un archivio che non è solo di conservazione ma di divulgazione e quindi attivo. Il percorso espositivo si divide in sezioni che più che seguire una cronologia seguono dei temi. La prima parte dal 1951 e racconta il critico giovanissimo (era nato nel 1933, al centro Crispolti nel 1975) e la sua formazione universitaria alla Sapienza di Roma, prosegue con i suoi studi su vari artisti contemporanei, l’interesse per la Pop Art e il tema dell’arte nello spazio. Una seconda sezione vede Crispolti docente universitario, prima a Salerno poi a Siena, la sua partecipazione alla Biennale di Venezia per tre edizioni, le retrospettive dedicate a Burri, Cagli, Fontana e Magritte che lui vede come un precursore della Pop Art. Con il tema Volterra ’73 prende forma l’interesse sociale e politico, con studi sul rapporto tra arte, spazio urbano, lavoro. Una sezione documenta il suo impegno di curatore per tre anni per la Biennale di Venezia, l’interesse per l’arte ambientale e la grafica, per cui progetta cataloghi, libri, manifesti. Fino ad arrivare alla mostra sul futuro alla Mole Antonelliana di Torino del 1980, "che prelude alle mostre immersive contemporanee" (foto in basso). Ad accompagnare il visitatore registrazioni audio, libri digitalizzati, filmati storici accessibili tramite QR code. Di Silvana Editoriale il catalogo che raccoglie saggi, documenti e fotografie. La mostra, davvero incuriosente e piena di stimoli grazie anche a un coinvolgente allestimento, chiude l’11 gennaio.     

lunedì 27 ottobre 2025

SOGNI? DESIDERI? REALTA'

 “I sogni son desideri…” è scritto tra i bozzetti di Gaia Lucchini esposti al FLA FlavioLucchini Art Museum di Milano. Nel mitico film d’animazione di Walt Disney era l’esortazione di Cenerentola agli amati animali di non smettere mai di sognare. Perché a volte i sogni si avverano. Così è stato per Gaia e la prova è da vedere nella piccola mostra, aperta fino al 23 dicembre, in una delle sale dell’enorme museo ricavato nel rifugio antiaereo dell’ex fabbrica ora Superstudio Più, dove sono esposti più di 700 lavori di Flavio Lucchini, art director e creatore di Amica, Vogue Italia, Donna ecc. 





Sono tre abiti originali e disegni di abiti, di cui svariati utilizzati per spettacoli teatrali. Soprattutto i bozzetti, nella loro varietà, tracciano bene la figura di Gaia, figlia d’arte al 100% (Il padre è Flavio Lucchini, la madre è Gisella Borioli, giornalista pluridirettore e insieme fondatori dei quattro Superstudio) ma soprattutto il suo talento e la sua variegata formazione.  Appassionata di ballo e ballerina lei stessa, dopo gli studi di danza e coreutica contemporanea tra Milano e Parigi, prosegue con studi d’arte a Providence e di fashion design a New York. Da anni vive a Dubai, dove con il suo brand Miss Gaja crea i costumi dei musical più famosi in scena all’American School of Dubai. Ma anche abiti "da sogno" per balli importanti. Come i due esposti, uno nero, l’altro bianco. Tra i bozzetti, tutti indossati, i pezzi più evocativi, appena usciti da una fiaba non ancora raccontata. Come quelli con frange che ricordano la leggerezza trasparente della medusa, o  l’abito veramente da sirena, piuttosto che un ondeggiare di fasce bianche e nere intorno a un lungo tubino per una “zebra couture”. Ma anche “a sorpresa “il classico abito scuro maschile.

sabato 25 ottobre 2025

CREATIVITA' IN DIALOGO

 Si è aperta oggi, al Museo del Tessuto di Prato, Azzedine Alaïa e Cristòbal Balenciaga. Scultori della forma. Cosa accomuna questi due grandi couturier, oltre la capacità di scolpire il tessuto e quindi il corpo femminile, come dice il titolo? Molto di più. Entrambi stranieri, uno tunisino, l’altro spagnolo, hanno iniziato la loro attività a Parigi diventando vere icone della moda francese. Tanto che Hubert de Givenchy li considerava i talenti che meglio hanno segnato la storia della moda, mettendo insieme tecnica e arte. E la mostra nasce dal suo desiderio di riunirli in un’unica esposizione. Che arriva al Museo del Tessuto in occasione del suo cinquantesimo anniversario. Una collaborazione della Fondazione del museo con la Fondazione Azzedine Alaïa di Parigi, presieduta da Carla Sozzani, e i Balenciaga Archives di Parigi. Con il patrocinio dell’Ambasciata di Francia e curata da Olivier Saillard, storico della moda e designer. 





L’allestimento mette ben in risalto la creatività dei due couturier, il loro aver anticipato i tempi, ma soprattutto la capacità di valorizzare il corpo femminile.  Per quanto sia ben evidenziato lo studio dei tessuti e le tecniche sartoriali, la mostra non è solo per addetti ai lavori, ma riesce ad avere un taglio quasi spettacolare. A cominciare dalla prima stanza con un fasciante abito di Alaïa e un lungo da sera Haute Couture di Balenciaga al centro e, sulle pareti, dodici disegni originali di Balenciaga, per la prima volta in Italia, alcuni con le foto dei capi indossati, e un video di Alaïa nel suo atélier (foto sopra). Quindi il percorso, non cronologico, continua con tre sezioni, dove si affiancano le creazioni dei due.  Nella prima Atélier Tailleur capi più strutturati come abiti-redingote, giacche, tailleur, dove velluto e tessuti jacquard sono protagonisti. Nella seconda, Atélier Flou ci sono gli abiti da cocktail, da gran sera, ma anche da giorno. Taffetà, raso, e il famoso "gazar", rigido ma non troppo, sono in primo piano come drappeggi e scolli particolari. Terzo settore Spagna, dove i capi strizzano l’occhio al flamenco e ai toreador, e merletto “guipure” e pizzi Chantilly si sposano con pelle ricamata, traforata, impreziosita da perline e strass. Per arrivare alla mostra, passaggio obbligato e piacevolissimo nelle sale dell’esposizione permanente del Museo, molto ben organizzata, con una notevole e interessante collezione-spiegazione sugli "stracci riciclati" per diventare filati. Consigliato, anzi obbligatorio, uno sguardo al cortile con la grande vasca-fontana dove venivano lavati gli stracci e allo shop fornitissimo di libri e di oggetti intriganti. La mostra chiude il 3 maggio 2026.    

martedì 21 ottobre 2025

FOTO SPONTANEE DEL REGNO ANIMALE

Animal Kingdom Candids s’intitola la mostra fotografica con asta, il 30 ottobre al 3° piano della Throckmorton Fine Art di New York.  I soggetti sono animali di ogni tipo, anche se il weimaraner di Wegman sulla locandina potrebbe far pensare a una limitazione a quelli domestici e addomesticabili.  Ma non è la particolarità dell’evento. Lo è la sua finalità e la storia che ha dietro. E’ infatti organizzato da una fondazione che si prende cura degli animali nell’isola greca di Amorgos. A cui è devoluto il ricavato dell’asta oltre il ticket d’ingresso di 25 dollari.



    
 
                                                                                   
 

La sua origine data agli anni 80, quando una psicanalista italiana, che vive a New York, in navigazione nelle Cicladi con il marito, per un guasto del traghetto fu costretta a sbarcare su un’isola, bellissima e senza turismo, appunto Amorgos. In giro vide cani, gatti, cavalli in condizioni disastrose e nessuno che potesse curarli. Da quel momento iniziò una raccolta fondi per far andare due volte la settimana un veterinario sull’isola.  Incominciò a costruire rifugi fino a creare una fondazione di cui l’asta è una delle forme di finanziamento. Le foto in mostra, dove il fil rouge del curioso e dell’humour sono dominanti, sono di importanti fotografi, per la maggior parte americani, tra cui William Wegman, noto per i suoi straordinari scatti con i weimaraner, conosciuti anche come cani grigi di Saint Louis. Tra i non americani, l'italiana  Giovanna Dal Magro, ritrattista e fotografa d’arte, architettura, viaggi, grande appassionata di animali, capace di dialogare con tigri e leoni, come con cani o gatti. Sue un pavone con la ruota filtrata dalla luce, un cigno simile a una porcellana, un tenero levriero tra le statuette di monaci indiani e un pitbull dietro le sbarre, che Dal Magro assicura essere stato dolce e disponibile, a dispetto della fama della sua razza. 

venerdì 17 ottobre 2025

QUEL FATIDICO QUARTO D'ORA

E’ così piacevole, ben studiato, interessante, pieno di spunti il Vitra Design Museum di Basilea, che qualsiasi mostra è un’occasione da prendere al volo per visitarlo. Non è così per Catwalk: The art of the Fashion Show, da ieri fino al 15 febbraio. Perché sarebbe un’attrazione in qualsiasi location. Non solo per l’unicità, dato che parla di moda, non riferendosi a uno stilista o a una maison, come varie mostre in giro. Ma perché parla della sfilata e della sua storia come fenomeno di costume: "quindici minuti di cui le immagini fanno il giro del mondo". Mettendo in evidenza le connessioni nel tempo con l’arte, la musica, lo spettacolo, l’architettura. 






Il percorso espositivo si snoda in diversi saloni. S’incomincia dagli inizi del 900, con foto di Charles Frederick Worth che per primo ha mostrato alle sue clienti i capi indossati da modelle e non su manichini. O di Gabrielle Chanel che faceva scendere da una scala con specchi le indossatrici, "embrione" di una sfilata. O le bambole vestite di tutto punto in fil di ferro o quelle più realistiche dell’archivio di Balenciaga. Si prosegue con le prime sfilate dagli anni 50 in poi. A Parigi si sfila al Café de Flore o alla Brasserie Lipp. Accanto all’alta moda arriva il prêt-à porter. Kenzo trasforma le sfilate in feste, dove le modelle si muovono a ritmo di musica. Per Missoni una piscina di Milano diventa passerella. Fino ad arrivare alle top model con le quattro bellissime di Versace e alla sfilata spettacolo con folto pubblico, musica, applausi. Foto, ma soprattutto video e gli abiti sui manichini ricordano i casi più clamorosi.  Alexander Mac Queen fa dipingere un abito sulla modella da due robot (foto in basso). Chanel trasforma il Grand Palais in un supermercato o nella pista di lancio di un'astronave (foto in alto). Le location sono sempre più ricercate e a sorpresa. Un parcheggio e un ospedale in disuso per Martin Margiela, intorno alla Fontana di Trevi per Fendi. Alessandro Michele per Gucci ripropone il Cyborg Manifesto in una finta sala operatoria con la modella che in mano tiene la propria testa, riportata anche in manichino (foto al centro). Louis Vuitton costruisce un’incredibile passerella nel cortile del Louvre (foto al centro). La creatività è dappertutto, persino negli inviti di cui molti esposti. Non si arresta neppure con la pandemia. Ed ecco nella quarta sala la collezione in miniatura di Dior in una casa di bambole. O un video in cui Balenciaga fa scendere in passerella i suoi capi sui Simpsons. Prada fa sfilare l’uomo in ambienti rivestiti di tessuti di vario tipo e colore, poi dati alle scuole di moda per i saggi degli studenti. Tutto questo si ritrova nel catalogo, trattato come un vocabolario con le parole chiave delle sfilate. Da Azzedine Alaya e Backstage a Yves Saint Laurent e Zenith (sala di concerto alla Villette di Parigi dove Thierry Mugler ha sfilato varie volte), passando per Front Row, dove non poteva mancare la foto della "dea della prima fila" Anna Wintour (Il diavolo che veste Prada, direttore di Vogue America), Set Design e Mary Quant.

martedì 14 ottobre 2025

UN RACCONTO FATTO AD ARTE

Si chiama Bice Lazzari. I linguaggi del suo tempo, la mostra che si apre il 16 ottobre nel settecentesco Palazzo Citterio di Milano. Un titolo perfetto per presentare le opere di un’artista che ha lavorato con tutti i linguaggi possibili, confrontandoli, affiancandoli, mixandoli. Nata nel 1900 e morta nel 1981, Lazzari ha attraversato quasi l’intero secolo “lasciando un segno profondo e inconfondibile”.  Non a caso è stata l’unica donna inclusa nella mostra Kandinsky e l’avventura astratta alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia del 2003.   




Conosciuta forse più all’estero che in Italia, delle oltre 110 sue opere esposte svariate provengono dalla Phillips Collectiondal National Museum Women di Washington e dal Salamon R.Guggenheim Museum di New York. Femminista, "di un femminismo non di prassi ma concreto, lontano dal clamore del femminismo di strada" come ha detto Renato Miracco, che ha curato magistralmente la retrospettiva. La mostra mette ben in evidenza i passaggi dell’artista dall’arte, nei suoi vari linguaggi, fino all’arte applicata. Dalla tempera alla matita su tempera, fino al mosaico (foto al centro), moltissime le tecniche usate. Lo studio della materia è stato per Lazzari importantissimo e molti quadri lo rivelano.  Per mantenersi ha lavorato come artigiana disegnando stoffe al telaio, vetri, decorazioni di ambienti, borse. Giò Ponti le affidò la realizzazione dei tessuti per i suoi arredamenti. Ha decorato gli interni del transatlantico Raffaello. Anche la musica entra nelle sue opere. Con studi al Conservatorio di Venezia, era ossessionata dal bianco e nero dei tasti del pianoforte. E anche le partiture fanno parte di una serie di quadri che chiama Colonna sonora. Ma non sono titoli, sono solo dei nomi per "catalogare" lavori che utilizzano la stessa tecnica. Interessante ed evidente, come ha fatto notare Miracco, la circolarità della sua arte. Nelle opere degli ultimi anni si ritrovano gli stessi spunti ed elementi di quelle degli anni Venti. In un autoritratto o in una natura morta si individuano linee di riferimento uguali a quelle della pittura astratta. Notevole la ricerca dei colori, perfino nelle opere degli ultimi tempi, realizzate quando la malattia l’aveva resa cieca.  La mostra, che chiude il 7 gennaio, è al primo piano, da dove è possibile vedere  Fiumana di Pelizza da Volpedo, studio del più noto Quarto Stato, in un confronto a sorpresa con un’opera astratta di Bice Lazzari negli stessi colori.  Una piccola, ma ulteriore prova di un allestimento d’eccezione.