lunedì 23 febbraio 2015

RIAPRIRE I NAVIGLI



E’ il titolo di un libro appena uscito, ma anche il nome di un’associazione che a Milano vuole rendere di nuovo navigabile quel corso d’acqua  che attraversava il centro storico e che iniziò a essere chiuso sotto il Fascismo nel 1929, per  venire quasi completamente sotterrato negli anni ’60. Per chi ha visto qualche vecchia foto, l’idea ha un colore di romantico passatismo, con spunti di velleitarismo un po’ patetico. Perché inseguire un’immagine di città decisamente superata e soprattutto investire del denaro in un’operazione nostalgia, con tutte le problematiche del momento da risolvere? E invece leggendo attentamente il libro e soprattutto ascoltando il punto di vista di chi a questo progetto ha lavorato e sta lavorando, si scopre che riaprire i Navigli non è un’iniziativa vetero, ma un’opera contemporanea.   La Lombardia è la prima regione italiana per estensione fluviale,  e curiosamente anche quella con più vie navigabili. Addirittura per l’Europa è inserita nella macroregione Adriatico-Jonica. Non a caso lo storico Carlo Cattaneo scriveva che la storia della Lombardia è una storia d’acqua. I Navigli navigabili non darebbero  solo più fascino alla città, ma da studi fatti porterebbero vantaggi per l’agricoltura, l’industria, i trasporti oltre che per il turismo. Otto chilometri navigabili a Milano connessi con il Naviglio Grande e quello Pavese potrebbero segnare un utilissimo collegamento con i laghi e il Po fino all’Adriatico.
Il problema è dove trovare i fondi per opere di ingegneria e architettura di un costo stimato fra i  120 e i 150 milioni di euro. E’ importante, dicono i responsabili dell’associazione,  far conoscere il progetto, spiegarlo alla gente, non  solo ai milanesi, e poi procedere da una parte con la richiesta di finanziamenti europei, dall’altra con sottoscrizioni popolari o formule di crowdfunding, magari approfittando dell’occasione Expo. 

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