giovedì 5 marzo 2020

IL FATTORE K



C’è chi pensa che una mostra non va spiegata prima, fa parte dell’opera che il visitatore ci metta la sua interpretazione e le sue emozioni. Nel caso di K, progetto espositivo di Udo Kittelmann alla Fondazione Prada di Milano, l’approccio tabula rasa è impossibile. Difficile dalla K indovinare il riferimento a Franz Kafka. Si può intuire solo per una delle tre parti della mostra, il film di Orson Welles Il processo (1962), tratto dal romanzo dello scrittore boemo. Ma non per le altre due, salvo forse i titoli, The Happy End of Franz Kafka’s America per l’installazione di Martin Kippenberger del 1994 e Franz Kafka The Castle per il brano di musica elettronica dei Tangerine Dream del 2013. Questo allude al romanzo kafkiano Il castello, e si ascolta nella Cisterna, seduti su avvolgenti poltrone di plastica disseminate su una moquette lilla: è la traduzione in suoni dell’angoscia del protagonista che deve raggiungere, appunto, il castello. Come ha scritto Edgar Froese, fondatore della band morto nel 2015, “E’ impossibile trasformare Il castello in musica…non sarà mai nulla di più di un tentativo…Ma il fatto di aver corso il rischio merita un plauso”. L’opera di Kippenberger nel Podium racconta attraverso combinazioni di sedie, tavoli, poltrone, scrivanie, l’odissea dei colloqui d’assunzione per un circo dei vari aspiranti, protagonista compreso, del romanzo Il disperso o America. Qui il visitatore può stare seduto su due tribune laterali o girare intorno alle varie postazioni, dove svariati pezzi sono di design italiano degli ultimi anni, e pensare a  colloqui di lavoro, ma anche a incontri particolari, famigliari, casuali. Suggeriti da elementi a sorpresa, come il sedile alto dell’arbitro di tennis, il podio di un bagnino con il salvagente per l’emergenza, una scrivania con cassetti senza fondo, un lungo tavolo verde, con solo due sedie spaiate a capotavola. Così l’installazione prende vita e diventa interattiva con l’immaginazione di chi la guarda. Un’esperienza affascinante che si completa con la musica dei Tangerine Dream , ma soprattutto con il film di Orson Welles che non tradisce, nonostante sia in bianco e nero, i suoi quasi sessant’ anni. La fotografia è straordinaria per novità e capacità di coinvolgere, così come la recitazione di un giovanissimo Anthony Perkins-Joseph K, non colpevole per le accuse che gli sono mosse, ma perché fa parte di una società colpevole. Come scrive il regista che considera Il processo il suo migliore film.
La mostra K, inaugurata il 21 febbraio e subito chiusa, da ieri è riaperta e lo resterà, salvo nuove disposizioni per Coronavirus, fino al 27 luglio. Cinema compreso, dato che può garantire gli spazi di sicurezza tra spettatori.

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