Sulla scena ci sono ben sedici attori ma non è una commedia, tutti ballano ma non è un balletto, c’è musica ma non è un musical, anche perché nessuno canta dal vivo. Non c’è una trama precisa, ma c’è una storia, anzi la storia. Le Bal, approdato ieri al Teatro Menotti nel mezzo di una lunga tournée,
racconta, come dice il sottotitolo L’Italia balla dal 1940 al 2001, la storia dell’Italia dalla vigilia della seconda guerra mondiale fino al dramma delle torri gemelle. A evocare i vari decenni le canzoni più note, anche se non sempre legate fedelmente al periodo. A cominciare da E’ l’uomo per me con la voce di Mina, che fa da colonna sonora alla scena iniziale con le otte donne di varie età e corporatura, tutte vestite anni ’40, sedute nella balera, e gli uomini che entrano. Anche loro sono diversi, dal timido occhialuto a quello di mezza età con pancetta, al principe azzurro in completo luccicante, al bellone narciso. Seguono, per il periodo della guerra e il fascismo, canzoni dell’epoca, da quelle con amori tragici e impossibili ai gorgheggi allegri del Trio Lescano, a Giovinezza, con flash spiazzanti di Rita Pavone. Le scene sono veloci, solo per qualche istante le luci si attenuano fra una e l’altra. Gli attori-ballerini si cambiano rapidissimi. Dalla tuta o la divisa passano in un attimo al costume da bagno ed è Sapore di sale intonata da Gino Paoli a evocare l’atmosfera dei divertenti inizi ’60 e il passaggio dal rock al twist, questa volta cronologicamente a posto e cantato da Rita Pavone. Ora il didascalico è abbandonato, forse troppo. Nessun riferimento o poco comprensibile al Movimento studentesco o alla Lotta di classe. Solo delle pistole lasciano intuire gli anni di piombo. A sorpresa, musiche d’oltreoceano accompagnano gli anni cupi della droga e lo sballo delle discoteche. La scena è di nuovo piena di luci e colori per un party, o meglio una cena elegante, con ragazze poco vestite e disponibili e uomini di potere. Qui le citazioni sono immediate e l’ironia torna ad avere la sua parte. Il finale, dopo il terrore e l’incredulità dell’11 settembre, è poetico. Gli attori recuperano gli abiti dell’inizio e uno alla volta scompaiono. Per ritornare tutti a salutare il pubblico, ringraziarlo e invitarlo, scendendo in platea a scatenarsi con loro in Guarda come dondolo. Lo spettacolo, nato da un’idea di Jean Claude Penchenat del Théâtre du Campagnol, è prodotto da Tieffe Teatro Milano con la regia di Giancarlo Fares, sul palcoscenico anche lui. Al Teatro Menotti fino al 4 novembre, per poi proseguire in tournée.
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