giovedì 16 maggio 2024

ANATOMIA DI UN DRAMMA

Un viaggio nella memoria, che parla di vite rubate dalla lotta alla mafia. Questo è Il tempo attorno in prima milanese al Teatro Menotti Filippo Perego fino al 19 maggio. Una storia in parte autobiografica, perché scritta da Giuliano Scarpinato figlio di due magistrati, che ricostruisce un periodo dagli anni Ottanta fino al processo Andreotti. Con la drammaticità temperata, ma non per questo meno efficace, della formula per cui i personaggi si presentano . 


Sono cinque: Paola Randazzo magistrato (Roberta Caronia), il marito anche lui magistrato Michele Vetrano (Giandomenico Cupaiolo), il loro figlio Benedetto (Emanuele Del Castillo) e i due uomini della scorta, il giovane e scanzonato Liborio Mansueto (Alessio Barone) e il cupo e intellettuale Diego De Piccolo (Gaetano Migliaccio). Sulla scena un grande masso da cui fuoriescono elementi d’arredo, dalla scrivania  dove lavorano in alternanza i genitori al divano dove si sdraia Benedetto per vedere la televisione, al frigorifero da dove si tirano fuori cibi, ma anche libri e pesanti faldoni. Una scenografia surreale con il masso che sul finale diventa il podio dell'aula del tribunale, da dove il padre magistrato pronuncia il suo discorso. Per il resto è la quotidianità che viene rappresentata. Una quotidianità continuamente minacciata, straziata da pensieri, notizie di cronache, sospetti, che provocano contrasti e fraintendimenti, di cui chi sembra soffrirne di più è Benedetto, “costretto a crescere troppo in fretta”. Vorrebbe portare a cena fuori la mamma, godere dell’affetto e della compagnia dei suoi genitori, vedere gli amici come qualsiasi ragazzo, senza la scorta che lo rende "diverso". In lui, ma non solo in lui, si mescolano rabbia, risentimento e la domanda “Ne sarà valsa la pena?”. Una domanda che Scarpinato sembra rivolgere al pubblico “perché le ferite di una famiglia e quelle di un paese, riaperte con grazie e coraggio, possano diventare occhi vigili sul presente e sul futuro”.     

mercoledì 15 maggio 2024

RIFLESSIONI IN 3D

Quando un ingegnere incontra un creativo potrebbe nascere qualcosa di speciale. Soprattutto se i due sono la stessa persona. E’ il caso di Albi, nome d’arte di Alberto Cacchi Pessani, e dei suoi Misteri di argilla, in mostra fino al 18 maggio alla Galleria MZ di Milano.  Sono quindici composizioni in ceramica non levigate, ma lasciate con la loro gibbosità, che meglio esprimono i pensieri, sempre in corso, dell’artista. Come dei fumetti in 3D raccontano un mondo tra il passato e il futuro, frutto di attenta osservazione, sul filo della critica e dell’ironia, con il forte supporto di cultura e conoscenze, appunto, da ingegnere .

 




Che non sono solo il cuscinetto a sfera per rendere un mulinello il cervello umano. O temi come l’intelligenza artificiale. 
 Con la grande nuvola, Cloud e i suoi collegamenti-fulmini con il vero cervello. Piuttosto che lo scontro tra galassie o la vita eterna dei protoni. Sono gli attacchi alle esagerazioni del consumismo e alla “prosopopea dell’umana gente” che vuole stravolgere con "l'ascia" del pressapochismo le teorie di Copernico e di Darwin (foto in alto).  Dalla pista da sci di Dubai in pieno deserto al Mc Donald Fly–in del futuro dove da un drone si potranno comprare, serviti da un robot, i bachi da seta fritti (le due foto al centro). Non mancano i fumetti-riflessioni che vanno da nascita e sviluppo della musica, migliore invenzione dell’homo sapiens secondo Darwin, a considerazioni illustrate su monoteismi e politeismi con qualche excursus nella storia e nella letteratura, centrata su donne simbolo. Da Elena di Troia  rappresentata tra le mura di una città con intorno solo distruzione a Cleopatra, avvolta nuda in un tappeto per accogliere Cesare e le sue legioni(foto in basso). In mostra anche tre interessanti quadri dell’artista con divagazioni sull’induismo.

martedì 14 maggio 2024

PALEOLITICO E FUTURO

Una collezione archeologica datata dal paleolitico in una struttura e con un criterio espositivo che va molto oltre il contemporaneo. Senza niente d’involuto o effetti facili. Si trova a Lecce, città dalle mille sorprese e questa è una delle tante. E’ il Museo Castromediano, il più antico museo di Puglia. Lo ha fondato nel 1868 Sigismondo Castromediano, intellettuale aristocratico e antiborbonico che nella sua vita ha raccolto ogni tipo di reperto archeologico fino al prerinascimentale, tutto nel Salento. L’esterno del museo conserva inalterato l’aspetto che aveva quando era il Collegio Argento, l’interno, invece, è stato riprogettato dall’architetto Francesco Minnisi, considerato il padre della museografia archeologica italiana.

 




Il grande salone d'ingresso a pianta circolare ospita mostre temporanee sempre collegate alla zona. Attualmente sono esposte dodici strepitose fotografie del canadese Edo Burtynsky che documentano il disastro causato dalla Xylella, batterio che nel Leccese ha distrutto 21 milioni di ulivi secolari. Dal salone partono delle scenografiche rampe che salgono, aperte, fino al terzo piano. Ricordano il Guggenheim Museum di New York, ma sono perfettamente funzionali a una "teatrale" definizione degli spazi. Le collezioni, che narrano la storia del Salento, sono  suddivise, infatti, in cinque Paesaggi Culturali. Nel Paesaggio Mare è ricostruita la stiva di una nave con le anfore, lasciate come sono state ripescate. Ci sono le ancore di cui sono autentiche le parti di pietra, mentre i legni sono stati aggiunti. C’è un acquario con i pesci autoctoni di quel mare. Introdotti piccolissimi, quando raggiungono una certa dimensione vengono riportati in mare. Nel Paesaggio Terra ci sono le ossa di animali preistorici, oltre ad anfore e utensili vari. Questo settore si affaccia su un salone, dove si tengono conferenze, lezioni, concerti, con un pregevole polittico di Scuola Veneta. Molto interessanti gli altri tre Paesaggi, specie se spiegati da Basel Sai, il brillante e competente archeologo del museo. Sono il Paesaggio del Sacro, dei Vivi e dei Morti che raccontano le abitudini, gli stili di vita e anche di sepoltura dei popoli che qui hanno abitato, dai Messapi ai Romani. A completare la visita le sale dedicate al Medioevo con statue e oggetti a carattere religioso e una selezione di opere di età barocca. In fase di sistemazione le opere dell’Ottocento e del Novecento

lunedì 13 maggio 2024

QUANTE FACCE HA LA MODA?

Risposta immediata: molte. Più pensata: si deve stabilire cosa s’intende per moda. Il discorso potrebbe proseguire all’infinito. Restringendo il campo, c'è una faccia comprensiva di svariate altre, che emergono sempre più di questi tempi. La moda come cultura, perfetta per comunicare messaggi importanti, si è vista in modo chiaro in un incontro a Brindisi, sul tema L’evoluzione della moda tra inclusione e sostenibilità. Poche parole dei relatori sono bastate a evidenziare  la capacità della moda di raccontare la storia e le mutazioni negli stili di vita. Confermati dall’intervento di Carol Cordella e visivamente da alcuni abiti provenienti dall’Istituto Cordella di cui è direttore. 

 


 




E’ una scuola di moda, post diploma, di tre anni con una storia di sartoria e confezione iniziata nel 1783 con “diramazioni” fino a Los Angeles e Hollywood. Cinque abiti su manichini tra cui uno usato come costume da bagno per signore primi '900. Per quanto rappresentativi e capaci di raccontare il modo di vivere di epoche diverse, sono solo un’infinitesima parte degli abiti conservati nel piano sottostante dell’Istituto. Da capi settecenteschi in seta e velluto con mantelline, bustier, gonne ampissime, strascichi, a lunghi di Christian Dior  anni '50, a un geniale tubino di Elsa Schiaparelli indossabile in uguale modo davanti e dietro, dal tailleur Chanel a virtuosismi di Paco Rabanne ed Emilio Pucci. Capi non certo valorizzati dove sono ora, ma che potrebbero costituire materiale per una grande mostra nei saloni di importanti musei. Ma la forza della moda è anche quella di riuscire con la sua bellezza "impattante" a comunicare messaggi sociali come l’inclusività, la lotta alla violenza sulle donne, il rispetto dell’ambiente. E questa caratteristica è stata messa a fuoco da Annalaura Giannelliavvocato e consulente per importanti aziende pugliesi, nonché tra gli organizzatori dell’evento. Lei stessa ha creato un marchio Voiceat che con le sue borse, qualche gioiello e deliziose mantelline vuole far riflettere sulle donne vittime di violenza, ma anche sul maltrattamento degli animali. Attraverso la shopper con manici di bambù e ritratto di Maria Maddalena di un pittore andaluso, racconta di una donna considerata una meretrice nei più attestati vangeli e invece nobile e coraggiosa figura femminile secondo un vangelo apocrifo. O la tracolla nera con la pantera, felino in estinzione, dal dipinto di una pittrice francese del secolo scorso. O ancora, stampato sulla sacca in tela e pelle rosa, il cavalluccio marino, unico essere vivente maschio che porta avanti la gravidanza e partorisce.  E su tutti i pezzi della collezione, mantelline comprese, il logo con un profilo di donna che urla, per far sentire la sua voce. Per ammirevole coerenza, una parte dei ricavi di Voiceat è destinata ad associazioni che operano per le categorie indifese.


domenica 12 maggio 2024

REALTA' E TRAGEDIA

Può sembrare una banalità stupirsi che una tragedia scritta venticinque secoli fa affronti indirettamente un tema di attualità come quello della posizione della donna, della sua sopraffazione. Che aumenta in tempi di guerra. E invece è qualcosa di cui bisogna prendere atto, con una profonda, illimitata ammirazione per l’autore e un certo sconforto perché realtà che sembravano "pleistoceniche" si possano invece ripetere, anche se con differenti svolgimenti. La tragedia in questione è Le Troiane di Euripide andata in scena a Milano nei giorni scorsi a Progetti per il teatro, il teatro laboratorio di Roberto Cajafa. Con la regia e l’adattamento di Cajafa, che non ha tolto niente all’enfasi  della tragedia greca, ma ne ha saputo  mettere in risalto la potenza del pensiero e le considerazioni sulla donna, senza mai cadere nella retorica. 


E questo si è notato subito, anche dalla  scenografia con elementi in legno, spoglia e minimale, ma capace di rendere la desolazione, l’impossibilità a esprimersi, la dignità calpestata. Dopo un dialogo tra Poseidone e Atena, in pratica l’antefatto di quella guerra sanguinosa, appaiono le varie figure. Emergono quelle femminili, gli uomini sono di supporto. Oltre alle parole di Euripide c’è in queste donne una gestualità e degli sguardi che mettono subito in evidenza qualcosa che va al di là del dolore di essere prigioniere e aver perso figli, mariti, affetti. Certo gli uomini nella guerra di Troia hanno combattuto, sono morti, sono stati fatti prigionieri, ma chi pagherà di tutto questo sono le donne. Andromaca, che vedrà morti il marito Ettore e il figlio Astianatte, interpretata da Cristina Vacchini, Ecuba la madre di Ettore (Cinzia Damassa) che ha visto tutto il suo mondo e i suoi affetti cadere a pezzi, ma continua a lottare per la dignità. E poi c’è Elena (Francesca Mazzoni, nella foto con Cinzia Damassa-Ecuba) "la donna più bella del mondo", considerata il capro espiatorio, responsabile di aver scatenato la guerra, perché rapita da Paride quando era moglie dello spartano Menelao. Una donna che da oggetto di bramosie è diventata motivo di contesa e quindi ancora più disprezzata. Ora queste donne sulle rive dello Scamandro, prigioniere, sono "in attesa di essere scelte a sorte per i principi achei" . Oltre la regia ottima, bravissimi gli attori. D’altra parte, senza interpreti di livello e convincenti, la caduta nella farsa sarebbe facile.

giovedì 9 maggio 2024

ERA ORA

Stupisce vedere il disegno della Tour Eiffel sull’invito di un noto marchio di orologi, che di francese non ha niente. E invece, oltre a fare riferimento al ritorno a Parigi delle Olimpiadi dopo cent’anni, parla di un preciso momento della storia della Wyler Vetta, che nel 2024 festeggia i cent’anni di vita. Vuole infatti ricordare quando dal terzo piano della torre parigina, nel 1931, furono buttati alcuni orologi per dimostrarne la robustezza. Un’operazione ripetuta nel 1956 con il modello Dynawind. Le cronache, garantite da testimonianze imparziali, raccontano in entrambi i casi di qualche ammaccatura, ma di funzionamento perfetto. 





Nel 1962 il "coraggioso" esperimento, immortalato anche in un fumetto, fu replicato negli Stati Uniti, scegliendo come emblematico trampolino lo Space Needle di Seattle, nello stato di Washington, torre alta 184 metri. Con gli stessi felici risultati. Ma gli "avvenimenti-record" non si esauriscono qui. Albert Einstein indossò per dieci anni uno dei modelli shockproof. In una sua lettera alla sede di New York (foto al centro) scrive di come questo abbia continuato a funzionare quando, distratto come sempre, il padre della relatività cadde da una barchetta nel lago di Central Park. Non è un record, ma non è un fatto trascurabile che nella Coppa del mondo del 1934, vinta dall’Italia, tutti i calciatori della Nazionale indossassero un automatico Wyler Vetta. O che nel 1975 Enzo Ferrari abbia regalato un Wyler Vetta a tutti i suoi piloti. Certo meno eclatante, perché in linea con la storia di altri marchi, il gran numero dei testimonial nel mondo del cinema. A cominciare negli anni 50/60 da Vittorio De Sica, Isa Miranda, Gino Cervi, Carlo Dapporto, Marcello Mastroianni  per continuare  più avanti nel tempo con Catherine Spaak, Melanie Griffith, Richard Gere.  Tutto questo e molto altro è stato detto in un incontro a Milano con il CEO Marcello Binda e il Senior Advisor Beppe Ambrosini di Wyler Vetta. Con l’esposizione dei pezzi storici (foto in alto e in basso)e dei prototipi delle nuove collezioni con l'inedito, raffinato packaging. 

mercoledì 8 maggio 2024

VEDO ROSA

Continua tra botteghe storiche e luoghi simbolici milanesi il calendario-percorso Rosa Genoni Milano Lab, sulla prima stilista nonché prima signora del made in Italy, ideato e curato da Elisabetta Invernici. Questa "tappa" in corrispondenza con Orticola 2024 (in apertura domani) è dedicata alla rosa e si sviluppa in svariati eventi, dal 7 al 21 maggio. A dare il via l’inaugurazione della mostra diffusa Sul filo di Rosa, nella Libreria Bocca, la più antica libreria d’Italia. E'in Galleria Vittorio Emanuele a pochi passi da dove aprirà il monomarca di Tiffany, al centro dell’attenzione in questi giorni per il canone d’affitto più costoso del mondo. 




Tra libri e opere di artisti (Dalle sculture di Arnaldo Pomodoro  a installazioni come "la libreria con cartoline" di Gianluca Quaglia, foto al centro), Barbara Trestini Trimarchi (foto in alto)ha parlato e mostrato i suoi incredibili ricami, alcuni ispirati agli schizzi di Rosa Genoni. Con la quale ha in comune la nascita a Tirano, in Valtellina.  Tra i ricami anche quelli dell’abito che indossava, in tulle bianco, realizzato quindici anni fa per festeggiare i suoi 50 anni di matrimonio. Veri "capolavori ad ago" di cui ha spiegato tecniche, qualche segreto e curiosità, come la pratica maschile di quest’arte nel passato. Ma la rosa è anche un fiore, a ricordarlo Antonia Dufour (foto in basso)con le rose del suo roseto di Gavi, al confine fra Liguria e Piemonte. Rose che fioriscono solo quindici giorni all’anno, in maggio, dal profumo delicato e persistente, da cui nascono i marchi Le rose di Antonia e Dufour à la rose. Dalle creme per il corpo e per il viso al mitico sciroppo di rosa, alla marmellata. Ma anche rose da gustare, come un'insalata, ha spiegato Dufour. A intervallare piacevolmente le spiegazioni e i racconti le musiche suonate dal maestro Pierluigi Framarin del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, su un pianoforte verticale di design. Tra i brani, immancabile La vie en rose