giovedì 16 maggio 2024

ANATOMIA DI UN DRAMMA

Un viaggio nella memoria, che parla di vite rubate dalla lotta alla mafia. Questo è Il tempo attorno in prima milanese al Teatro Menotti Filippo Perego fino al 19 maggio. Una storia in parte autobiografica, perché scritta da Giuliano Scarpinato figlio di due magistrati, che ricostruisce un periodo dagli anni Ottanta fino al processo Andreotti. Con la drammaticità temperata, ma non per questo meno efficace, della formula per cui i personaggi si presentano . 


Sono cinque: Paola Randazzo magistrato (Roberta Caronia), il marito anche lui magistrato Michele Vetrano (Giandomenico Cupaiolo), il loro figlio Benedetto (Emanuele Del Castillo) e i due uomini della scorta, il giovane e scanzonato Liborio Mansueto (Alessio Barone) e il cupo e intellettuale Diego De Piccolo (Gaetano Migliaccio). Sulla scena un grande masso da cui fuoriescono elementi d’arredo, dalla scrivania  dove lavorano in alternanza i genitori al divano dove si sdraia Benedetto per vedere la televisione, al frigorifero da dove si tirano fuori cibi, ma anche libri e pesanti faldoni. Una scenografia surreale con il masso che sul finale diventa il podio dell'aula del tribunale, da dove il padre magistrato pronuncia il suo discorso. Per il resto è la quotidianità che viene rappresentata. Una quotidianità continuamente minacciata, straziata da pensieri, notizie di cronache, sospetti, che provocano contrasti e fraintendimenti, di cui chi sembra soffrirne di più è Benedetto, “costretto a crescere troppo in fretta”. Vorrebbe portare a cena fuori la mamma, godere dell’affetto e della compagnia dei suoi genitori, vedere gli amici come qualsiasi ragazzo, senza la scorta che lo rende "diverso". In lui, ma non solo in lui, si mescolano rabbia, risentimento e la domanda “Ne sarà valsa la pena?”. Una domanda che Scarpinato sembra rivolgere al pubblico “perché le ferite di una famiglia e quelle di un paese, riaperte con grazie e coraggio, possano diventare occhi vigili sul presente e sul futuro”.     

mercoledì 15 maggio 2024

RIFLESSIONI IN 3D

Quando un ingegnere incontra un creativo potrebbe nascere qualcosa di speciale. Soprattutto se i due sono la stessa persona. E’ il caso di Albi, nome d’arte di Alberto Cacchi Pessani, e dei suoi Misteri di argilla, in mostra fino al 18 maggio alla Galleria MZ di Milano.  Sono quindici composizioni in ceramica non levigate, ma lasciate con la loro gibbosità, che meglio esprimono i pensieri, sempre in corso, dell’artista. Come dei fumetti in 3D raccontano un mondo tra il passato e il futuro, frutto di attenta osservazione, sul filo della critica e dell’ironia, con il forte supporto di cultura e conoscenze, appunto, da ingegnere .

 




Che non sono solo il cuscinetto a sfera per rendere un mulinello il cervello umano. O temi come l’intelligenza artificiale. 
 Con la grande nuvola, Cloud e i suoi collegamenti-fulmini con il vero cervello. Piuttosto che lo scontro tra galassie o la vita eterna dei protoni. Sono gli attacchi alle esagerazioni del consumismo e alla “prosopopea dell’umana gente” che vuole stravolgere con "l'ascia" del pressapochismo le teorie di Copernico e di Darwin (foto in alto).  Dalla pista da sci di Dubai in pieno deserto al Mc Donald Fly–in del futuro dove da un drone si potranno comprare, serviti da un robot, i bachi da seta fritti (le due foto al centro). Non mancano i fumetti-riflessioni che vanno da nascita e sviluppo della musica, migliore invenzione dell’homo sapiens secondo Darwin, a considerazioni illustrate su monoteismi e politeismi con qualche excursus nella storia e nella letteratura, centrata su donne simbolo. Da Elena di Troia  rappresentata tra le mura di una città con intorno solo distruzione a Cleopatra, avvolta nuda in un tappeto per accogliere Cesare e le sue legioni(foto in basso). In mostra anche tre interessanti quadri dell’artista con divagazioni sull’induismo.

martedì 14 maggio 2024

PALEOLITICO E FUTURO

Una collezione archeologica datata dal paleolitico in una struttura e con un criterio espositivo che va molto oltre il contemporaneo. Senza niente d’involuto o effetti facili. Si trova a Lecce, città dalle mille sorprese e questa è una delle tante. E’ il Museo Castromediano, il più antico museo di Puglia. Lo ha fondato nel 1868 Sigismondo Castromediano, intellettuale aristocratico e antiborbonico che nella sua vita ha raccolto ogni tipo di reperto archeologico fino al prerinascimentale, tutto nel Salento. L’esterno del museo conserva inalterato l’aspetto che aveva quando era il Collegio Argento, l’interno, invece, è stato riprogettato dall’architetto Francesco Minnisi, considerato il padre della museografia archeologica italiana.

 




Il grande salone d'ingresso a pianta circolare ospita mostre temporanee sempre collegate alla zona. Attualmente sono esposte dodici strepitose fotografie del canadese Edo Burtynsky che documentano il disastro causato dalla Xylella, batterio che nel Leccese ha distrutto 21 milioni di ulivi secolari. Dal salone partono delle scenografiche rampe che salgono, aperte, fino al terzo piano. Ricordano il Guggenheim Museum di New York, ma sono perfettamente funzionali a una "teatrale" definizione degli spazi. Le collezioni, che narrano la storia del Salento, sono  suddivise, infatti, in cinque Paesaggi Culturali. Nel Paesaggio Mare è ricostruita la stiva di una nave con le anfore, lasciate come sono state ripescate. Ci sono le ancore di cui sono autentiche le parti di pietra, mentre i legni sono stati aggiunti. C’è un acquario con i pesci autoctoni di quel mare. Introdotti piccolissimi, quando raggiungono una certa dimensione vengono riportati in mare. Nel Paesaggio Terra ci sono le ossa di animali preistorici, oltre ad anfore e utensili vari. Questo settore si affaccia su un salone, dove si tengono conferenze, lezioni, concerti, con un pregevole polittico di Scuola Veneta. Molto interessanti gli altri tre Paesaggi, specie se spiegati da Basel Sai, il brillante e competente archeologo del museo. Sono il Paesaggio del Sacro, dei Vivi e dei Morti che raccontano le abitudini, gli stili di vita e anche di sepoltura dei popoli che qui hanno abitato, dai Messapi ai Romani. A completare la visita le sale dedicate al Medioevo con statue e oggetti a carattere religioso e una selezione di opere di età barocca. In fase di sistemazione le opere dell’Ottocento e del Novecento

lunedì 13 maggio 2024

QUANTE FACCE HA LA MODA?

Risposta immediata: molte. Più pensata: si deve stabilire cosa s’intende per moda. Il discorso potrebbe proseguire all’infinito. Restringendo il campo, c'è una faccia comprensiva di svariate altre, che emergono sempre più di questi tempi. La moda come cultura, perfetta per comunicare messaggi importanti, si è vista in modo chiaro in un incontro a Brindisi, sul tema L’evoluzione della moda tra inclusione e sostenibilità. Poche parole dei relatori sono bastate a evidenziare  la capacità della moda di raccontare la storia e le mutazioni negli stili di vita. Confermati dall’intervento di Carol Cordella e visivamente da alcuni abiti provenienti dall’Istituto Cordella di cui è direttore. 

 


 




E’ una scuola di moda, post diploma, di tre anni con una storia di sartoria e confezione iniziata nel 1783 con “diramazioni” fino a Los Angeles e Hollywood. Cinque abiti su manichini tra cui uno usato come costume da bagno per signore primi '900. Per quanto rappresentativi e capaci di raccontare il modo di vivere di epoche diverse, sono solo un’infinitesima parte degli abiti conservati nel piano sottostante dell’Istituto. Da capi settecenteschi in seta e velluto con mantelline, bustier, gonne ampissime, strascichi, a lunghi di Christian Dior  anni '50, a un geniale tubino di Elsa Schiaparelli indossabile in uguale modo davanti e dietro, dal tailleur Chanel a virtuosismi di Paco Rabanne ed Emilio Pucci. Capi non certo valorizzati dove sono ora, ma che potrebbero costituire materiale per una grande mostra nei saloni di importanti musei. Ma la forza della moda è anche quella di riuscire con la sua bellezza "impattante" a comunicare messaggi sociali come l’inclusività, la lotta alla violenza sulle donne, il rispetto dell’ambiente. E questa caratteristica è stata messa a fuoco da Annalaura Giannelliavvocato e consulente per importanti aziende pugliesi, nonché tra gli organizzatori dell’evento. Lei stessa ha creato un marchio Voiceat che con le sue borse, qualche gioiello e deliziose mantelline vuole far riflettere sulle donne vittime di violenza, ma anche sul maltrattamento degli animali. Attraverso la shopper con manici di bambù e ritratto di Maria Maddalena di un pittore andaluso, racconta di una donna considerata una meretrice nei più attestati vangeli e invece nobile e coraggiosa figura femminile secondo un vangelo apocrifo. O la tracolla nera con la pantera, felino in estinzione, dal dipinto di una pittrice francese del secolo scorso. O ancora, stampato sulla sacca in tela e pelle rosa, il cavalluccio marino, unico essere vivente maschio che porta avanti la gravidanza e partorisce.  E su tutti i pezzi della collezione, mantelline comprese, il logo con un profilo di donna che urla, per far sentire la sua voce. Per ammirevole coerenza, una parte dei ricavi di Voiceat è destinata ad associazioni che operano per le categorie indifese.


domenica 12 maggio 2024

REALTA' E TRAGEDIA

Può sembrare una banalità stupirsi che una tragedia scritta venticinque secoli fa affronti indirettamente un tema di attualità come quello della posizione della donna, della sua sopraffazione. Che aumenta in tempi di guerra. E invece è qualcosa di cui bisogna prendere atto, con una profonda, illimitata ammirazione per l’autore e un certo sconforto perché realtà che sembravano "pleistoceniche" si possano invece ripetere, anche se con differenti svolgimenti. La tragedia in questione è Le Troiane di Euripide andata in scena a Milano nei giorni scorsi a Progetti per il teatro, il teatro laboratorio di Roberto Cajafa. Con la regia e l’adattamento di Cajafa, che non ha tolto niente all’enfasi  della tragedia greca, ma ne ha saputo  mettere in risalto la potenza del pensiero e le considerazioni sulla donna, senza mai cadere nella retorica. 


E questo si è notato subito, anche dalla  scenografia con elementi in legno, spoglia e minimale, ma capace di rendere la desolazione, l’impossibilità a esprimersi, la dignità calpestata. Dopo un dialogo tra Poseidone e Atena, in pratica l’antefatto di quella guerra sanguinosa, appaiono le varie figure. Emergono quelle femminili, gli uomini sono di supporto. Oltre alle parole di Euripide c’è in queste donne una gestualità e degli sguardi che mettono subito in evidenza qualcosa che va al di là del dolore di essere prigioniere e aver perso figli, mariti, affetti. Certo gli uomini nella guerra di Troia hanno combattuto, sono morti, sono stati fatti prigionieri, ma chi pagherà di tutto questo sono le donne. Andromaca, che vedrà morti il marito Ettore e il figlio Astianatte, interpretata da Cristina Vacchini, Ecuba la madre di Ettore (Cinzia Damassa) che ha visto tutto il suo mondo e i suoi affetti cadere a pezzi, ma continua a lottare per la dignità. E poi c’è Elena (Francesca Mazzoni, nella foto con Cinzia Damassa-Ecuba) "la donna più bella del mondo", considerata il capro espiatorio, responsabile di aver scatenato la guerra, perché rapita da Paride quando era moglie dello spartano Menelao. Una donna che da oggetto di bramosie è diventata motivo di contesa e quindi ancora più disprezzata. Ora queste donne sulle rive dello Scamandro, prigioniere, sono "in attesa di essere scelte a sorte per i principi achei" . Oltre la regia ottima, bravissimi gli attori. D’altra parte, senza interpreti di livello e convincenti, la caduta nella farsa sarebbe facile.

giovedì 9 maggio 2024

ERA ORA

Stupisce vedere il disegno della Tour Eiffel sull’invito di un noto marchio di orologi, che di francese non ha niente. E invece, oltre a fare riferimento al ritorno a Parigi delle Olimpiadi dopo cent’anni, parla di un preciso momento della storia della Wyler Vetta, che nel 2024 festeggia i cent’anni di vita. Vuole infatti ricordare quando dal terzo piano della torre parigina, nel 1931, furono buttati alcuni orologi per dimostrarne la robustezza. Un’operazione ripetuta nel 1956 con il modello Dynawind. Le cronache, garantite da testimonianze imparziali, raccontano in entrambi i casi di qualche ammaccatura, ma di funzionamento perfetto. 





Nel 1962 il "coraggioso" esperimento, immortalato anche in un fumetto, fu replicato negli Stati Uniti, scegliendo come emblematico trampolino lo Space Needle di Seattle, nello stato di Washington, torre alta 184 metri. Con gli stessi felici risultati. Ma gli "avvenimenti-record" non si esauriscono qui. Albert Einstein indossò per dieci anni uno dei modelli shockproof. In una sua lettera alla sede di New York (foto al centro) scrive di come questo abbia continuato a funzionare quando, distratto come sempre, il padre della relatività cadde da una barchetta nel lago di Central Park. Non è un record, ma non è un fatto trascurabile che nella Coppa del mondo del 1934, vinta dall’Italia, tutti i calciatori della Nazionale indossassero un automatico Wyler Vetta. O che nel 1975 Enzo Ferrari abbia regalato un Wyler Vetta a tutti i suoi piloti. Certo meno eclatante, perché in linea con la storia di altri marchi, il gran numero dei testimonial nel mondo del cinema. A cominciare negli anni 50/60 da Vittorio De Sica, Isa Miranda, Gino Cervi, Carlo Dapporto, Marcello Mastroianni  per continuare  più avanti nel tempo con Catherine Spaak, Melanie Griffith, Richard Gere.  Tutto questo e molto altro è stato detto in un incontro a Milano con il CEO Marcello Binda e il Senior Advisor Beppe Ambrosini di Wyler Vetta. Con l’esposizione dei pezzi storici (foto in alto e in basso)e dei prototipi delle nuove collezioni con l'inedito, raffinato packaging. 

mercoledì 8 maggio 2024

VEDO ROSA

Continua tra botteghe storiche e luoghi simbolici milanesi il calendario-percorso Rosa Genoni Milano Lab, sulla prima stilista nonché prima signora del made in Italy, ideato e curato da Elisabetta Invernici. Questa "tappa" in corrispondenza con Orticola 2024 (in apertura domani) è dedicata alla rosa e si sviluppa in svariati eventi, dal 7 al 21 maggio. A dare il via l’inaugurazione della mostra diffusa Sul filo di Rosa, nella Libreria Bocca, la più antica libreria d’Italia. E'in Galleria Vittorio Emanuele a pochi passi da dove aprirà il monomarca di Tiffany, al centro dell’attenzione in questi giorni per il canone d’affitto più costoso del mondo. 




Tra libri e opere di artisti (Dalle sculture di Arnaldo Pomodoro  a installazioni come "la libreria con cartoline" di Gianluca Quaglia, foto al centro), Barbara Trestini Trimarchi (foto in alto)ha parlato e mostrato i suoi incredibili ricami, alcuni ispirati agli schizzi di Rosa Genoni. Con la quale ha in comune la nascita a Tirano, in Valtellina.  Tra i ricami anche quelli dell’abito che indossava, in tulle bianco, realizzato quindici anni fa per festeggiare i suoi 50 anni di matrimonio. Veri "capolavori ad ago" di cui ha spiegato tecniche, qualche segreto e curiosità, come la pratica maschile di quest’arte nel passato. Ma la rosa è anche un fiore, a ricordarlo Antonia Dufour (foto in basso)con le rose del suo roseto di Gavi, al confine fra Liguria e Piemonte. Rose che fioriscono solo quindici giorni all’anno, in maggio, dal profumo delicato e persistente, da cui nascono i marchi Le rose di Antonia e Dufour à la rose. Dalle creme per il corpo e per il viso al mitico sciroppo di rosa, alla marmellata. Ma anche rose da gustare, come un'insalata, ha spiegato Dufour. A intervallare piacevolmente le spiegazioni e i racconti le musiche suonate dal maestro Pierluigi Framarin del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, su un pianoforte verticale di design. Tra i brani, immancabile La vie en rose
    

sabato 4 maggio 2024

LA SCULTURA E' MOBILE

Fa piacere sapere che Calder.Sculpting Time, in apertura domani al MASI (Museo d’arte della Svizzera Italiana) di Lugano, chiuda il 6 ottobre, perché è una mostra che tutti devono vedere . Non è solo la più completa personale dello scultore in Svizzera degli ultimi cinquanta anni, ma è soprattutto la selezione dell’essenza di Alexander Calder, come è stato detto in conferenza stampa. Le opere esposte rappresentano più che mai il legame tra “astrazione d’avanguardia, performance basata sul tempo e videoarte”.

 



Come ha raccontato Alexander S.C.Rower fondatore e presidente della Calder Foundation di New York, nonché nipote del grande artista, la curatrice Carmen Gimenez è riuscita, con ammirevole determinazione, ad avere trenta delle opere più significative, create dal 1931 al 1960, prelevandole da collezioni pubbliche e private di tutto il mondo, anche se il più ampio corpus proviene dalla Foundation di New York. Perfetto l’allestimento nelle grandi sale del museo, con la vetrata in fondo affacciata sul lago. Qui l’imponente Funghi Neri (foto in alto) e la aerea Red Lily Pads con i suoi elementi rossi, sospesi come nuvole in viaggio. Prevalgono i mobiles, la maggior parte  collocati su piattaforme tonde e bianche, come gli stabiles tipo Big Bird del 1937 (foto in basso)o gli standing mobiles. Altri mobiles sono appesi al muro come lo è il Senza Titolo subito all’entrata, con una base che ricorda le geometrie di Mondrian. Un’illuminazione sapientemente studiata fa sì che sulle piattaforme si formino delle ombre, che sembrano proseguire il movimento dei mobiles, normalmente impercettibile che diventa visibile al passaggio delle persone. Interessante a questo proposito la piccola guida che viene data ai visitatori, con il titolo dell’opera, l’anno di creazione, la collezione da dove proviene, e i materiali di cui è fatto. In prevalenza metallo, legno, spago e pittura, quando ci sono delle parti verniciate di un colore, nero e rosso soprattutto. Sulla stessa guida, accanto al simbolo del divieto di salire sulle piattaforme e di toccare le opere, che si trova normalmente nelle mostre, ce n’è un terzo, inconsueto da vedere,  con un profilo umano e il disegno di un soffio. Perché un soffio troppo forte potrebbe danneggiare l’opera.(2024 Calder Foundation, New York/Artists Rights Society(ARS), New York)  


mercoledì 1 maggio 2024

DONNE SULL' ORLO DI UNA CRISI

Si ride sovente, e con piacere, per Estate in dicembre al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano, da ieri al 5 maggio. Ma non è mai un riso “sgangherato”, anche se sono stati molti nel pubblico della prima milanese a ridere così. Di fatto dietro le cinque donne ci sono vite con problematiche più o meno identificate e soprattutto una ricerca della felicità espressa in modi diversi. “Una saga matriarcale, qualcuno sostiene, che piacerebbe a Pedro Almodovar”. 

Scritta da Carolina Africa Martin Pajares (Madrid, classe 1980) autrice, attrice, regista, vincitrice di numerosi premi, la pièce vede in scena cinque donne di tre diverse generazioni. Sono una madre, una nonna e tre figlie, unite da un legame forte non solo di parentela, messo di continuo in discussione da atteggiamenti contrastanti, abbastanza tipici del quotidiano, ingigantiti da ripicche, piccole vendette, sensi di colpa mai ammessi. Bravissime le attrici, Fiammetta Bellone, Elsa Bossi, Sara Cianfriglia, Elena Dragonetti, Alice Giroldini. Convincenti nelle parti di una nonna fuori di testa, una madre troppo giudicante e sempre pronta ad accusare, una figlia maggiore, a sua volta mamma, superficiale e solo apparentemente risolta, una secondogenita Alicia artista di poche speranze. Irresistibile il suo discorso sull’arte, con acute prese in giro di una certa critica. E la più piccola Paloma, con molte paure fra cui quella di volare, a dispetto del nome (questa è una delle gag) che non ha ancora trovato la sua strada e vive in casa con la mamma assistendo la nonna. A parte il momento della mostra d’arte di Alicia, tutto si svolge nella casa di famiglia, anche intorno al tavolo (da immaginare). Fino all’uscita finale, decisamente colpo di scena. In qualche modo anticipato da uno strepitoso balletto delle cinque attrici sulle note di
These Boots Are Made For Walkin' di Nancy Sinatra

domenica 21 aprile 2024

ACCORDI E DISACCORDI

Impossibile fare un riassunto o tirare le somme di questo FuoriSalone. Se non ricadendo nella "grande affluenza", nelle "code interminabili" (le più lunghe quelle per vedere Armani/Casa, quasi l'intera Via Borgonuovo), nella "altissima presenza di stranieri", eccetera. Anche qualche flash sulle sorprese non sarebbe attendibile o comunque non comunicherebbe i reali contenuti della manifestazione. Si può parlare di varietà nel senso che il design entra dappertutto, in dialogo o in contrasto con i lussuosi palazzi o le fabbriche dismesse dove è esposto.  O di contaminazione tra arte e moda, che non si limita a mettere tra gli abiti di una boutique, mobili o oggetti design. Ma presenta arredamento con le stesse caratteristiche dell’abbigliamento. 




Così da Martino Midali le righe dei suoi capi si riflettono nelle righe di sedili, tavoli, tavolini, consolle di Nap Atelier. Da Cilento 1780, tempio del vestire maschile classico, compaiono a contrasto le Teste di Moro disegnate da Cori Amenta, quasi una rivisitazione pop delle ceramiche di Caltagirone (foto al centro). Invece nei saloni di Palazzo Orsini, da anni sede della Giorgio Armani, i dettagli dei mobili Armani/Casa, spesso etnici e vicini alle collezioni moda, raccontano un viaggio in sintonia con la cornice (foto al centro). Sono molte le cose da scoprire. Nel cortile di un interessante palazzo nella sconosciuta Via Altaguardia, a Porta Romana, Bav Tailor indiana nata a Londra, per Sakti Sphere, costruisce un santuario olistico dove tutto, dal profumo al vaso, all’abito è all’insegna del relax-meditazione e del lusso sostenibile. Da Harmont & Blaine ci sono i site specific dell’artista italo-peruviano Lorenzo Vitturi: forme organiche realizzate con tessuti e materiali di riciclo del brand (foto in alto). Anche i sanitari possono avere un fascino oltre che un’utilità. Lo dimostra THG, azienda francese nel suo negozio di Via Fiori Chiari, con i rubinetti caratterizzati dal disegno di rondini, riprese dal “mobile” di Lalique (foto in basso). Nella boutique di Anteprima l’artista giapponese Kei Takemura è protagonista di una performance con le carte. Woolrich presenta il libro Orama e su grandi tavoli ne racconta il contenuto con capi e accessori. Infine AGL dedica un sandalo al Salone del Mobile, espressione di artigianalità made in Italy e dello stile del brand: tacco a cubo laccato nero e un dettaglio in plexi trasparente sulla tomaia.   



sabato 20 aprile 2024

SPLENDIDA CORNICE

Normale chiedersi quanto dipenda dalla cornice "l’effetto meraviglia" delle installazioni nei cortili dell’Università degli Studi di Milano, cuore pulsante del FuoriSalone. La prima risposta potrebbe essere "molto". Il perché sta in quella sensazione di “era meglio l’anno scorso” che si prova ogni anno, dovuto in parte all’annullamento del fattore sorpresa. In realtà di edizione in edizione le proposte sono sempre più interessanti e ben studiate, ma noi siamo sempre più viziati e ci aspettiamo sempre di più. 





Quest’anno l’insistenza sul tema della sostenibilità, pur se affrontato in svariati modi, non gioca a favore. Istintivamente si privilegia le installazioni con effetti speciali piuttosto che quelle che parlano di tecnologia e di riciclo. Si resta indifferenti di fronte al ben documentato percorso di realizzazione del primo lavabo in ceramica riciclata di Tom Dixon, mentre  si guarda affascinati gli specchi di Arik Levy Studio, appesi al soffitto  nel loggiato est, che muovendosi di continuo riflettono un paesaggio circostante mutevole. Esalta le caratteristiche di un un materiale innovativo il totem di Patricia Urquiola(al centro). Fa pensare lo Sparkling Change di Mario Cucinella Architects  con i suoi 1200 blocchi di ceramica stampata in 3D (in basso). Piero Lissoni racconta la propulsione a idrogeno facendo immergere, con un video, in un mare virtuale. Ci si chiede se la montagna di Mad Architects, metafora del viaggio esplorativo, circondata da acqua, fuori dal Cortile della Farmacia avrebbe lo stesso effetto. Tanto più che nell’Amazing Walk all’interno sono esposti i prodotti di Amazon (al centro). Invece si è sicuri di non essere condizionati dal luogo di fronte all’emozionante installazione di Marco Nereo Rotelli per Bertolotto, azienda che produce porte da interni. E’ un vero carro armato tinto di blu copiativo che sfonda o (è meglio pensare) è intrappolato in una parete dorata con scritte d’amore (in alto).  Immancabili come tutti gli anni le proposte ispirate e legate alla natura dei designer brasiliani. Questa volta non al piano terreno, ma nel loggiato ovest. L'esposizione, presentata da Interni e Gruppo Mondadori, aperta il 15 aprile, chiude il 28.    

venerdì 19 aprile 2024

ZERO TENDENZE, ANZI MILLE

Quello che succede nella moda capita anche nel design. Non ci sono tendenze definite, individuabili. Ce ne sono molte, anzi moltissime. La parola tendenza è superata, ogni proposta è una tendenza che ne abbraccia a sua volta svariate. Lo spiega bene Gisella Borioli    nell’editoriale del Superstudio Magazine, che racconta quello che c’è da vedere al Superdesign Show di Via Tortona dal 15 al 21 aprile. Lo intitola Thinking Different, invitando i visitatori a Pensare Diverso





E la varietà colpisce immediatamente. Sono molte le installazioni con video, le produzioni che utilizzano la stampa 3D, il metadesign, l’intelligenza artificiale.  Ma ci sono anche numerosi incroci, contaminazioni, "interactions", come vengono definite nella newsletter. Ecco i progetti della giapponese Able Space Design Competition, con soluzioni per il domani, come il  micro-monolocale  che ricorda l’abitazione del protagonista di Perfect Days e i vari plastici. Per contro accanto, nel Vietnam Pavilion, in nicchie di bambù colorato, ci sono oggetti di artigianato, cuscini ricamati, vasi, bambolotti e animali giocattolo in lana (foto al centro). Geberit, gruppo svizzero del settore bagno, presenta un coinvolgente video che inneggia ai valori dell’acqua (foto al centro). C’è chi esalta il legno come Next125 o il progetto degli studenti di un’università svedese.  E chi esalta la bellezza della pietra naturale autentica. Surteco, un nome nelle texture per arredo, propone visite virtuali con visori VS.  Simili a quelle che compiono le aziende clienti per scegliere la texture giusta per i loro prodotti. Qeeboo, brand nato nel 2016 dalla creatività di Stefano Giovannoni,  affascina come sempre con i suoi animali (gorilla, conigli, giraffe)con funzione:  lampade, tavoli, sedili. Ma anche cactus-attaccapanni, tutti in rosa (foto in alto). In ceramica e in stampa 3D i Perujis, personaggini archetipi della realtà peruviana, in versione pop art, dell’artista Rafael Lanfranco (foto in basso). 


 

giovedì 18 aprile 2024

VIVA IL VERDE

Tra le collettive, se così si possono definire, più fedeli e più interessanti del FuoriSalone milanese, un posto d’onore spetta sicuramente a Masterly The Dutch. Il luogo scelto per le proposte di designer, creativi e architetti olandesi questa volta è il cinquecentesco Palazzo dei Giureconsulti, affacciato su Piazza del Duomo. 




Il primo impatto può forse deludere. Abituati alle precedenti edizioni nel maestoso Palazzo Turati, dove le avveniristiche installazioni dialogavano con gli affreschi neorinascimentali. Ma poi ci si rende conto di essere meno condizionati dall’effetto contrasto. Non più distratti dalla cornice, si studiano e si apprezzano maggiormente i risultati di certi processi tecnologici come la stampa in 3D. Vedi, per esempio, il bar funzionante, completo di tutti gli accessori,  realizzato da Aectual Design Studio (foto al centro). O vedere come per la Mazzo Blue Collection, la mitica Royal Delft e il designer Arian Brekveld siano riusciti a creare vasi di eleganza avveniristica, mantenendo i dettami della tradizione.  Molte le aziende che puntano sul recupero e il riciclo dei materiali. Tra i progetti più interessanti quello di The Visionary Lab, che rivede l’iconica poltrona di Charles & Ray Eames utilizzando i pezzi difettosi forniti da Vitra e gli scarti di denim di Levi’s.  Il tema del riciclo, del verde, della sostenibilità è dominante in questo fuori salone.  Inaugurata il 14 aprile l’installazione Born in Oasi Zegna. Creata con video, piante, cinguettii, fogliame, ma anche opere d’arte è un piccolo estratto del parco naturale di Trivero nelle Alpi Biellesi 
realizzato dal Gruppo Ermenegildo Zegna. Un’esperienza immersiva che si ritrova nel libro appena uscito Born in Oasi Zegna (foto in basso). Il quartiere Portanuova a Milano  è stato il primo al mondo a ottenere la doppia certificazione di sostenibilità Leed e Well.  Per il verde, la Biblioteca degli Alberi, ma anche per le tecnologie a basso impatto ambientale adottate in edifici come il Bosco Verticale. Per la Settimana del Mobile, Coima studio di progettazione architettonica  e l’architetto Giò Pagani hanno voluto mostrare un appartamento al 16° e 17° piano del Bosco Verticale.  Con il verde dei balconi e i materiali naturali dell’arredo è un perfetto esempio di lusso sostenibile (foto in alto). 

mercoledì 17 aprile 2024

DEL SENO DI POI

Sicuramente è uno spettacolo interessante, che non può passare inosservato. Non a caso Sen(n)o, al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano (fino al 21 aprile) scritto dall’inglese Monica Dolan, ha avuto un enorme successo in Inghilterra. Tradotto da Monica Capuani debutta in Italia con la regia di Serena Sinigaglia e la magistrale interpretazione di Lucia Mascino

                           ph.Serena Serrani

I temi sono diversi. Dall’eccessiva cura del corpo fino alla sua mistificazione e alla sessualizzazione precoce, dal diritto alla libertà personale all’educazione dei figli e al rapporto genitoriale, fino ai condizionamenti della società e alla funzione della psicanalisi. Tutti trattati in un modo più che esemplare, quasi esasperato. In scena, dominata da un grande albero senza più foglie, Mascino, nel ruolo della psicoterapeuta impegnata a valutare un caso  particolare. Quella di una madre che ha acconsentito al desiderio della figlia bambina di farsi "regalare" un seno finto. Con tutte le conseguenze che ne derivano. Il modo di condurre il monologo e di raccontare cosa'è successo è realistico, con l’enfasi e la sensibilità giusta, ma è surreale il caso esposto. Com’è possibile che una madre accetti il capriccio di una bambina, come non riesca a impedire un gesto che può mettere in discussione la sua vita e turbare la sua sessualità? Tanto che ci si chiede se questa estremizzazione e drammatizzazione non sia una forma di virtuosismo per far riflettere sulle molte problematiche esistenti riguardo all’educazione sessuale, sempre più distorta dal web e dai social.

  


lunedì 15 aprile 2024

DESIGN A SORPRESA

Ogni anno le cose da vedere al Fuorisalone aumentano. Ogni anno interi quartieri milanesi si aggiungono ai luoghi da anni deputati al design. Le presentazioni anticipano sempre di più, tanto da incrociarsi con Miart, Fiera d'arte moderna e contemporanea e MIA Photo Fair, grande vetrina della fotografia artistica.  Per ribadire il concetto di contaminazione. E’ impossibile seguire tutto, ma non ci si rassegna a fare delle rinunce. Da giorni i negozi si trasformano,  lanciano messaggi sempre più forti e intriganti. 





Da Hermès un manichino con chemisier, borsa a tracolla e sandali, si arrampica su una parete da palestra di alpinismo (foto in alto). La vetrina di Berluti è piena di minuscole poltrone in quella speciale pelle sfumata, tipica delle sue preziose scarpe. Nella boutique di Giada ci sono porcellane cinesi bianche di quattro forme, “rimandano” per l’utilizzo alla cucina italiana e a quella cinese. Impilate formano un fiore, lo stesso che si ritrova disegnato al loro interno e sui capi della collezione moda (foto al centro). Valextra ricostruisce in negozio una beauty farm per le borse, con veri artigiani che lavorano a restaurare i pezzi danneggiati. Interessante anche il macchinario per stampa in 3D che in 20 ore crea delle onde sulla plastica da abbinare alla pelle, in uno di modelli iconici del brand. Da Fendi c’è tutto, dai divani al servizio di piatti, fino al geniale tavolino-bar e al backgammon. Da Gucci il direttore creativo Sabato De Sarno rivede cinque pezzi di design dagli anni 60 ai 90 e in una speciale scenografia crea una continuità tra di loro. Nel percorso tra pareti verde prato s’incontrano i Rosso-ancora:  una cassettiera di Nanda Vigo per Acerbis, un tappeto di Piero Portaluppi, un vaso di Tobia Scarpa per Venini, un divano di Mario Bellini e una lampada di Gae Aulenti per Fontana Arte.  Ma non è solo la moda a sorprendere. In una scatola di vetro in Via Montenapoleone c’è un pianoforte a coda con decorazioni barocche (foto al centro). Non lontano da lì, Promemoria oltre ai bei tavoli in legni pregiati mostra "divertissement" e crea installazioni Come il tavolo Battista pieghevole con intarsi di legno di diversi colori, ispirato alle geometrie di Mondrian. E’ presentato in mezzo ai pezzi di legno, da cui ritagliare i tasselli dell’intarsio (foto in basso). Le sedie con schienale in legno e seduta in pelle, disposte ad arco davanti a uno specchio, creano un’installazione. 


 

venerdì 12 aprile 2024

CHIAMALE, SE VUOI, EMOZIONI

Se l’arte secondo molti deve emozionare, questa ventottesima edizione del Miart, fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea, riesce perfettamente nell’intento. Da oggi a domenica a Fiera Milano City, conta 178 gallerie partecipanti(nove più dell’anno scorso) di 28 Paesi. Significativo il titolo No time no space, mutuato da una canzone di Franco Battiato, che fa riferimento  all’obiettivo che i curatori e il direttore del Miart, Nicola Ricciardi, si pongono. Aprire sempre di più ai linguaggi diversi e alimentare il dialogo tra collezionisti, critici, pubblico. Per quanto ci siano, come sempre, le due sezioni Established ed Emergent, all’interno di queste ce ne sono delle nuove che vanno “lette” in modo particolare. 




Non esiste un percorso da seguire, dettato  dagli anni o dalle correnti ma, come suggerisce Ricciardi in un’intervista al Corriere della Sera, bisogna “lasciarsi guidare dagli occhi e dall’istinto”. E le sorprese non mancano. Si può trovare una delle versioni della Venere di Pistoletto o uno dei suoi specchi accanto a installazioni di un giovanissimo emergente.  Le opere di un artista possono trovarsi negli stand di due diversissime gallerie. Come per esempio i soffietti in marmo di Carrara dell’uruguaiano Pablo Atchugarry (foto in alto). Ci sono opere che ti portano in un’altra dimensione, spesso onirica. Piccole come le micro-installazioni del francese Théo Massoulier nella galleria Gaep di Bucarest o enormi come l’impalcatura a cui è appesa tutta una vita, dalla camicia alla sfera, a una sedia asimmetrica, del berlinese Axel Lieber, che vuole invitare il visitatore in un percorso “enigmatico”. L’ironia è molto presente. Dalle credenze-finestre di Lapo Binazzi, ai cani che si confrontano di Daisy Sheff o a quelli di Isaac Lythgoe per la galleria Super Dakota di Bruxelles, con due telefoni accanto a loro e il titolo “Non ricordo cosa mi hai detto la notte scorsa”. Dallo Zimbawe per Osart Gallery di Milano, Franklyn Dzingai propone i suoi collage di cartone, per immagini che ricava da fotografie di famiglia. Strepitose le foto di Thaudiwe Muriu (keniana, classe 1990) esposte da 193 Gallery di Parigi. Sono modelle vestite e con sfondo di coloratissimi tessuti africani, tutte con occhiali strani o oggetti che fungono da occhiali(foto al centro). Le sue foto apparse l’anno scorso al MIA di Milano, saranno alla Biennale di Venezia. Non manca l'horror con gli inquietanti alieni-bambini di Michele Gabriele per Ashes/Ashes di New York, al suo debutto al Miart (foto in basso).


 

giovedì 11 aprile 2024

OTTO DONNE E UNA DICHIARAZIONE

Si legge come un romanzo. Ma non è per questo che Le donne della dichiarazione universale dei diritti umani (Edizioni Manni) di Enrica Simonetti è un gran libro. Il titolo lo colloca nei saggi, non certo nella narrativa, ma già la copertina, con le stilizzate figure femminili così diverse e così vicine una all’altra, fa capire che dietro c’è qualcosa di speciale, raccontato in modo speciale. Le donne sono otto, accomunate dall’aver partecipato alla stesura di un documento sui diritti della persona all’Assemblea generale dell’ONU nel 1948. Le uniche otto donne tra i rappresentanti di 48 Paesi del mondo. Particolare che la dice lunga sulla situazione allora e sul grande lavoro che queste signore hanno fatto e che è stato alla base delle conquiste civili del Novecento. 


E’ interessante, e Simonetti lo mette in evidenza, che queste otto donne provengano da ambienti ed estrazioni sociali diverse, non solo da paesi diversi. In comune hanno, oltre gli intenti e la determinazione, un alto livello culturale che ha reso facile la comunicazione tra loro. E sono proprio i ritratti così ben fatti di ognuna che rendono piacevole la lettura. Simonetti, da ottima cronista qual è (caposervizio alla Gazzetta del Mezzogiorno a Bari), non ha aggiunto o romanzato niente, tutto è frutto di un lavoro di ricerca in biblioteca. Nel suo modo di scrivere è riuscita a renderle figure ben connotate e simpatiche. L’unica conosciuta è Eleanor Roosvelt vedova del presidente degli Stati Uniti, nota per l’impegno femminista e spesso giudicata scomoda nelle alte sfere. Non tutti i newyorchesi conoscono il piccolo giardino in Amsterdam Avenue dedicato, per volere del sindaco Bloomberg nel 2006, a Minerva Bernardino, dominicana che, in mezzo ai sobri tailleur, indossava mises colorate e floreali alla Frida Kahlo.  Sempre in sari l’energica Begum Shaista Ikramullah, prima musulmana a conseguire il dottorato all’Università di Londra nel 1940. Ha ispirato il film Parigi brucia? di René Clement  del 1967, la rocambolesca vita di Marie-Hélène Lefaucheux, che salvò il marito dalla deportazione inseguendo un treno in bicicletta. L’unica tra loro a essere morta giovane, in un incidente aereo. Il libro termina con i trenta articoli della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, riportati integralmente. A cui segue la postfazione a firma di Gabriella Caruso, medico, e del marito Vincenzo Sassanelli governatore del Rotary della Puglia che hanno sostenuto l’idea del libro.  Che, già distribuito gratuitamente nelle scuole in Puglia, è stato presentato ieri a Milano dall’autrice e da Eliana Di Caro, giornalista del Sole 24 ore, alla Kasa dei Libri. Nessuna migliore scelta di location. 


  


VIA CON L' ARTE

Fra arte e design Milano è in grande fermento. Anche perché, come si sa, a differenza della moda che vuole dare al pubblico curioso solo anticipazioni e poca “sostanza” design e arte fanno a gara a coinvolgerlo. Mostrandosi all’esterno il più possibile, aprendo e spalancando porte di gallerie, musei, saloni vari. Tra i primi eventi, importanti e centralissimi perché al Museo del Novecento, quattro mostre.





Una coincidenza commuovente, perché proprio ieri si è celebrato il funerale di Italo Rota, l’architetto progettista del superbo palazzo.  Come si è detto in conferenza stampa, sarebbe stato contento di vedere come il suo museo è sempre più aperto all’esterno, moltiplicando simbolicamente l’effetto delle sue vetrate.  Quattro le esposizioni sviluppate sui quattro pieni, con opere che duettano con la collezione permanente. Come l’intervento site-specific del cipriota Haris Epaminonda (classe 1980), all’inizio della galleria del Futurismo, curato da Edoardo Bonaspetti. L’artista guarda al futurismo  ma non alle opere che esprimono il lato più vigoroso e perfino "machista" della corrente artistica, ma sceglie figure umili con fragilità e sofferenze come il bronzo del Bambino Malato di Medardo Rosso. Che circonda con vari elementi, oggetti non finiti, materiali che parlano di una lavorazione in corso e di sperimentazioni. Al terzo piano s’incontra Off script, personale dell’olandese Magali Reus (classe 1981), vincitrice del Premio Arnaldo Pomodoro, curata da Federico Giani. Da vedere oggetti di uso comune come barattoli di marmellata o di conserve che ingigantiti diventano mostri destabilizzanti (foto in basso).  Al quarto piano, infine, negli spazi degli Archivi del Novecento c’è Ritratto di città: Mariuccia Casadio con libri, documenti e fotografie ricostruisce i settanta anni di storia di cinquanta gallerie milanesi. Tra le fotografie, svariate  quelle di Giovanna Dal Magro: Gillo Dorfles nel 1975 (foto in alto), Franco Vaccari davanti ai Bagni di Milano per l'opera Viaggio per un trattamento completo  all’Albergo Diurno Cobianchi o, di piccole dimensioni, Marina Abramovic in una delle sue performance. Ma Ritratto di città è anche la video installazione di Masbedo, il duo artistico nato nel 1999, a cura di Cloe Piccoli. Un’opera affascinante, non di immediata comprensione. Tutto parte dallo studio di fonologia Rai di Milano aperto nel 1955. Che diventa un laboratorio con performer, attori, musica elettronica per un "ritratto" della città da affiancare a quello della città vera con i suoi rumori (foto al centro).