Il titolo La figlia cinese sulla via della seta intriga. In un primo momento
potrebbe essere l’anticipo di una storia, dopo confonde, crea dubbi, di sicuro dà
aspettative. Contribuisce anche la copertina (foto Italo Bertolasi) con due
donne dai grandi cappelli, una cinese l’altra occidentale, sullo sfondo di
grattacieli. Dal commento sul retro di copertina il libro di Alessandra Dal Ri
si presenta come un romanzo, ma non lo è. Nonostante ci siano tutti gli
ingredienti: trama, personaggi, dialoghi, descrizioni, finale. Sarebbe meglio
definirlo un racconto di viaggio. Di un viaggio vero e proprio, ma soprattutto di un viaggio interiore,
nei pensieri, nelle fantasie, nelle reazioni di Bia, la protagonista. Bia è una
giornalista freelance, proprio come l’autrice, che gira il mondo per
intervistare personaggi, ma anche per sfuggire a un matrimonio stanco, senza
batticuori e futuro. L’incontro con l’indecifrabile Li Mei, la figlia cinese, le
restituisce i batticuori, con molto tormento. La loro frequentazione è fatta di
appuntamenti in aeroporti, di momenti ritagliati dal lavoro, frenetico per la
manager Li Mei, di pause in luoghi di relax, dove si aggirano presenze
inopportune, ombre. I dialoghi sono intramezzati
da sensazioni e riflessioni di Bia, così realistiche da coinvolgere il lettore. Notevole è la capacità
di Dal Ri con pochi flash di raccontarti un luogo, che sia la hall di un hotel
a cinque stelle, una strada di New Delhi, il banco di un mercato. Vedi i volti
della gente, la consistenza degli oggetti, come in un film. L’ avvio del libro è lento, non è chiaro dove ti vuole portare e poi a poco a
poco ti immerge in un’atmosfera che ti sembra di vivere dall’interno. Il libro
è edito da Albatros e parte del ricavato delle vendite è destinato alla
realizzazione e al sostegno dei laboratori solidali di scrittura
LetterariaMente.
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