Quello che colpisce di più è l’attualità. Il fatto
che non risenta minimamente dei suoi anni, pur trattando temi e argomenti non assoluti,
ma legati all’epoca. Se si ha una certa età, si può pensare che è il richiamo
di quei tempi, vissuti in prima persona, che lo fa sentire contemporaneo. Ma il
successo dello spettacolo tra i giovani e addirittura i millennial, smentisce l’ipotesi.
Mi
voleva Strehler, di Umberto Simonetta e Maurizio Micheli, ha quarant’anni e, da ieri fino a domani, ritorna dopo 1200
repliche al Teatro Gerolamo di Milano,
dove è stato rappresentato la prima volta. Sulla scena sempre e solo Maurizio
Micheli con un monologo di una comicità irresistibile dove perfino luoghi
comuni, canzoni becere, battute scontate sono trattate con il filtro di
un’intelligenza e di una cultura che l’impressione sulla scena è di vero
teatro. Micheli è Fabio Aldoresi, attore frustrato costretto a recitare in
un cabaret d’infimo ordine dove il doppio senso e la volgarità sono l’unica
attrazione per un pubblico rozzo. Ma, desideroso di un riscatto che è sicuro di
meritare, si prepara a un provino, non si sa fino a che punto immaginato o
reale, con il regista Strehler. Ed è tutto un susseguirsi di prove e modi di
presentarsi. L’attore sfigato e
patetico si alterna al presuntuoso-incompreso, quello che crede di aver capito
tutto del teatro e si riempie la bocca di citazioni convive con quello imbranato che si sente inferiore per
tutto, anche per il fatto di non essere
bello. Stupendo a questo proposito il
pezzo sui divi di Hollywood e su Alain Delon. Frasi di grande teatro si
alternano a satira dotta e gustosa, fra ricordi di incontri speciali.
Irresistibile quello, non si sa se reale o inventato, durante il maggio francese con Jean-Louis Barrault o quello con il Living Theatre a Bari.
Micheli passa con una facilità e un’abilità incredibile dall’intonare
perfettamente una canzone al discorso
serrato in vari dialetti, dall’esibizione da mimo a inscenare una serie di quadretti-luoghi
comuni: il ristoratore toscano aggressivo e supponente, l’attore barese
ignorante, eccetera. E tutto si svolge su una pedana girevole che diventa
ora il palco kitsch del cabaret ora il camerino
da attore sfigato, ora la sua
modesta stanza da letto tappezzata con foto di divi, che lui dice
autografate.
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