Tutto
si svolge nel giro di un'ora in una stanza, un soggiorno di una casa borghese
con scatoloni semiaperti. Un uomo è seduto sul divano, sta leggendo o meglio sfogliando senza convinzione
dei libri. Si sente il rumore di una porta che si apre, poi dei passi. Una
donna con un impermeabile e una borsa a tracolla entra nella stanza. Si guarda intorno con l'occhio di chi non conosce il luogo, eppure è entrata con le sue
chiavi. Dal primo scambio di battute si intuisce che i due sono una coppia o
per lo meno lo sono stata. Non si vedono da tempo, sono ironici, disincantati,
accusatorii, si palleggiano le colpe. Si avverte che è successo qualcosa di
molto grave che ha cambiato gli ultimi mesi delle rispettive vite. Così inizia
e procede per una mezz'ora Mathilde,
atto unico di Véronique Olmi. Il dialogo è serrato, ora con momenti drammatici,
ora con domande senza risposte, ora con frasi convenzionali. Sovente normali in un rapporto di coppia che si è esaurito. Ed è per questo che risulta
perfetta l'interpretazione dei due attori, Cinzia Damassa e Mario Mantero,
egregiamente diretti da Roberto Cajafa. L'impressione è quella di spiare dal
buco della serratura o da una finestra aperta. E l'associazione
Tangiro, piccolo teatro milanese dove la pièce è stata rappresentata venerdì 17 e sabato 18, rafforza la
sensazione. Solo nella seconda parte, come in un giallo con suspence, viene
rivelato un episodio tragico, che spiega ma non del tutto la tensione tra i
due. Curiosamente è per l'antefatto che il pezzo fa discutere. E anche
molto. Diventa ovvio, quasi automatico per il pubblico trovare il buono e il
cattivo, l'eroe e la vittima. Damassa e Mantero , comunque, ti convincono che
il teatro ha ancora ragione di essere anche senza effetti speciali o un testo importante.
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