Che il legame o anche le
contaminazioni tra cinema e moda siano forti e frequenti è un fatto acquisito,
e non si limita certo ai red carpet. Ma che la moda si occupi di problematiche
sociali, mettendo a buon fine la sua
popolarità, non è così scontato. Soprattutto se accade in una manifestazione in
cui l’immagine è in primo piano. E’ successo nella sesta edizione del Fashion
Film Festival Milano, tenutasi all’Anteo Palazzo del Cinema dal 7 al 10
novembre. Fondato e diretto da Constanza
Cavalli Etro, con il patrocinio del Comune di Milano, il Festival ha proiettato
una selezione di duecento film provenienti da cinquanta Paesi (in alto Constanza Cavalli Etro con i premiati). Vari i corti su
personaggi della moda, da Montana di
Stella Scott a quelli su fotografi come The
times of Bill Cunningham diretto da Mark Bozek e Peter Lindbergh: Women’s Stories con la regia di Jean-Michel Vecchiet. Divertente con dialogo
brillante-surreale il film, premiato, di Michael McCoool per il
brand JW Anderson. Accanto a questi, video che parlano di tematiche importanti.
Di sostenibilità ambientale, come il documentario Asap che racconta l’evoluzione del brand Osklen, primo esempio di
moda sostenibile, creato dal brasiliano Oskar Metsavath. O d’inclusività, sia
con presenze inaspettate all’interno dei filmati, sia con incontri come la
Conversation con Kiera Chaplin, direttrice di The Desert Flower Foundation che promuove la consapevolezza sulle
mutilazioni genitali femminili nei Paesi in via di sviluppo. Particolarmente
interessante, nonché davvero toccante il docu-film Donne in prigione realizzato da Jo Squillo con Francesca Carollo e
Giusy Versace, già presentato alla Mostra del Cinema di Venezia(in basso, un momento del film). Molte parti
del quale sono state girate dalle stesse carcerate. Straordinario l’equilibrio.
Il realismo senza compiacimenti, nessuna concessione a sentimentalismi
ruffiani. Il rigore senza piagnistei e moralismi. Constatazioni con occhi
apparentemente neutri con il risultato di un racconto che spiazza, commuove,
coinvolge, spinge alla riflessione e crea una fortissima empatia. Tanto
che quel ricorrente rumore della chiave della cella è ogni volta un colpo al
cuore.
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