L'installazione di Maria Micozzi |
A differenza del cinema dove è il personaggio
che prevale, nel teatro, aldilà dell’interesse per la storia raccontata, si
sente di più la persona-attore. Si avverte che c’è qualcuno che per un’ora o
due diventa un altro. Impossibile ignorarlo, soprattutto se gli attori hanno vite
particolari come quelle delle giovani detenute che ieri sera, al Teatro Binario
7 di Monza, hanno portato in scena “Il delitto di Oreste”, prodotto dalla onlus
Zeroconfini con l’importante supporto del Comune di Monza. Il lavoro, tratto
dall’Orestea di Eschilo con la drammaturgia e la regia di Luisa Gay, più che il
saggio finale del corso di teatro classico, tenuto per mesi dalla regista nella Casa Circondariale San Quirico di Monza, è un obiettivo. Anzi la testimonianza
di un impegno notevole, tenuto anche conto che tutte le attrici-detenute,
tranne una, sono straniere. Infatti, hanno pronunciato qualche frase o cantato,
come Helena, nella loro lingua. Sono stati messi in evidenza i momenti più forti
della storia, con gli stati d’animo più
accentuati: il rimorso, la paura, la rabbia, il senso di colpa. E sono proprio
questi, così ben delineati, che spiegano la scelta di un testo classico, che
potrebbe sembrare troppo difficile, per iniziati. “Il teatro greco non era per
l’élite ma per la gente comune, che faceva il tifo per i personaggi” spiega la
regista. A scandire e dare enfasi ai momenti clou gli intervalli musicali della
violinista Francesca Bonaita. A recitare
accanto a Yolanta, Tatiana, Vanessa, Helena, Stefania anche tre attori della
scuola delle Arti di Monza e a inscenare l’Aeropago, primo tribunale della
Grecia e della storia, per giudicare Oreste,
i ragazzi di un liceo di Monza. Sul palcoscenico solo un' installazione,
significativa e d’effetto di Maria Micozzi. Coerenti anche gli abiti di scena in
tessuti fluttuanti, con stampe che richiamano le decorazioni di antichi templi,
della stilista Maria Grazia Severi.
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