C’è chi ha fatto le interviste con i citofoni e chi
attraverso questi fa viaggiare nel mondo. E il secondo per davvero. Succede in
un libro edito con la consueta eleganza da Skira.
L’autore è Severino Salvemini, professore dell’Università
Bocconi ed esperto di economia delle istituzioni culturali. A differenza di
quanto ci si potrebbe aspettare i citofoni sono raccontati con acquerelli. Proprio come i viaggiatori
del Grand Tour nei loro carnet descrivevano palazzi e paesaggi. I campanelli
dell’era moderna, ora precocemente invecchiati, sono “ritratti” a Belfast,
Courmayeur, Venezia, Milano, New York, Rio de Janeiro, Londra, Berlino, Colonia,
Abu Dhabi, eccetera. Non si vede niente dell’edificio di cui fanno parte, anche
se spesso si intuiscono molte cose. Il titolo
del volumetto è intrigante “Prego ,
farsi riconoscere al citofono”, ma non è di fantasia. E’ una scritta accanto a uno dei tanti
citofoni. Come spiega l’autore nelle prime pagine, l’idea gli è venuta a Colonia, dove la sua attenzione è stata
attratta da un citofono che non avrebbe
mai potuto essere “in Sicilia o in Spagna o a Marsiglia”. E da quel momento ha
fatto caso a questi oggetti e si è accorto che “non sono banali e impersonali”.
Non solo il citofono fa parte dell’arredo urbano ma “…è
un artefatto culturale. Incarna attraverso un banale strumento di comunicazione
valori, credenze e identità di chi vive in un certo spazio”. E la conferma si
ha confrontando l’indice dove sono catalogati per luogo i citofoni-acquerelli.
“E’ un testo di sociologia, fa vedere le relazioni umane… mostra l’evolversi
della tecnologia e dell’abitare” ha
detto il sociologo Renato Mannheimer alla presentazione del libro. ”E’ un
piccolo trattato di antropologia urbana..” ha ribadito la critica d’arte Angela
Vettese, che ha elogiato Salvemini per aver osato l’acquerello, una tecnica pittorica che non consente correzioni. Non a caso
scrive nell’introduzione Beppe Severgnini: “I citofoni di Salvemini viene
voglia di suonarli. L’acquerello addolcisce, le città affascinano, i nomi
attirano”. “Lavoro curioso e intrigante di chi trova tuttora diletto nel gioco
dell’intelletto” dice a conclusione della sua introduzione Philippe Daverio.
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