Ci vuole coraggio a portare in scena una tragedia
come Le Baccanti di Euripide in un
normale teatro di prosa. Anche perché le tematiche sono davvero troppo lontane
dalla realtà. Difficile vedere una contemporaneità nella ferocia di Dioniso/Bacco,
irato perché non riconosciuto figlio di Zeus. Forse si può arrivare a una
metafora sulla crudeltà dissennata del potere. Ma l’operazione è comunque
forzata. Daniele Salvo, il regista, non ha tentato strade alternative, ma ha
proposto una rappresentazione esaltando
addirittura gli eccessi da tragedia greca. Non ha molto variato il testo e neanche il
modo di esporlo e ha puntato su scenografia e coreografia straordinarie. Creando
qualcosa a metà tra la performance d’arte e l’installazione. La vicenda o trama
non è che un filo conduttore. Ed è forse per questo che la prima parte funziona
quasi da antefatto, lascia perplessi e si segue meno. Mentre la seconda coinvolge
il pubblico, lo incolla alla scena, provoca gli applausi. Arriva al culmine con
Agave, la baccante che in preda alla
follia ha fatto a pezzi il figlio Penteo, convinta nell’esaltazione di avere
ucciso un leone. E il finale, quando
torna in sé, capisce l’orrore provocato, vede la disperazione di suo padre Cadmo,
nonno di Penteo, si rivela a sorpresa di un’umanità sconcertante. Prodotto da
La fabbrica dell’attore, Teatro Vascello, Tieffe Teatro Milano, Teatro di Stato
di Constanta Le Baccanti. Dyonisus il Dio
nato due volte, in tournée dal 13 marzo, è a Milano dal 16 al 26 novembre al Teatro
Menotti.
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