domenica 18 maggio 2025

IRRESISTIBILMENTE IPPOLITA

Tra i pregi degli spettacoli di Ippolita Baldini c’è sicuramente il ritmo sostenuto, per un’ora e mezza. Con continui motivi di risate, cambi d’abito, balli, immaginari dialoghi, sdoppiamenti di persona. In questo ultimo Io Roberta Ippolita Lucia, al Teatro della Cooperativa di Milano dal 13 al 18 maggio, non si è smentita. Sempre più nota anche al grande pubblico della TV, lavora sugli stessi temi, ispirati, rivela con entusiasmo e riconoscenza, dalle sue due "Franche modelli", Rame e Valeri (molto si riconosce nel suo personaggio del Diario della Signorina Snob di Franca Valeri). 




Lei Roberta Ippolita Lucia, sempre autobiografica con i suoi tre nomi e i suoi tre cognomi (una e trina si definisce), ogni tanto dialoga con la madre in cui si trasforma semplicemente tendendo la testa all’indietro e tenendosi la folta chioma, ovvio con una voce impostata. Questa volta arriva sul palco dal pubblico scusandosi per il ritardo, dovuto al "duro" lavoro svolto con altri volontari, tutti con tre cognomi e nomi che vanno da Luchino a Gaddo, a Lapo, con i quali ha dovuto ricostruire le coppie di calzini spaiati da mandare a bisognosi bambini del Mali. Da qui l’ironia, con una divertente presa in giro di un certo mondo, prende la rincorsa.  Fino alla scena finale in cui insegna alle signore del pubblico a simulare l’orgasmo, sostenendo che a furia di simularlo, alla fine lo si prova. Un’idea, dice, che parte dai deludenti dati del famoso Rapporto Kinsey sull’orgasmo femminile. Il tutto passando per feste bene, viaggi a New York, incontri in discoteca, storie con ipotetici fidanzati neri del Queens.  Continuamente cambiandosi d’abito velocissima. Alle volte dietro un paravento, unico oggetto in scena, alle volte voltata di spalle. Soltanto per il bis, il cambio d’abito ha richiesto più tempo. Durante il quale, Ippolita Baldini nascosta, ha continuato a parlare, cantare e soprattutto a intrattenere e far divertire il pubblico. 

sabato 17 maggio 2025

RADIOGRAFIA DI UN VUOTO

Niente di eccessivo. Nessun momento tragico per accattivarsi il pubblico. Nessuna concessione alla battuta facile, nonostante i dialoghi che potrebbero rasentare il surreale. Tutto è di misura, perfettamente calibrato. Proprio per questo Intorno al vuoto al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano, fino al 18 maggio, non è solo convincente, ma in molti momenti straziante. Scritto da Benedetta Nicoletti e diretto da Giampiero Rappa, lo spettacolo parla di Alzheimer attraverso la vicenda di una famiglia. In scena una madre, un padre, una figlia. Interpretati da Paola Giorgi, direttore artistico di Bottega Teatro Marche che ha prodotto Intorno al vuoto e ideatrice del progetto, Gianluigi Fogacci e Fabiana Pesci.     




Carol, la madre, stimata docente di psicologia è malata di Alzheimer, il mondo intorno a lei è sempre più sfuocato, c’è solo un vago ricordo di quello che era il suo atteggiamento nei confronti della figlia Liz. Ma mentre Liz tenta inutilmente di coinvolgere la madre, parlandole delle sue scelte lavorative, il marito Paul, noto ricercatore, è rassegnato. Non ha alcuna speranza. Vuole solo cercare di vivere una vita normale, forse anche per non distruggere il ricordo di un amore e di un’unione felice. E in questo quadro famigliare è raccontata la drammaticità cruda dell’Alzheimer che più di qualsiasi altra malattia coinvolge tutti in un enorme vuoto. Rende le persone così diverse da farle scomparire e non lascia vie di uscita. Ottima la recitazione, notevole la scenografia fatta di pareti di vetro da cui escono e entrano gli attori o dietro cui passano le loro ombre. Una possibile metafora del vuoto.  

giovedì 15 maggio 2025

ONDA NON ANOMALA

Una mostra che racconta un fenomeno culturale di grande impatto. E’ ovvio che Hallyu! L’onda coreana stia avendo successo. Prodotta dal Victoria and Albert Museum di Londra, dopo essere stata al Museum of Fine Arts di Boston e all’Asian Art Museum di San Francisco, è dal 4 aprile fino al 17 agosto al Museo Rietberg di Zurigo. In una villa immersa nel fiabesco Parco Rieter, è uno dei più importanti musei della Svizzera e l’unico che raccoglie l’arte tradizionale e contemporanea di Asia, Africa, America e Oceania. Fa un certo effetto vedere accanto a sculture, dipinti, oggetti per la maggior parte di epoche passate o che parlano di culture lontane, foto, installazioni, video, abiti e oggetti testimonianza di un mondo in evoluzione e proiettato nel futuro. 


  


Raccontano, infatti, la storia del pop coreano che, nato negli anni 90, si è diffuso ed è diventato al centro dell’attenzione mondiale. Il percorso espositivo ha quattro tappe. Nella prima si inquadra il veloce passaggio da paese preindustriale a internet e i social media,  la sua simbologia e la sua oggettistica. Tra i protagonisti l’artista PSY con i video su You Tube tra cui Gangnam  che nel 2012 ha superato i due miliardi di visualizzazioni. La seconda tappa parla, con foto e spezzoni di film, del cinema che a poco si va affermando, prima solo tra cineteche e cinefili, poi globalmente con Parasite e serie su Netflix. E il ricostruito "squallido bagno" di Parasite diventa un’installazione. Si continua con la musica e il K-pop che conta fans a non finire. In un video enorme compaiono ritratti in movimento di ballerini, improvvisati e non, a cui il visitatore può aggiungersi. L’ultima tappa riguarda la moda e la cosmesi,  molto importante quest’ultima dato che la bellezza è profondamente e storicamente radicata nella cultura coreana. L’aspetto fisico curato non è vanità o un piacere ma un dovere morale, perché indicativo del proprio stato sociale e interiore. Particolarmente interessanti i capi esposti dove è evidente lo "styling british", per quel che riguarda il recupero di elementi tradizionali nei tagli e nei tessuti pop e avveniristici.  Vari i riferimenti ai cartoons, ma anche ai fiori. Non solo stampati. Come i finti petali inseriti nel bomber unisex del noto brand Munn, fondato dal designer coreano Hyun-min Han, o l’abito a forma di peonia della giovane designer Sohee Park, coreana basata a Londra,  molto attenta alla sostenibilità.  Dopo Zurigo L’onda coreana finirà la sua "tournée" al National Museum of Australia di Canberra, dal 12 dicembre al 10 maggio 2026.

martedì 13 maggio 2025

RACCONTI IN VIAGGIO

Piccoli racconti per immagini dove poesia e ironia si accordano e si compenetrano. Questa è la mostra fotografica Doppia Uso Singola che si inaugura giovedì alla Galleria Patricia Armocida di Milano. Già il titolo, divertente ma con un retrogusto di tristezza per l’allusione alla solitudine, anticipa i contenuti. Questi sono giocati sulla collaborazione dell’artista, l’eclettico Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce, e la curatrice della mostra, la stessa gallerista Patricia Armocida.





Le 200 
foto esposte e incorniciate hanno il formato 20x20 delle "cementine", piastrelle da pavimentazione tipiche della Sicilia, di cui è originario Colapesce e dove sono stati realizzati la maggior parte degli scatti. Sono suddivisi in tre nuclei. Il primo, DUS acronimo di Doppia uso singola, usato nel "linguaggio alberghiero" e che dà il nome all’intera rassegna, raccoglie foto di camere d’albergo. Spesso il letto è disfatto e si vede utilizzato solo da una parte. Molte le foto di dettagli dal frigobar all’appendiabiti, alla doccia, al telefono sul comodino (in alto a destra). Lo completano un settore dedicato alle chiavi, prese da sole o inserite nella porta o sul pannello nella reception. La seconda serie, racconta “la relazione simbiotica” di Teresa e Anna, nonna e prozia dell’artista (in alto a sinistra). Immagini delle due case, dove molti particolari coincidono, ma anche di capi del guardaroba, spesso uguali, anche se le due signore non vorrebbero ammetterlo. E qui l’ironia è il filo conduttore.  Come anche nella terza serie intitolata Giorni sfiniti, dove i paradossi come una scala che porta a un muro o un assurdo groviglio di fili elettrici nel pieno centro di una città si alternano a immagini poetiche come un cielo di nuvole o uno spicchio di mare eoliano. La Galleria Patricia Armocida è a Milano in Via Filippo Argelati 24. La mostra è aperta d martedì a sabato dalle 11,30 alle 19, dal 16 maggio al 27 giugno.

lunedì 12 maggio 2025

NATURALMENTE PREZIOSI

E'calcarea l'enorme parete rocciosa chiamata Balena Bianca tra i boschi di San Filippo nel sud della Toscana. Ma Calcarea è anche il nome di una collezione di borse “che parla di ciò che resta, di ciò che resiste, di una bellezza che si sedimenta nel tempo”, presentata a Milano questa settimana.  





Proprio come quella roccia, anche l’ultima creazione di Biagini, marchio di alto artigianato fondato 40 anni fa da Alberto Amidei a Modena, affiancato dalla moglie Enza e dal 2009 dai tre figli. Un accostamento quello delle borse e delle rocce perfetto. Ribadito nelle immagini della campagna, frutto della collaborazione della famiglia Amidei con la fotografa Carlotta Bertelli e Gianluca Guaitoli direttore creativo di Studio Hamor, firmatario dell'art direction della collezione. A far da testimonial, nella natura splendida di Balena Bianca, Marie Sophie Wilson, modella icona e musa di Peter Lindbergh negli anni 90, tornata di recente in passerella per Valentino Haute Couture.  Ed eccola quindi seduta su una roccia, a piedi nudi in un piccolo ruscello, con lo sfondo del bosco, con in mano o a fianco alcuni dei pezzi clou della collezione. Dalla tracolla a forma di pesce in pelle dorata alle sacche in pitone o in struzzo, alle piccole borse squadrate in coccodrillo. Veri gioielli di prezioso artigianato. 

giovedì 8 maggio 2025

DIETRO GLI OCCHIALI

 La Biennale di Architettura di Venezia apre sabato ma già ci sono eventi e mostre. Come The lens of time, inaugurata ieri a Cannaregio, nel Palazzo Flangini, il primo che s’incontra sul Canal Grande appena usciti dalla Stazione, restaurato da poco. Ideale per raccontare la storia dell’occhiale dalle origini medioevali agli anni 90. Un oggetto con finalità funzionali, addirittura dispositivo medico, che mette insieme arte, design, artigianato, tecnologia, tradizioni, passato, presente e futuro. Come indica, sul manifesto della mostra, l’occhiale trasformato in clessidra, uno de simboli più rappresentativi del tempo che scorre. 





Da vedere al piano terreno, in teche di vetro, oltre 150 pezzi provenienti da tre collezioni, quelle private della famiglia Vascellari, ottici veneziani, e di Arte del Vedere di Lucio Stramare e  quella del Museo dell’Occhiale di Pieve di Cadore. Il percorso espositivo, in un’unica sala, attraversa sette secoli. Dai primi rudimentali strumenti per leggere del 1300, in ferro, rame, ottone, da appoggiare sul naso, usati soprattutto da studiosi e religiosi, come  spiegano i manifesti alle spalle, fino all’eyewear fashion degli anni 80 e 90 firmato delle più prestigiose maison, in nuovi materiali plastici. Molte le curiosità rivelatrici di modi di vivere, ma anche i pezzi con una storia specifica.  Come i rudimentali e pesanti occhiali di Sean Connery nel film In nome della rosa, o i piccoli, metallici inseriti nella copertina di una Bibbia, appartenuti probabilmente a un religioso (v.foto in basso). Svariati anche  gli astucci o le speciali lenti, come quella grande verde con montatura e manico in legno usata nel 1700 dalle dame veneziane in gondola, per ripararsi dal sole responsabile di “orribili abbronzature da contadina”. O ancora nel secolo dopo gli occhiali racchiusi nel manico di un bastone, di un ventaglio, di una collana, le lorgnette, i fassamano da tenere in mano (da face-à-main), i pince nez (v.foto al centro)
. Fino ad arrivare agli anni 50 con gli occhialoni da diva hollywoodiana a farfalla, precursori degli attuali cat-eye. E, dopo, alle maschere da moto e da sci, come quella indossata da Lady Gaga nella parte di Patrizia Reggiani nel film House of Gucci. Fino alle montature grandi firme o ai divertissement con vistose pietre di Moschino o con aste–forchette di Jean Paul Gaultier.  A completare il tutto due installazioni dell’artista Maurizio Paccagnella, una realizzata con acetato scarto di fabbricazioni di montature, l’altra con occhiali in un pannello che sembrano galleggiare in una materia fluida, ispirata alla Laguna di Venezia. La mostra, promossa da ANFAO Associazione Nazionale Fabbricanti Articoli Ottici, è a ingresso gratuito, tutti i giorni dalle 11 alle 17, fino al 30 luglio.  

lunedì 5 maggio 2025

TIPI DA FOTO


Typologien
s’intitola la mostra sulla fotografia in Germania nel 20° secolo, alla Fondazione Prada di Milano. Un titolo che incuriosisce, ma anche intimidisce. Come spiega la curatrice Susanne Pfeffer, storica dell’arte e direttrice del Museum MMK fur Moderne Kunst di Francoforte, fa riferimento a un "principio-metodo" per far emergere somiglianze e differenze. Un principio quello delle tipologie, non a caso, applicato negli studi botanici del Seicento e Settecento. Molto utile trattandosi di oltre 600 foto scattate da 25 fotografi, dal 1906 ai primi anni 
duemila. 





Quasi a insistere o a spiegare il "principio-fil rouge", ad aprire il percorso foto di piante e fiori realizzate da svariati fotografi. Dai ritratti perfetti, a scatti di paesaggi con inquadrature particolari, a interpretazioni surreali che spingono a visioni inaspettate come le  piante colte nel loro aspetto più stilizzato, tanto da sembrare architetture. La tipologia  si sposta sugli animali ed ecco immortalati da Candida Hofer tigri, leoni, giraffe e ma anche orsi polari e pinguini (foto in alto), ripresi e "mortificati" in giardini zoologici. Testimonianza di una “forma di solitudine dei tempi moderni”. Sempre della stessa autrice le biblioteche di Londra, Parigi, New York, riprese fuori orario, illuminate e deserte. E poi le case, come la differente "interpretazione-arredo" di una stessa stanza in un grande condomino berlinese. Famosa la foto del caseggiato di Maine-Montparnasse a Parigi, di Andrea Gursky, con un’ elaborazione digitale che gioca sulle differenze e le ripetizioni delle finestre. Sulla ripetizione e la diversità sono anche i ritratti di  persone  da sole sullo stesso ascensore di Heinrich Riebesehl. Nessun titolo, nessun nome, sebbene si sappia che le foto sono state scattate nell’ascensore di un quotidiano di Hannover e gli uomini e le donne ritratti sono persone che vi lavorano(foto in basso). Una di queste foto è anche la locandina della mostra. Gli sguardi diversi nello stesso ambiente sono i veri protagonisti. In una stanza chiusa il ciclo di Hans Peter Feldmann su morti legati a movimenti politici dissidenti. Novanta immagini, quasi sempre riproduzioni sgranate di fotografie  pubblicate su giornali. La mostra nel Podium della Fondazione Prada di via Isarco, aperta  il 3 aprile, chiude il 14 luglio.  

mercoledì 30 aprile 2025

PICCOLI, CONVINCENTI RITRATTI

“Salgo in scena senza copione e scaletta” scrive Ascanio Celestini nel comunicato del suo spettacolo Il piccolo paese, evento speciale, solo ieri, al Teatro della Cooperativa di Milano. E non è certo per quel commentare uno strano starnuto del pubblico o rispondere a una domanda. 




Nel suo programma di microstorie, accompagnate dalla fisarmonica davvero straordinaria di Gianluca Casadei, ci sono intere storie aggiunte o improvvisate. Alcune sono surreali, in altre ci sono personaggi reali, veri, anche con nome e cognome. Alcune sono brevi, altre più lunghe. Di alcune, forse la maggior parte, si ride, altre si ascoltano in silenzio e si arriva a commuoversi. Come per il ricordo di Giulio Regeni. Ed è lo stesso Celestini a far cadere qualche lacrima.  Ma in tutte, da quelle da copione a quelle improvvisate, c’è un pensiero di base che non solo le accomuna ma le rafforza. Ed è quello in cui si specchia il pensiero del pubblico, foltissimo( Pare non sia stato possibile accontentare tutte le richieste di biglietto). Dalla critica di un simbolizzato capitalismo, rovina dell’individuo, alle scelte discriminatorie e senza alcuna logica di un ministero. Da piccoli quadri di situazioni estreme degli ultimi cinquant’anni a un "progetto personale" di bomba.  Fino addirittura a due barzellette, giocate su un'ironia "matura e documentata". Divertenti, ma soprattutto dimostrative. 


 

venerdì 25 aprile 2025

RACCONTATELO CON I FIORI

Può esserci un racconto in cui piante e fiori sono protagonisti, ma che non sia una fiaba o simili? La risposta è sì, sfogliando e leggendo Egeo & Flora. Incontro tra mare e terra di Mila de Franco (Etabeta Edizioni). Nelle pagine del libro, con moltissime fotografie, si parla di un tipo di flora specifica. Alcune specie sono tipiche di quelle coste e di quelle isole, altre sono più comuni e si trovano in vari luoghi. Ma tutte hanno un’identità precisa, si può anche dire delle caratteristiche che le rendono più "animate e vitali".


     



Tutte, infatti, sono piante selvatiche che nascono senza che nessuno le pianti o le curi. In tutte c’è qualcosa che le rende speciali. Tutte crescono, si conformano, si piegano o restano perfettamente diritte per adattarsi al luogo dove sono, ma addirittura per difendersi dagli eventuali attacchi d’insetti e animali. E questo fa di loro degli esseri viventi, con cui è quasi possibile avere un dialogo. Ed è questo che esce dalle foto, ma che è soprattutto spiegato in quello che scrive Mila de Franco, biologa, ricercatrice, counselor olistica. Scritti che sono il frutto di ripetuti viaggi e lunghi soggiorni nell’Egeo, specie nelle Micro Cicladi.  Con la complicità di uno spirito di osservazione e un’attenzione che si rivela immediatamente già nelle prime pagine. Dove si passa dal cespuglio isolato al fiore appena sbocciato, ingrandito al massimo, e diventato il regno di un’ape. Ma anche di una roccia a picco su un mare blu o di un asino che sbuca improvvisamente da dietro uno scoglio. Documentatissima, ma da leggere piacevolmente come un romanzo, la parte finale con le immagini e le descrizioni delle specie più particolari e autoctone. In perfetta armonia con le note dell’autrice a chiusura. In cui invita a camminare nella natura ed entrarne in sintonia per trarre dal contatto il massimo beneficio. “Cerca un posto in cui ti senti a tuo agio che ti riempia di gioia”. E’ l’ultima frase del libro, solo una piccola sintesi di tutto quello che si vede e si legge nelle pagine del libro. Davvero convincenti.

mercoledì 16 aprile 2025

COSA C'E' SOTTO?

Vista così in fotografia sembra un’installazione, ovviamente interattiva, data la presenza dell’umano, del Fuorisalone di Milano. O di un’altra scenografica mostra in qualche parte del mondo. Non è virtuale, esiste e non è stata progettata e costruita dall’uomo. Si trova in Spagna, in Andalusia ed è la Geoda Gigante di Pulpì, piccolo centro di 8 mila abitanti non lontano da Almeria. E’ considerato il più grande geode d’Europa e uno dei più importanti del mondo. Da qualche tempo è stato inserito nel Patrimonio Mondiale dell’Unesco dal 95° Consiglio del Patrimonio storico della Spagna, riunitosi a Murcia.






Si trova a 60 metri di profondità all’interno della Mina Rica, una miniera di ferro e piombo, chiusa da anni, della Sierra de Aguilon ed è stato scoperto nel 1999 durante un’escursione del Gruppo mineralogista di Madrid. Ma che cosa è un geode? E la cavità di una roccia magmatica rivestita da enormi cristalli di gesso. Nella Geoda di Pulpì i cristalli sono particolarmente lucenti e con dimensioni da record, otto metri di lunghezza per due metri di altezza e undici di diametro. E tutti benissimo conservati, nonostante siano il risultato di un processo di carsificazione durato cinque o sei milioni di anni. Altra caratteristica che rende eccezionale la Geoda di Pulpì sono le dimensioni. Si presenta, infatti, come una grotta che può ospitare al suo interno fino a dodici persone. Chiusa al pubblico fino a qualche anno fa, si può ora visitare in gruppi di massimo 12 persone. Il tour dura circa 90 minuti. Dopo una visita alle gallerie della vecchia miniera, si scendono 164 gradini e si raggiunge il geode. 

lunedì 14 aprile 2025

FINE SETTIMANA

Finito il Salone del Mobile, finiti gli eventi del Fuorisalone.  Qualcosa resta, come il Fuorisalone dell’Università Statale di Milano con la mostra Cre-action della rivista Interni, che chiude giovedì 17. Visitatissima, ha registrato finora più di 250mila ingressi, 10 mila in più rispetto al 2024. Sostenibilità, rapporto tra uomo e natura, immancabile Intelligenza Artificiale, materiali innovativi e architettura, i temi. Insomma tutto o quasi. Grande successo anche del Brera District, con 50 mila ingressi solo per l’Orto Botanico. I numeri erano immaginabili viste le interminabili code per le strade, non sempre corrispondenti però a eventi e rassegne di interesse per il design.


 





Motivazione del successo spesso un nome della moda prestigioso, che comunque "deve" essere presente al Fuorisalone o un gadget-omaggio. Dalla borsa di tela, al piccolo profumo, al ventaglio, fino a uno sgabello, un cono di pop corn o l’Experience Ticket di un monomarca stellato, che dà diritto a “un’esperienza” all’interno. Meno visitatori della scorsa edizione nella zona Tortona, sempre brulicante di vendita di cibo e presentazioni improvvisate, tanto da avere in qualche modo pregiudicato l’affluenza al Superstudio Più, da cui tutto è nato, che comunque ha registrato 87mila visitatori, e 3.057 giornalisti da ogni parte del mondo, che hanno raccontato il Superdesign Show nei loro articoli. Tema conduttore Happiness. La felicità, che non è solo il cucciolo caldo di Snoopy anni 70. Non è intesa, infatti, solo come qualcosa di personale, ma è una ricerca globale mirata allo stare bene. A cui il design può contribuire. Per esempio, con le proposte per la sicurezza di Forum8, compagnia giapponese di software per la simulazione in 3D, che propone una scenografica esperienza virtuale. O come "la forma dell’acqua" di Geberit, azienda svizzera di prodotti sanitari. Con un percorso interattivo, più simile a un’installazione artistica, racconta come l’acqua, possa essere incanalata con la tecnologia e aumentare le sue prestazioni al servizio del quotidiano (foto in basso). E infine anche il design divertente può contribuire a stare bene, o per lo meno a far sorridere molti. Come Funnyture, non una collezione d’arredamento, ma pezzi unici artistici, opera del designer ed educatore danese Niklas Jacob. Così Mick, la chaise longue tributo a Mick Jagger, il divanetto Couch Potato per superpigri, lo sgabello Prompter (suggeritore in inglese), che simula la piccola gabbia in cui sul palcoscenico si nasconde, appunto, la testa del suggeritore. Filo conduttore l’ironia. La stessa o quasi che ha animato il Marvis Tram, un vecchio tram milanese trasformato in un tubetto da dentifricio, con oniriche illustrazioni all’esterno e un’esperienza sensoriale all’interno.

sabato 12 aprile 2025

CINA IMPREVEDIBILE

La Cina è vicina, certo. Ma a Milano, non ci di aspetta di vederla in un quartiere residenziale di villette. A poche centinaia di metri da Viale Monte Rosa circondata da un muro e una cancellata c’è una villa. E’ Villa Da Vinci e il Da Vinci è proprio lui, normalmente chiamato Leonardo.  Basta dare un’occhiata al palazzo nel parco per rendersi conto  che si tratta di una costruzione quattrocentesca.  Qui ha vissuto il sommo artista nel suo soggiorno milanese, ospitato da Ludovico il Moro, suo grande sostenitore. Dopo secoli di passaggi di proprietà e anni di abbandono, La Cascina Bolla, questa uno dei suoi ultimi utilizzi, è stata acquistata da Gordon Gu, un imprenditore cinese innamorato di Leonardo Da Vinci. 






Ora sia il vecchio palazzo, sia l’aggiunta degli anni Cinquanta sono stati ristrutturati. Le due parti sono collegate da un volume vetrato,  da cui si entra nella hall. All’interno, aperta al pubblico per il Fuorisalone, un ‘esposizione di mobili particolarissimi. Dire fusione di Oriente e Occidente è semplificativo e sminuente. C’è una ricerca di materiali strepitosa, una lavorazione artigianale accuratissima. I riferimenti alla Cina, anche se esasperati, non pregiudicano la razionalità e la funzionalità di un divano, piuttosto che di una lampada o di una sedia.  Ogni tanto su qualche pezzo d’arredo c’è un riferimento a Leonardo. Che sia il suo busto che sporge sul fianco del divano o l’Uomo Vetruviano intagliato sul tavolo di cristallo. Ma i riferimenti all’arte non si limitano a questi. Ecco la Venere di Milo in cristallo, quasi a grandezza naturale. Lampadari con inserti d’oro, che si muovono, vere e proprie installazioni. Qua e là piccoli riferimenti alla Cina, come i cavallini d’oro e cristallo sul camino o ancora le decorazioni sui tappeti. Molte le sculture di animali in cristallo, trattato in modo particolare. Ma tutto in una versione assolutamente innovativa, quasi futuristica. Non manca il poetico. Nel giardino, le sedie in cristallo hanno inserito, nei braccioli e nella seduta, dei petali di rosa che sembrano appena caduti dalla pianta vicina. La sorpresa e la meraviglia si alternano. Niente è scontato. Dal primo piano al pian terreno, alla cantina dove su due stand sono appesi i giubbotti e le giacche, sempre di produzione di Gordon Gu. Domani è l’ultimo giorno  per le visite. Dalle 10 alle 18. L’indirizzo è Via Paris Bordone 9, Milano.  

venerdì 11 aprile 2025

DESIGN EVERYWHERE

Il design è dappertutto, ma nel Fuorisalone c’è un’insistenza a ricordarlo. Soprattutto a mostrarne le contaminazioni. Sempre più audaci, forti, al limite del provocatorio. Cosa c’entra il Pratone di Gufram, con i piccoli gioielli di Dodo? Tutti e due si ispirano alla natura, il primo riproducendo in chiave pop-amplificata un pezzo di prato, il secondo prendendo spunti dagli animali come il dodo, uccello estinto endemico di Mauritius, e altre forme di vita. E così nella boutique milanese di Dodo è stato presentato Pratone Forever una versione miniaturizzata dell’originale, con 25 steli verdi in poliuretano rivestiti di lana bouclé. Anche un’idea di contenitore per collane e catenine. 





Valextra e design sono un binomio da sempre, ma ValextraVocabolario è un’ulteriore scenografica conferma. Alla sua seconda edizione l’elegante valigetta s’incontra con lo Studio di Design Zavan e nuovi cubi di colori magici s’incastrano negli scomparti del ripiano per un gioco tutto da inventare. L’artista francese Thomas Lelu per Laneus, (nella foto in basso) brand italiano di alta maglieria, ha creato una capsule collection fatta di un pouf, un cuscino e una coperta, con tutte le caratteristiche di raffinatezza e costruzione del marchio, sui quali ha scritto le sue citazioni inedite e ironiche. Nella boutique Eleventy, sembrano creati apposta per completare l’arredo e accordarsi con i capi esposti, i due tappeti della Jaipur Rugs Limited Edition disegnati da Daaa Haus per Cardex. Uno, appeso, è un perfetto sfondo per la vetrina, l’altro, al piano sopra per terra, ricorda un piccolo, delizioso prato che non si vorrebbe calpestare. Un altro incontro è stato quello di Drumohr, marchio di maglieria, e Altreforme, azienda leader nell’arredamento specializzata nella trasformazione dell’alluminio in mobili. Al di là del design, inteso come ricerca di un’estetica, il punto comune dei due, oltre l’artigianalità, è il gusto della personalizzazione, come  la lavorazione a biscottino per Drumohr e come raccontano i capi appesi e gli oggetti “ospiti” esposti (foto in alto). 


mercoledì 9 aprile 2025

ARIA DI OLANDA

Masterly è un appuntamento irrinunciabile. Nonostante le difficoltà di seguire il più possibile del Fuorisalone. Perché Masterly the Dutch in Milano, cioè il design olandese a Milano, esercita un’attrazione particolare. Forse per quella sensazione di sentirsi a casa, ma nello stesso tempo con l’impressione di avere fatto un viaggio e trovarsi in un altro paese. Importante anche la varietà di proposte, scelte dalla fondatrice e curatrice Nicole Uniquole, che vanno dall’artista e designer emergente, allo studio prestigioso, all’azienda leader del settore. Il tutto sempre in palazzi storici e imponenti. Con cui le installazioni e gli allestimenti dialogano piacevolmente. In questa edizione è il cinquecentesco Palazzo Giureconsulti nella centralissima Piazza dei Mercanti.






All’entrata, ai piedi dello scalone d’onore, le torri luminose, con elementi in PETG stampati in 3 D di Lucas Zitofanno subito entrare in atmosfera. Al primo piano c’è un bar invitante, grazie anche alle lampade. Sono di Signify myCreation, realizzate con almeno il 65% di materiali riciclati e stampate in 3D. Accanto Triboo trasforma i rifiuti in mobili di pregio. Sempre dalla plastica riciclata “nascono” le Beluga Chair di Arthur Gaudenz, con pezzi di diversi colori da assemblare a proprio piacere. La produzione è in Francia (in alto a sinistra). Guardano alla bellezza della natura, ma sono un concentrato di tecnologia le lampade fiore di Maxim Duterre, con petali staccabili (in alto a destra). Forse gli amanti del caminetto inorridiscono di fronte a quelli di Brand & Young. In metallo con le forme più svariate, anche tondi, personalizzabili per adattarsi a vari ambienti e, last but not least, con i più elevati canoni di sicurezza. Design e moda non possono non incontrarsi a Masterly . Ed ecco la collezione Eclipse di Monique Singh, nata in Olanda di origini indiane, che nei suoi capi haute couture mette insieme dettagli e linee di Oriente e Occidente (in basso a destra). Mai troppo costume, mai troppo essenziali. Assolutamente da visitare il piano sotterraneo  con L’ultima cena di Simone Van Es per Roots Exhibition. Su un tavolo, oggetti frutto di antiche tecniche artigianali o fatti con scarti vegetali o detriti, risultato di lunghe ricerche (in basso a sinistra). Vicino, non passa inosservata la poltrona con sgabello poggiapiedi in legno e pelle intrecciata, costruita senza uso di colla o chiodi. E’ una creazione di Emma Batsheva, laureata alla Design Academy di Eindhoven, che vive a Parigi.  

martedì 8 aprile 2025

DESIGN AL VIA

Il Salone del mobile si è aperto oggi a Milano. Ma il Fuorisalone è partito già da qualche giorno, giocando con la concomitanza e la fine di Miart e Art Week. Sempre più distribuito, con sempre più nuovi “centri focali”, sempre più installazioni coinvolgenti e aperte a tutti. Non dà tregua, chi c’è c’è. Difficile farsi un piano, inevitabile trascurare o saltare qualcosa. L’ubiquità, che in qualcuno esiste, qui perde valore. In qualsiasi presentazione, dalla più piccola alla più grande e variegata, c’è un qualcosa di forte impatto per attrarre, che invita, anzi pretende attenzione. Perché dietro c’è sempre un pensiero, una riflessione. Più o meno nascosta. Più o meno spiegata. Più o meno comprensibile.





MoscaPartners, nel suo continuo impegno a individuare e promuovere  nuovi talenti e nuovi linguaggi, per la mostra Variations, sceglie di tornare a Palazzo Litta in Corso Magenta. Ventiquattro gli espositori da dodici Paesi diversi. Filo conduttore Migrations, cioè l’incontro di culture diverse attraverso il design. Come subito racconta l’installazione dell’architetto coreano Byoung Soo Choo nel cortile d’ingresso con una distesa di terra rossa, su cui camminare scalzi, a cui fanno da cornice, sotto il porticato, espressioni di filosofie orientali e occidentali (in alto). Attraverso l’imponente scalone con tappeto "parlante" si arriva al primo piano dove le differenze emergono forti, così come la creatività. Tutto è interessante e tutto richiede tempo e contemplazione. A metà della scala il giardino-parete di Verde verticale and de Luca Farms, una possibilità per un futuro sostenibile. Vengono da Vancouver gli oggetti e i mobili di Marrimor e l’ispirazione sono le pozzanghere della città. "Let it rain", ironizza lo slogan. Nella sala degli Specchi una gabbia di tessuto e materiali metallici riciclati avvolge il grande lampadario di cristallo. E’ un progetto di Luc Druez consulente di ricerca tessile e direttore artistico di tessuti per LCD Textile Edition, che ha collaborato per le più importanti case di moda (al centro). Non è un’installazione ma una proposta di ombrellone più funzionale quella dell’industrial designer Giulio Iacchetti, che prevede un sostegno laterale (in basso).“Noi saremo luce” vuole dire Alessandra Pasqua con la sua composizione dalle sculture colorate che emette suoni e luci (al centro). Il percorso della mostra è accessibile a persone non vedenti e ipovedenti, grazie al progetto di Adrenalina e Debonademeo.



domenica 6 aprile 2025

ALLEGRIA GALEOTTA

Il titolo è rimasto quello Ti ho sposato con allegria, anche l’ambientazione in quegli inizi anni Sessanta quando Natalia Ginzburg la scrisse e fu la prima di undici sue commedie. Il tema è lo stesso, la vita di coppia, l’amore che manca, le relazioni moglie e suocera.  Una certa superficialità nei rapporti, tutto visto con ironia. Non comicità, ma ironia. Come ha scritto il regista Emilio Russo : “Sono convinto che non sia opportuno modificare, adattare o .... modernizzare il testo. Sono convinto che vada contestualizzato a quella metà degli anni 60 .... e far risuonare parole e situazioni al cuore e all’intelligenza del pubblico al tempo presente”. Anche se lo spettacolo di Giampiero Ingrassia e Marianella Bargilli, sulla scena  Pietro e Giuliana, fino a al 13 aprile in prima milanese al Teatro Menotti, è profondamente diverso. Per chi ha avuto occasione di vedere la commedia originale.



E non è certo per i cambiamenti di scenografia, peraltro intriganti,  di Fabiana Di Marco, che hanno richiesto un intervallo e un primo e un secondo atto. Sono le figure sul palcoscenico. Nell’originale la scena è concentrata su Giuliana che dialoga con la cameriera (Viola Lucio) raccontando la sua vita e trovando dei punti di contatto con quella di lei. Lui Pietro compare solo un attimo alla fine. Nella nuova versione la scena è raccontata dalla coppia con piccole interruzioni della cameriera su "parmigiana di melanzane" e vicine di casa. Lui deve andare a un funerale di un amico che lei crede di avere conosciuto e con cui ha avuto una piccola storia. Un modo per insistere sulla leggerezza dei rapporti dei due, sposati solo dopo un mese di conoscenza. Un piccolo accenno alla madre di lui, suocera da manuale, ottima interpretazione di Lucia Vasini, che però compare insieme alla figlia e sorella di Pietro (Claudia Donadoni) nel secondo atto, con una tavola perfettamente imbandita, anche se non con "il mollettone giusto", intorno a cui siedono fantocci colorati al posto dei commensali. Quando tutti se ne sono andati la coppia cerca di capire come è nato il loro legame e, proprio come nell’originale, si scopre che l’allegria è stato il fattore determinante. A completare quel mondo aperto, dalle finestre con vista su Roma, i ritratti di personaggi di contorno: l’amica zitella Elena, la predatrice di uomini Topazia e l’immancabile in ogni famiglia zia bigotta, Filippa

venerdì 4 aprile 2025

L' ARTE NON VA MESSA DA PARTE

Nella 29° edizione di Miart la prima impressione quando si entra è che le installazioni dominino.  Se un tempo, ci si fermava un po’stupiti tra l’atteggiamento critico e la curiosità di saperne di più, ora le rarità sono i dipinti su tela o le sculture distribuite tra Established, la sezione principale con una selezione dei grandi maestri dell’arte moderna e contemporanea, e la piccola sezione Timescape, dedicata ai capolavori del primo Novecento. Per il resto questa fiera propone una visione dell’arte prevalentemente contemporanea. 




Il titolo-tema è Among friends come l’ultima retrospettiva di Robert Rauschenberg, a cui è dedicata  la fiera, per il centenario della nascita. 179 le gallerie presenti, da 31 Paesi di cinque continenti. Anzi l’impressione che si ha è di una forte rappresentanza di gallerie straniere, spesso con artisti italiani. E questo rimanda in parte a quella lettera-documento degli artisti indirizzata al Presidente del Consiglio e agli "onorevoli ministri" di cui la copia è sparsa in tutti i corridoi. Si riferisce alla preoccupazione per la decisione del Governo di non ridurre l’aliquota IVA sulle opere d’arte, come già è stato fatto in Francia e in Germania, e di lasciarla al 22%. Cosa che scoraggerà gli acquisti e spingerà molte gallerie a chiudere o a trasferirsi all’estero, come già in parte si sta verificando.Un danno non solo per galleristi e artisti ma anche per operatori culturali, artigiani, restauratori, trasportatori e fiere, oltre che di immagine. Svariate, comunque, le opere che in qualche modo protestano con il sistema. Come le scritte luminose di Matteo Attruia alla MLZ Art Dep di Trieste. Tra queste All I need is all, che fa riflettere sulla mania del "sovrapossedere" o il completo appeso, realizzato con la carta metallica dorata usata per avvolgere i corpi nei naufragi.  Renato Evaristo Perego, performer, non ha una galleria alle spalle, ma gira per il Miart con l’insegna-freccia di Milano e in testa una gabbia, un modo per dire come noi tutti siamo ingabbiati e soprattutto gli artisti. Famosa la sua performance, vestito di rosso, sdraiato su un divano sul tetto di un’auto: un modo per parlare dell’isolamento a cui siamo sempre più spinti. “Così ho portato il divano fuori”. Qualcosa sfiora l’horror come le scarpe d’oro con tacco-pistola di Tasneem Sarkez alla Galleria Eva Gold di Londra. Un’altra scarpa, ma scintillante,  quella di Luigi Ontani alla Galleria L’incontro di Chiari (Bs). Catherine Biocca e Lorenzo Modica,  entrambi romani, alla Galleria Eugenia Delfini di Roma,  vogliono dimostrare che l’arte serve a ricercare il lato assurdo della vita. Poetica la composizione con 48 foto di cartoline, vere, spedite tra il marzo e il dicembre del 1975. Il titolo è Life before me, perché erano i mesi in cui l’artista Florence De Benedetti era "nella pancia della mamma". Interessante e coerente con il tema di Miart l’allestimento della Bernini Gallery di  Misinto (MB) con mix di pezzi dei primi 900 e arte contemporanea, realizzato da vari artisti.

giovedì 3 aprile 2025

OLTRE IL GIALLO

Sì, è proprio George Simenon fotografato alla Darsena di Milano nel 1957. E quella è la locandina della mostra George Simenon. Otto viaggi di un romanziere che aprirà il 10 aprile alla Galleria Modernissimo di Bologna. Se lo sfondo del mappamondo può anticipare i viaggi di cui si tratterà, perché la scelta di Milano? Perché il primo editore italiano dei romanzi dello scrittore è stato Mondadori, a Milano. A cui si deve sicuramente l’aver fatto diventare i lettori italiani di Simenon i più numerosi nel mondo, superiori anche ai francesi. Ma perché allora la scelta di Bologna per la mostra? Se ne è parlato ieri in conferenza stampa alla presenza dei due curatori Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna nonché ideatore del festival Il Cinema ritrovato e promotore dell’apertura del laboratorio di restauro e John Simenon, figlio di George, che da tempo si occupa della gestione dei diritti d’autore del padre.



Un’esposizione che ha richiesto dieci anni di lavoro in cui è messa in risalto la relazione tra romanzo e cinema, quindi perfetta la scelta della Galleria Modernissimo.  E’ un passaggio sotterraneo,in pieno centro della città, che va da una parte all’altra della via Emilia. Vicino a Modernissimo storico cinema, che l’anno scorso ha venduto più  biglietti di tutte le sale cinematografiche italiane, e questo record con una programmazione sulla storia del cinema e non con i film più  visti del momento.  La galleria di 1300 metri quadrati è stata allestita da Giancarlo Barilli, lo scenografo di parecchi film di successo italiani, che ha completamente ridisegnato lo spazio. Da vedere 900 foto, non stampate, ma in video e una quarantina di filmati. Le foto, per la maggior parte scattate da Simenon, parlano dei suoi viaggi in Francia, in Europa, in Africa. “I viaggi sono stati il riflesso del suo sentirsi libero” ha spiegato il figlio. In sintesi un racconto della vita dello scrittore che parte da Liegi, dove era nato, per proseguire con la sua attività di giornalista, quando si firmava George Sim, i suoi rapporti a Parigi con Colette e André Gide che lo introducono nel mondo del cinema, oltre a essere stati preziosi per la sua attività di romanziere . Di Colette diceva che "gli aveva insegnato a scrivere su ciò che conosceva". E poi la sua vita e la navigazione  sulla barca Ostrogo, che si era fatto costruire.  Per continuare con il soggiorno negli Stati Uniti dove conosce quella che diventerà la sua seconda moglie, la mamma di John . Dall’incontro con Mondadori,con cui pubblica dal 1932 al 1984, a quello con Roberto Calasso che lo introdurrà in Adelphi, dando ai suoi romanzi una classificazione "al di sopra dei gialli". E ancora l’amicizia con Federico Fellini e Jean Renoir. Fellini era un suo appassionato lettore, nella biblioteca del regista  ci sono  ben 130 romanzi di Simenon, tutti letti. Nel settimo libro racconta il suo  metodo di scrittura, che richiede un isolamento dal mondo, nell’ottavo, infine, parla del romanzo e della sua trasposizione nel cinema. Insomma una mostra appassionante che svela molte cose non solo del padre del Commissario Maigret e di uno dei più grandi scrittori dell’ultimo secolo. Chiude l’8 febbraio.