Tra Natale e Capodanno il 50% delle coppie non fa
sesso. Il 52% per lo stress, il 45% per la stanchezza, il 38% per “il modo
inappropriato di relazionarsi all’interno della coppia”. Sono i risultati dell’indagine di Aaron Gigolò. Sull’
attendibilità del sondaggio è giusto nutrire qualche dubbio. Non tanto per il nome della società di
ricerche totalmente sconosciuto, quanto per il campione preso in
considerazione: le clienti di Aaron Gigolò, società di servizi con sedi nelle
principali città italiane e nelle più grandi capitali europee, che ha
triplicato in dieci anni il numero degli utenti. “A non fare più sesso o a
farlo molto di rado, sono ormai una coppia su tre” dicono. Non viene
specificata età, né professione o stato civile delle coppie prese in
considerazione. Leggermente di parte la valutazione finale che, per la donna,
vede nel rapporto con un accompagnatore professionista, la soluzione per
salvare la coppia.Continuano comunque le proposte più convenzionali. Dalle mises da Babbe Natale succinte per
lei agli inviti per lui ad acquistare un certo prodotto che allunga e allarga in
poche ore, per garantire eccezionali orgasmi natalizi. Per chi punta sul
tradizionale, sempre in auge la biancheria rossa da regalare al/alla partner o
da esibire a sorpresa… Ma quale? Più interessante e meno scontata la proposta di
PatiJò, marchio in ascesa del Bra fitting
& Lingerie. Creato da Patrycia Kamila Lewicka, designer di moda, e
Joanna Grunt laureata in Economia Internazionale, entrambe di origini polacche
ma formatesi a Londra (nella foto), è specializzato nel trovare il giusto reggiseno per ogni
donna. Per la sera di Capodanno propongono una serie di modelli studiati ad
hoc. I reggiseni sono sempre muniti di spalline staccabili, da utilizzare
entrambe in diagonale per l’abito monospallina, trend del momento. Da fare passare dietro al collo per quelli
con scollo all’americana. Per gli abiti
con scollatura a V profonda ecco un reggiseno che raccoglie i seni dai lati.
Per abiti fluttuanti leggermente trasparenti consigliano la coppa morbida memory foam con il pizzo da
intravvedere. Il mitico reggiseno a balconcino, retaggio anni ’50, infine, è
suggerito per le scollature ampie e quadrate. Eccetera, eccetera.
venerdì 29 dicembre 2017
mercoledì 27 dicembre 2017
LUCKY DOG
Continuano su Facebook le petizioni per salvare
cani dai maltrattamenti e punirne gli
autori. Le onlus si danno da fare con lotterie e campagne per raccogliere fondi
per una cuccia calda, un pasto quotidiano, e per trovare un padrone. Sono in aumento
i rifugi. Senza arrivare ai numeri del Battersea Dogs & Cats Home di Londra
che, nato nel 1850, si prende cura ogni anno di oltre 9mila quattrozampe. Sono
diventate numerose le adozioni e sono sempre più status symbol i meticci. Ha
fatto quindi scalpore, di questi giorni, il divieto del sindaco di Savona di
portare i cani al Porticato di Via Paleocapa e davanti ad altri monumenti
cittadini. Con la motivazione dei troppi quattrini spesi per pulire le
deiezioni. A parte questo episodio, a Natale i cani sono sempre più al centro
dell’attenzione e dei festeggiamenti. Se per coprirli si tende ogni tanto al
travestimento, per le cucce si punta a qualcosa di adeguato all’arredo di casa.
La prevalenza è verso la cuccia design, ma c’è anche chi è riuscito a creare
modelli d’ispirazione fra il barocco e il rétro, comodi per il cane, pratici da
pulire e ambientabili dappertutto. E’ il caso delle Cicce, sì con la i (foto in alto). Con dei
prototipi regalati agli amici padroni di cani, grazie ai social network, il
creatore Marco Bergamaschi, giornalista, si è fatto conoscere da un certo
numero di persone. E ora le sue Cicce stanno facendo il giro del mondo. “Ho
cominciato a pensare a un accessorio che fosse un complemento d’arredo, bello
da vedere e facile da pulire” spiega. Quindi
sono seguite le prove, con diversi tipi di tessuto e differenti tipologie d’imbottiture.
Alla fine sono nate Le Cicce, in raso brillante con un’imbottitura di un
particolare filato di poliestere, cucito a mano con centinaia di punti per
garantire forma e tenuta nel tempo. E il valore aggiunto della possibilità di scegliere
il colore (www.lecicce.com). Meno d’immagine ma altrettanto interessante, per i
cani di piccola taglia, anziani, malati o in fase post operatoria il Greeninbox, uso
wc. Sono dei rettangoli di 60x40 cm. o di 60x80 cm. di vero prato trattato con
uno speciale prodotto biologico che evita la formazione di odori. Vengono
consegnati direttamente a casa in una confezione riciclabile e totalmente
impermeabilizzata. Sono disponibili on line (www.greeninbox.it) a 18,90 e 25,90 euro. In basso i cani reporter del
Village di New York (foto Carolina Sandroni).
mercoledì 20 dicembre 2017
TERRITORIO A PROGETTO
Non è certo una mostra per tutti o da vedere di fretta senza leggere le didascalie, soffermandosi solo su quello che già si conosce. Però Il territorio dell’architettura, Gregotti e
Associati 1953-2017, può far capire molte cose, incuriosire, perfino
appassionare anche chi è digiuno sull’argomento. Intanto la location, il Pac
Padiglione di Arte Contemporanea di Milano, progettato da Ignazio Gardella agli
inizi degli anni Cinquanta. Con ingresso su via Palestro, ma affacciato con grandi vetrate sui giardini
della Villa Reale, uno dei più bei parchi della città. Nei saloni e nel soppalco, sono esposti
sessanta disegni e quaranta modelli originali, oltre a 700 fra riproduzioni e
fotografie. Per un totale di 1600 progetti, che sono solo una parte del lavoro in sessant’anni di Vittorio Gregotti, di cui la mostre coglie l’occasione per
celebrarne i novanta di età. Prodotta dal Pac e da Silvana Editoriale, l’esposizione
è curata da Guido Morpurgo, che ha firmato anche il catalogo edito da Skira, con
l’allestimento dello Studio Cerri e Associati.
Studiato con intelligenza, perché riesce a raccontare cosa è, cosa è
stata nella mente degli architetti e cosa deve essere l’architettura. Senza una
linea di demarcazione con l’arte, ma soprattutto con il territorio, come anticipa
il titolo. Molti gli esempi significativi in questo senso, dal centro culturale
di Belém a Lisbona al Progetto Bicocca a Milano, al teatro di Aix-en-Provence,
che sembra riprendere la forma del vicino Mont Sainte Victoire (v.foto di
Jean-Claude Carbonne). O la rassegna all’ingresso con oltre quaranta libri e 1200 articoli su
riviste scritti da Gregotti, che spiegano la sua concezione di architettura, “non
fatta solo di costruito, ma anche di
pensato”. La mostra, che termina l’11 febbraio, è la prima di una trilogia,
promossa dal Comune di Milano, per celebrare i grandi maestri dell’architettura
e del design. La seconda parte nel 2018 è dedicata a Enzo Mari, mentre la terza
nel 2019 a Ignazio Gardella.
martedì 19 dicembre 2017
L'ABITO NON FA IL MONACO
Ma lo racconta. “Gli abiti raccontano le vicende
delle persone che li hanno indossati e le loro scelte. Il caso più
rappresentativo sono gli abiti da sposa.
Niente di più effimero, perché dura un giorno, eppure è l’abito più conservato”.
Così dice Barbara De Dominicis che con
Ilaria De Palma e Gian Luca Bovenzi ha
curato Outfit ‘900. Abiti per le grandi
occasioni nella moda di Palazzo Morando, a Palazzo Morando di Milano, da
domani al 4 novembre 2018. Da vedere 23 abiti femminili, alcuni completi dei
loro accessori, dal 1900 al 1990. Per lo più generosamente messi a disposizione
del museo dalle proprietarie, ma più spesso dai loro eredi, sono tutti per
grandi occasioni. Da quelli da sera per gala, feste e prime teatrali a quelli
da giorno, per matrimoni, cerimonie e pranzi importanti. Lo spiegano anche attraverso foto, date dai
donatori o ritrovate negli archivi. “L’abito comunica a chi lo osserva un
linguaggio ed è questo che la mostra vuole fare vedere” prosegue De Dominicis.
Anche se di alcuni non si sa il nome della proprietaria, rivelano comunque delle storie. Come i due
sontuosi vestiti da sera di Worth. Di alcune famiglie ci sono modelli appartenuti alla nonna, alla mamma,
alla figlia, le tre generazioni di un secolo.
C’è un abito di chiffon azzurro di una sarta italiana, che è stato
indossato da una signora nel 1948 e nel
1971 dalla figlia per l’ingresso in società a 18 anni. Attraverso gli outfit si
raccontano la storia e i cambiamenti epocali.
Dal completo da gran pranzo
del 1900 con gonna ampia e bustino ricamato del 1900 (foto in alto) fino al
blouson di chiffon blu di Krizia del
1988 o al lungo di Giorgio Armani
indossato da Glenn Close sul red carpet degli Oscar nel 1994. Il tutto passando per abiti molto connotati, come
quello di Worth del 1922 creato per un ricevimento a corte Foto in basso). O il
completo da sposa in velluto del 1937 o il lungo da sera drappeggiato del
1950 o il soprabito da teatro in tessuto
damascato,con borsetta abbinata, del 1965. Alcuni sono stati conservati in
perfette condizioni, altri rivelano degli aggiustamenti anche di mani non
esperte, due degli anni Venti sono stati restaurati da Tessili Antichi. Ben
studiata l’illuminazione,
realizzata in collaborazione con la rivista Elle Decor.
domenica 17 dicembre 2017
UN BIGLIETTO PER ANDARE VIA
scena è un ashram in India dove i ragazzi si ritrovano a meditare. Come
fondale la proiezione di un magnifico bosco dove volano stormi di uccelli. Una
situazione idilliaca che mostra però già
i suoi risvolti di sgradevole realtà con il ronzio e le punture di fastidiosi
insetti. L’attesissimo arrivo del santone,
impersonato da una ragazza con barba, su cui si accanisce l’ironia, sancisce il
fallimento dell’esperienza. La seconda scena è un circo, la metafora di una
vita felice fatta di fantasie, musica, colore, danza ma anche un richiamo
all’effetto delle droghe. I nostri sogni
erano più veri della realtà ripete ogni tanto qualcuno. Nell’ultima parte i dodici attori sono in un
immenso loft di archeologia industriale, in smoking e abiti da sera. Alcuni
ballano stancamente, altri dormono, altri si abbracciano sulle panche. Qualcuno
si perde in tristi monologhi. Per terra
un tappeto fatto di bottiglie e bicchieri vuoti. C’è ancora la voglia di libertà, ma si percepisce
che è successo qualcosa di doloroso, che la droga, l’alcool, il vivere liberi
non sono riusciti a tenere lontano. Siamo
negli anni ’80 la festa è finita, l’ubriacatura degli anni ’70 ci ha lasciato
sconfitti, incapaci di reagire. Comunque
il vento è cambiato, la rivoluzione è avvenuta, la vita non sarà più la stessa.
Diretto da Emilio Russo lo spettacolo ha un’importante componente musicale firmata da Andrea Salvadori, compositore e inventore di suoni della Compagnia
della Fortezza di Volterra. Molte le canzoni dei Beatles cantate tali e quali
in a solo o in coro oppure rivedute e
con arrangiamenti. Ma come ha spiegato il regista non vuole essere una
celebrazione del mitico gruppo. Si parte da loro come spunto per parlare di una
generazione che ha percorso determinate
tappe ed è riuscita a portare avanti
un’idea di libertà, talvolta anche al prezzo di sconfitte.
venerdì 15 dicembre 2017
COM'E' SCIATTA LA CITTA'...
Parlare
male di Roma è facile e soprattutto è un inutile sparare sulla Croce rossa. Però dispiace davvero vedere una
magnifica città ridotta così. Quello che indispone
maggiormente non sono le gravi problematiche come traffico, interminabili lavori in corso, sporcizia, di lunga e laboriosa soluzione. Sono i dettagli, deplorevoli quanto rimediabili. Sono le piccole sciatterie che colpiscono come un pugno in un occhio. E non solo al confronto degli antichi palazzi, delle chiese e delle piazze secolari, dei tesori archeologici, dei giardini storici, ma anche degli edifici e delle strutture contemporanee, come la rinnovata stazione Termini, per esempio. Una costruzione ben inserita nel contesto, con spazi organizzati, segnalazioni chiare e nei posti giusti, negozi attraenti con una varietà di proposte indicative di quello che può offrire il made in Italy e non solo. Un piano superiore dalle grandi vetrate, con ristoranti e locali buoni per rendere piacevoli le attese, ma anche per incontri di chi non deve partire (foto in basso). Ma basta uscire e l’impatto sgradevole è immediato. Dei grandissimi vasi di coccio, che dovrebbero formare un corridoio verso piazza della Repubblica, solo tre hanno piante, rachitiche e avviate a morire nel giro di poco tempo. Gli altri o sono vuoti o hanno disomogenei e trasandati cespugli d’ erba. In via Nazionale(foto in alto), che si raggiunge con una gincana tra sbarramenti, scavi, reticolati, quasi ogni cento metri ci sono degli orologi. Peccato che ne funzioni uno su quattro . Le bancarelle dei souvenir, tutte di rara bruttezza, ma è un classico, a Roma sembrano collocate strategicamente con il preciso intento di rovinare gli scorci e gli angoli più belli. La numerazione delle strade è bizzarra, per usare un eufemismo, distingue tra negozi e case di abitazione. Non sarebbe un problema se i numeri non fossero spesso mancanti. Difficile, anzi impossibile in questo modo calcolare a quale distanza sia un certo indirizzo. Ancora peggio la situazione delle targhe delle strade. Per lo più inesistenti. E quando ci sono, assolutamente illeggibili. In marmo o nel materiale dei palazzi, sicuramente un secolo e più fa, connotavano con eleganza la capitale. Ora la totale mancanza di manutenzione e la sporcizia ha reso le targhe un invisibile e inutile oggetto. Non c’è da stupirsi che chiedendo di una certa strada al solito passante con cane e l’aria di abitare in zona risponda “So che è da queste parti, ma…”. E magari si è nella via che si cercava. E tutto questo porta a dei paradossi. Per cui il quartiere dell'Eur, odiato e denigrato dagli amanti della città eterna, perché troppo lontano dal suo spirito, ora sembra un'oasi di perfezione.
maggiormente non sono le gravi problematiche come traffico, interminabili lavori in corso, sporcizia, di lunga e laboriosa soluzione. Sono i dettagli, deplorevoli quanto rimediabili. Sono le piccole sciatterie che colpiscono come un pugno in un occhio. E non solo al confronto degli antichi palazzi, delle chiese e delle piazze secolari, dei tesori archeologici, dei giardini storici, ma anche degli edifici e delle strutture contemporanee, come la rinnovata stazione Termini, per esempio. Una costruzione ben inserita nel contesto, con spazi organizzati, segnalazioni chiare e nei posti giusti, negozi attraenti con una varietà di proposte indicative di quello che può offrire il made in Italy e non solo. Un piano superiore dalle grandi vetrate, con ristoranti e locali buoni per rendere piacevoli le attese, ma anche per incontri di chi non deve partire (foto in basso). Ma basta uscire e l’impatto sgradevole è immediato. Dei grandissimi vasi di coccio, che dovrebbero formare un corridoio verso piazza della Repubblica, solo tre hanno piante, rachitiche e avviate a morire nel giro di poco tempo. Gli altri o sono vuoti o hanno disomogenei e trasandati cespugli d’ erba. In via Nazionale(foto in alto), che si raggiunge con una gincana tra sbarramenti, scavi, reticolati, quasi ogni cento metri ci sono degli orologi. Peccato che ne funzioni uno su quattro . Le bancarelle dei souvenir, tutte di rara bruttezza, ma è un classico, a Roma sembrano collocate strategicamente con il preciso intento di rovinare gli scorci e gli angoli più belli. La numerazione delle strade è bizzarra, per usare un eufemismo, distingue tra negozi e case di abitazione. Non sarebbe un problema se i numeri non fossero spesso mancanti. Difficile, anzi impossibile in questo modo calcolare a quale distanza sia un certo indirizzo. Ancora peggio la situazione delle targhe delle strade. Per lo più inesistenti. E quando ci sono, assolutamente illeggibili. In marmo o nel materiale dei palazzi, sicuramente un secolo e più fa, connotavano con eleganza la capitale. Ora la totale mancanza di manutenzione e la sporcizia ha reso le targhe un invisibile e inutile oggetto. Non c’è da stupirsi che chiedendo di una certa strada al solito passante con cane e l’aria di abitare in zona risponda “So che è da queste parti, ma…”. E magari si è nella via che si cercava. E tutto questo porta a dei paradossi. Per cui il quartiere dell'Eur, odiato e denigrato dagli amanti della città eterna, perché troppo lontano dal suo spirito, ora sembra un'oasi di perfezione.