scena è un ashram in India dove i ragazzi si ritrovano a meditare. Come
fondale la proiezione di un magnifico bosco dove volano stormi di uccelli. Una
situazione idilliaca che mostra però già
i suoi risvolti di sgradevole realtà con il ronzio e le punture di fastidiosi
insetti. L’attesissimo arrivo del santone,
impersonato da una ragazza con barba, su cui si accanisce l’ironia, sancisce il
fallimento dell’esperienza. La seconda scena è un circo, la metafora di una
vita felice fatta di fantasie, musica, colore, danza ma anche un richiamo
all’effetto delle droghe. I nostri sogni
erano più veri della realtà ripete ogni tanto qualcuno. Nell’ultima parte i dodici attori sono in un
immenso loft di archeologia industriale, in smoking e abiti da sera. Alcuni
ballano stancamente, altri dormono, altri si abbracciano sulle panche. Qualcuno
si perde in tristi monologhi. Per terra
un tappeto fatto di bottiglie e bicchieri vuoti. C’è ancora la voglia di libertà, ma si percepisce
che è successo qualcosa di doloroso, che la droga, l’alcool, il vivere liberi
non sono riusciti a tenere lontano. Siamo
negli anni ’80 la festa è finita, l’ubriacatura degli anni ’70 ci ha lasciato
sconfitti, incapaci di reagire. Comunque
il vento è cambiato, la rivoluzione è avvenuta, la vita non sarà più la stessa.
Diretto da Emilio Russo lo spettacolo ha un’importante componente musicale firmata da Andrea Salvadori, compositore e inventore di suoni della Compagnia
della Fortezza di Volterra. Molte le canzoni dei Beatles cantate tali e quali
in a solo o in coro oppure rivedute e
con arrangiamenti. Ma come ha spiegato il regista non vuole essere una
celebrazione del mitico gruppo. Si parte da loro come spunto per parlare di una
generazione che ha percorso determinate
tappe ed è riuscita a portare avanti
un’idea di libertà, talvolta anche al prezzo di sconfitte.
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