Mai come in questo momento
celebrare il giorno della memoria è non
importante, ma obbligatorio, dovuto, fondamentale. In qualsiasi forma. Il
teatro è una delle formule più convincenti. Perché racconta attraverso le voci
e i gesti di persone vicine. Per quanto vada a fondo del tema, non può però rappresentare
quella realtà in tutto il suo orrore. C’è sempre il filtro della finzione
scenica. Quello che non esiste in I me
ciamava per nome: 44787. Risiera di San Sabba, testo e regia di Renato Sarti (nella foto),
basato sulle testimonianze di ex deportati raccolte da Marco Coslovich e Silvia
Bon dell’Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione del Friuli-Venezia
Giulia. Si parla della Risiera di San Sabba di Trieste, unico lager nazista in
Italia con forno crematorio, dove furono assassinate circa cinquemila persone.
Qui ebrei soprattutto, ma anche zingari, omosessuali, handicappati, non
stazionavano ma venivano quasi immediatamente cremati al loro arrivo. Sul palco
nessuna ricostruzione, solo un lungo tavolo dove sono seduti, come dei
conferenzieri, i quattro bravissimi attori, Nicoletta Ramorino, Irene Serini,
Ernesto Rossi e lo stesso Renato Sarti. Quando il pubblico entra in sala,
ancora con le luci sulla platea, i quattro sono già al loro posto. Ognuno dice un
nome seguito da data di nascita e dalla martellante parola soppresso con data. Il rumore di chi deve ancora prendere posto
rende più vero l’elenco, come fosse una registrazione delle presenze. E quindi
più straziante. Poi incominciano le testimonianze. Piccoli episodi raccontati
senza enfasi, come una cronaca puntuale. Ritratti di personaggi, i nazisti, con
qualche cenno alle loro piccole manie, spesso da uomini normali più che da
mostri. Qualche brano musicale di accompagnamento e foto e video, non solo di
quei tempi, tra cui quelli di Miran Hrovatin, il reporter triestino assassinato
in Somalia con Ilaria Alpi. La narrazione, volutamente piatta,comunica ed
emoziona più di qualsiasi altisonante discorso. La retorica è bandita. C’è la
verità buttata lì, senza filtri, senza giri di parole, in tutto il suo orrore. Dalle problematiche economiche, per ridurre
le spese di eliminazione dei corpi,
al capo nazista sempre con la chewing gum in bocca che esorta i prigionieri ad affrettarsi
nelle docce, “Prima che l’acqua si
raffreddi”. Lo spettacolo in prima al Piccolo Teatro Grassi di Milano il 27
gennaio è al Teatro della Cooperativa, sempre a Milano, dal 28 gennaio fino al
2 febbraio.
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