Una sala lunga e stretta con finestre
a tutta altezza, una lavagna e un tavolone con una decina di sgabelli
intorno. Su cui sono posati fogli di carta bianca, cartoncini di diversi
colori, manifesti ripiegati, ritagli di dépliant, carta da riutilizzare. Al
centro vasi di colla, pennelli, nastri di scotch, gomitoli di cordoncino,
punteruoli. Ci si siede, a ciascuno viene dato un kit personale con matite, forbici, taglierino e squadra. Dopo
le presentazioni e una veloce spiegazione si comincia a lavorare. Sebastiano
mostra cosa si deve fare, lasciando libera scelta sul materiale da usare, sul
tipo e colore della carta, su come piegare i fogli e assemblarli. Quasi subito compaiono abbozzi
di libretti, diversi uno dall’altro. C’è chi ha puntato sul colore, chi ha
introdotto delle applicazioni, chi ha lavorato sui tagli. Quindi il docente
spiega la fase seguente, quella della cucitura dei fogli l’uno con l’altro. La
creatività questa volta non incide. Prevale la tecnica e la manualità diventa
importante. Sebastiano è pronto ad aiutare chi ha difficoltà a forare la carta
con il punteruolo e perfino chi non riesce a infilare l’ago. Per quanto si
prendano aghi grandi, con crune in proporzione, il cordoncino ha le sue
esigenze e non perdona. L’ultima fase è la costruzione della copertina, la fase
più complessa forse, ma anche la più entusiasmante. Il parto è vicino, la
creatura è pronta a venire alla luce. Si è liberi di scegliere, tra i fogli di
carta riciclata, i disegni che si vuole. C’è chi propende per il
colore, chi invece cerca un’immagine precisa. Chi decide per il geometrico, chi
per l’informale. Incollare non è semplice. La colla è sempre troppa o troppo
poca. Individuare il giusto mezzo è difficile. E poi ci sono gli allineamenti,
le rifilature. In certi momenti, presi dallo sconforto per la propria
incapacità manuale ci si autoconvince che la carta è morta, che il futuro è l’web.
Certo la perfezione nel fatto a mano è irraggiungibile, ed è il suo pregio. Ma
ci si vuole arrivare lo stesso, nell’euforia del saper fare. Questo succede una mattina, riservata alla stampa, allo
IED Istituto Europeo di Design, la scuola superiore di design, moda, arti
visive, comunicazione, creata da Francesco Morelli a Milano nel 1967, diventata
in cinquant’anni un network con undici sedi in Italia (a Milano è quasi un
quartiere), due in Spagna e due in Brasile. Con 10mila studenti l’anno, di
cento nazionalità, e 120mila docenti. Basata sul concetto che la didattica deve
unire sapere e saper fare, teoria e pratica. Ed è per questo che nel giro di un
anno trova lavoro l’83% degli studenti del Master e il 78% degli studenti del
Diploma Triennale. Domenica scorsa Beyoncé per il pre-Grammy brunch ha
indossato un abito di Francesco Murano, ventitreenne diplomato IED in Fashion Design
2019. E in poche ore qualcuno ha costruito splendidi libretti…(Nelle foto un laboratorio di modellistica e una sala di posa dello IED).
Nessun commento:
Posta un commento