Da Alberto Arbasino a Tina Turner, dal medievalista
Jacques Le Goff alla scrittrice indiana Anita Desai, da Kevin Kostner a Madre
Teresa di Calcutta, dal Dalai Lama a Jack Nicholson, dal leader della
resistenza tibetana Lhasang Tsering alla star del cinema cinese Gong Li, dalla
scrittrice-viaggiatrice Freya Starck allo scrittore Premio Nobel turco Orhan
Pamuk, dall’antropologo Claude Lévi-Strauss a Pedro Almodòvar. In tutto una
cinquantina di persone.E Persone s’intitola il libro che raccoglie le
interviste fatte a loro da Pietro Tarallo, giornalista e scrittore, per quotidiani e periodici dal 1980 al
2014 (Il Canneto Editore). Sistemate in
ordine cronologico, a seconda dell’anno di realizzazione, ritraggono i
personaggi nel momento della massima
celebrità. Non a caso molti dei registi e degli attori sono stati intervistati a
festival del cinema o nel camerino del teatro dove recitavano, gli scrittori a
premiazioni. Parlano di presente, di futuro, di passato. Ma le domande, e
quindi le risposte, non seguono uno schema comune. Ogni intervista ha un suo
filo conduttore che mette in risalto le caratteristiche del personaggio. Più che la celebrità
emerge la persona, come giustamente dice il titolo. Sembra che si confidino con
l’intervistatore. Di Francesca Neri Tarallo dice che è stata una seduta psicanalitica. Di altri, come Philippe Noiret, una chiacchierata
tra amici, nella casa di campagna circondato dagli amati cavalli. L'autore non
ha l’aggressività del conduttore televisivo, pronto a rubare la confidenza
scoop, ma neanche la timidezza o la reverenza del neofita. Riesce a stabilire
un contatto alla pari, senza però
togliere niente del carisma. Gli intervistati parlano dei progetti di lavoro,
ma anche delle piccole cose che amano. Dell’impegno professionale, ma anche di
quello che vogliono per i loro affetti. Le interviste si leggono con la
curiosità e l’avidità di una storia di cui si vuole sapere il finale. Di
qualche personaggio capita di innamorarsi e di essere delusi nel doverlo
lasciare, perché finiscono le pagine dedicate. E magari sono quelli che si
vedevano come inarrivabili, quasi
respingenti, troppo superiori alla gente
comune. Alla fine del libro sembra di averli conosciuti, di aver parlato con
loro, di aver riso o essersi commossi insieme. E questo grazie a un
intervistatore che non prevarica, non toglie spazio, ma sceglie con attenzione
domande e argomenti. Non per rivelare la sua capacità giornalistica, ma per prendere il più possibile
dall’intervistato.
lunedì 30 gennaio 2017
giovedì 26 gennaio 2017
ACCENTI IMPREVEDIBILI
C’è un
legame fra una chiesa dal barocco scatenato e un anfiteatro romano o una
cattedrale romanica dalla linearità esemplare. Possono convivere una
distesa di ulivi millenari e un piccolo aranceto con sentieri e aiuole da
giardino all’italiana. C’è una masseria, e qui si capisce che siamo in Puglia,
dove tutto è rimasto come nel Settecento, eccetto i confort aggiornati, si è
accolti da un distinto signore che con humour nonchalant definisce ospiti, e non
clienti, quelli che risiedono nelle diciotto stanze della casa, si è serviti a
tavola da una deliziosa antropologa e si può imparare a fare le orecchiette .
E ce n’è un’altra, invece, con saloni
hollywoodiani che trasudano lusso e bianco accecante, dove i matrimoni con trecento persone sono all’ordine del giorno e in cucina c’è uno chef stellato che sembra uscito da un casting per modelli. Apparentemente non potrebbero convivere nello stesso territorio. Invece in Puglia ci sono, anche a distanze ravvicinate tra loro. Dietro ogni metro di strada, ogni edificio, addirittura una pianta, c’è una storia millenaria. Impossibile da recepire in pochi giorni. A meno di lasciarsi trasportare dall’effetto immediato, dalla prima sensazione entusiasmante, garantita quasi dappertutto. Dal palazzo all'insegna di una cioccolateria, da uno strano portone a una valigia piena di piante in un angolo di un vicolo, a una chiesa imponente. Tutto qui è forte, quasi emblematico. Uno stile diventa idea platonica di quello stile. Uno scorcio diventa lo scorcio assoluto. Non ci sono vie di mezzo. C’è il bianco abbagliante dei muri di Ostuni dove la cattedrale è sulla sommità del paese, dominante e irreale come in una fiaba. E c’è il barocco in pietra friabile di Lecce. Nella chiesa di S.Chiara il soffitto all’interno è in cartapesta. Il Duomo è una rivelazione, soprattutto la sera. E soltanto in minima parte è responsabile la luce che lo illumina. Sbucando sulla piazza ci si imbatte in un barocco lavoratissimo, ma è solo il fianco della chiesa, che nella facciata è rimasta romanica. A Ostuni nell’ex Monastero carmelitano , trasformato in Museo delle civiltà preclassiche della Murgia meridionale ci sono i calchi di due sepolture, di cui una donna vissuta 25 mila anni fa, rinvenuta nella vicina grotta di Agnano, con lo scheletro del feto che aveva in pancia. Nella cattedrale del XV secolo romanico-gotico il rosone ha 24 raggi che raccontano con poesia e rara bellezza le 24 ore del giorno. Di fronte, a sorpresa, una settecentesca replica del veneziano Ponte dei Sospiri collega due palazzi (v.foto). A Lecce, ogni giorno a mezzogiorno, un altoparlante sul palazzo del Comune trasmette le canzoni di Tito Schipa, tenore leccese degli anni Trenta. A fianco del cinquecentesco palazzo del Sedile c’è un enorme anfiteatro romano, dove delle incisioni raccontano che qui avvenivano combattimenti con gladiatori e fiere. A poche centinaia di metri, nelle vie della movida, c’è un piccolo museo con reperti archeologici, scoperti di recente da dei ragazzi che in quegli spazi volevano aprire un locale.
hollywoodiani che trasudano lusso e bianco accecante, dove i matrimoni con trecento persone sono all’ordine del giorno e in cucina c’è uno chef stellato che sembra uscito da un casting per modelli. Apparentemente non potrebbero convivere nello stesso territorio. Invece in Puglia ci sono, anche a distanze ravvicinate tra loro. Dietro ogni metro di strada, ogni edificio, addirittura una pianta, c’è una storia millenaria. Impossibile da recepire in pochi giorni. A meno di lasciarsi trasportare dall’effetto immediato, dalla prima sensazione entusiasmante, garantita quasi dappertutto. Dal palazzo all'insegna di una cioccolateria, da uno strano portone a una valigia piena di piante in un angolo di un vicolo, a una chiesa imponente. Tutto qui è forte, quasi emblematico. Uno stile diventa idea platonica di quello stile. Uno scorcio diventa lo scorcio assoluto. Non ci sono vie di mezzo. C’è il bianco abbagliante dei muri di Ostuni dove la cattedrale è sulla sommità del paese, dominante e irreale come in una fiaba. E c’è il barocco in pietra friabile di Lecce. Nella chiesa di S.Chiara il soffitto all’interno è in cartapesta. Il Duomo è una rivelazione, soprattutto la sera. E soltanto in minima parte è responsabile la luce che lo illumina. Sbucando sulla piazza ci si imbatte in un barocco lavoratissimo, ma è solo il fianco della chiesa, che nella facciata è rimasta romanica. A Ostuni nell’ex Monastero carmelitano , trasformato in Museo delle civiltà preclassiche della Murgia meridionale ci sono i calchi di due sepolture, di cui una donna vissuta 25 mila anni fa, rinvenuta nella vicina grotta di Agnano, con lo scheletro del feto che aveva in pancia. Nella cattedrale del XV secolo romanico-gotico il rosone ha 24 raggi che raccontano con poesia e rara bellezza le 24 ore del giorno. Di fronte, a sorpresa, una settecentesca replica del veneziano Ponte dei Sospiri collega due palazzi (v.foto). A Lecce, ogni giorno a mezzogiorno, un altoparlante sul palazzo del Comune trasmette le canzoni di Tito Schipa, tenore leccese degli anni Trenta. A fianco del cinquecentesco palazzo del Sedile c’è un enorme anfiteatro romano, dove delle incisioni raccontano che qui avvenivano combattimenti con gladiatori e fiere. A poche centinaia di metri, nelle vie della movida, c’è un piccolo museo con reperti archeologici, scoperti di recente da dei ragazzi che in quegli spazi volevano aprire un locale.
mercoledì 25 gennaio 2017
LA SOTTILE LINEA BIANCA
C’è un
filo bianco che percorre e unisce paesi, città, borghi pugliesi. E’ la pietra
calcare, lucente, essenziale ma calda, millenaria e contemporanea. Crea
palazzi, pavimenta strade, riveste muri, delimita, taglia, confronta, colora,
assembla. E’ bianca la cattedrale di Trani, definita regina
delle cattedrali di Puglia, come il sagrato a picco sul mare (foto in basso). O il severo
Castello Svevo, quasi di fronte. Nelle sue sale restituite, grazie a un restauro rispettoso, a
nuovo splendore ora si fanno congressi e fiere. Vi sono passati regnanti e
imperatori nel lontano medioevo, brigatisti e delinquenti, nelle celle
striminzite, in tempi più recenti. Nei
dintorni si vedono molte auto della Polizia, sono lì per la Corte d’appello, perché Trani resta la città forense per eccellenza. E’ bianco l’Hotel Maré, proprio sul porto dove le carrozze nel cortile ricordano che prima di essere un cinquestelle di prestigio è stato una settecentesca residenza nobiliare. Niente a che vedere con il bianco di Castel del Monte, corretto dai toni rosati della breccia corallina. Una costruzione possente, geometricamente perfetta, che domina la sconfinata pianura delle Murge (foto al centro). Se entrando non ci fosse una biglietteria con shopping di magneti e souvenir vari si avrebbe qualche difficoltà a sentirsi nel terzo millennio. Non è un caso che Matteo Garrone l’abbia scelto come location per La Pulce, uno degli episodi più fiabeschi del suo Racconto dei racconti. Il bianco delle case di Polignano abbaglia di giorno per il riflesso della luce, mentre di sera crea ombre intriganti. Una statua di Domenico Modugno, racconta che è nato qui. E’ in una delle terrazze sul mare, scelta dal regista di Beautiful per una scena madre. Sono bianche, ma con una luminosità diversa, le case dei paesi e delle città all’interno. Come Locorotondo con le commerse, così chiamano le case con i tetti in discesa, per sfruttare la raccolta dell’acqua, e diversi elementi barocchi (foto in alto). Animate al mattino le vie si svuotano completamente, diventando surreali come una scenografia teatrale, nella controra, quando gli abitanti si ritirano nelle abitazioni. Così nella vicina Cisternino, caratterizzata da logge e terrazzini con palme, che ribadisce il suo essere città di terra con i fornelli, macellerie che si trasformano in ristoranti, dove si gusta la carne alla brace. Non c’è controra, ma c’è un’animazione un po’forzata ad Alberobello. La gente ha abbandonato i trulli troppo scomodi per le esigenze attuali. Risistemati e ristrutturati questi sono diventati negozi di souvenir e oggetti di artigianato, soprattutto tessile. Qualche abitante ha aperto un locale, altri mostrano ai turisti l’interno dei trulli, dove non risiedono più da anni. Con qualche eccezione, come la signora Maria che vive e lavora in una serie di trulli uniti tra loro. Ha creato e venduto più di 9 mila fischietti ed è famosa soprattutto in Giappone, dove va spesso, accolta come una star.
dintorni si vedono molte auto della Polizia, sono lì per la Corte d’appello, perché Trani resta la città forense per eccellenza. E’ bianco l’Hotel Maré, proprio sul porto dove le carrozze nel cortile ricordano che prima di essere un cinquestelle di prestigio è stato una settecentesca residenza nobiliare. Niente a che vedere con il bianco di Castel del Monte, corretto dai toni rosati della breccia corallina. Una costruzione possente, geometricamente perfetta, che domina la sconfinata pianura delle Murge (foto al centro). Se entrando non ci fosse una biglietteria con shopping di magneti e souvenir vari si avrebbe qualche difficoltà a sentirsi nel terzo millennio. Non è un caso che Matteo Garrone l’abbia scelto come location per La Pulce, uno degli episodi più fiabeschi del suo Racconto dei racconti. Il bianco delle case di Polignano abbaglia di giorno per il riflesso della luce, mentre di sera crea ombre intriganti. Una statua di Domenico Modugno, racconta che è nato qui. E’ in una delle terrazze sul mare, scelta dal regista di Beautiful per una scena madre. Sono bianche, ma con una luminosità diversa, le case dei paesi e delle città all’interno. Come Locorotondo con le commerse, così chiamano le case con i tetti in discesa, per sfruttare la raccolta dell’acqua, e diversi elementi barocchi (foto in alto). Animate al mattino le vie si svuotano completamente, diventando surreali come una scenografia teatrale, nella controra, quando gli abitanti si ritirano nelle abitazioni. Così nella vicina Cisternino, caratterizzata da logge e terrazzini con palme, che ribadisce il suo essere città di terra con i fornelli, macellerie che si trasformano in ristoranti, dove si gusta la carne alla brace. Non c’è controra, ma c’è un’animazione un po’forzata ad Alberobello. La gente ha abbandonato i trulli troppo scomodi per le esigenze attuali. Risistemati e ristrutturati questi sono diventati negozi di souvenir e oggetti di artigianato, soprattutto tessile. Qualche abitante ha aperto un locale, altri mostrano ai turisti l’interno dei trulli, dove non risiedono più da anni. Con qualche eccezione, come la signora Maria che vive e lavora in una serie di trulli uniti tra loro. Ha creato e venduto più di 9 mila fischietti ed è famosa soprattutto in Giappone, dove va spesso, accolta come una star.
lunedì 23 gennaio 2017
BARINBICI
Nelle varie e variegate trovate connesse all’esasperazione del politically correct, all’animalismo ottuso, all’integralismo vegano c’è anche la condanna dei risciò trainati da umani, ritenuta perversa pratica schiavista. Se forse aveva un senso definirla così cinquanta anni fa in India, considerare alla stessa
stregua l’attuale formula è davvero ridicolo. E non perché le biciclette ora sono elettriche. Ma perché chi le guida sono giovani, ovviamente retribuiti, spesso studenti o appena laureati, raramente padri di famiglia, che non si limitano a pedalare, ma raccontano con competenza i luoghi in cui portano i passeggeri, in genere
impossibili da raggiungere
con altri mezzi che non siano i piedi o la bicicletta, appunto. Un’ottima messa in pratica, si può vedere nella Bari vecchia, difficile da girare se non si ha un eccellente senso di orientamento. Oltre a tutto una città che deve gran parte del suo fascino alla gente che la abita. E quello del velo-risciò è un buon modo per entrare nello spirito e non sentirsi turisti impacchettati. Comodamente seduti su carrozzelle coperte, con un piccolo plaid in inverno, si apprezza le piccole strade, si gode dei panni stesi ad asciugare, si spia nelle case altrui, con il consenso degli abitanti. Si viene a sapere che una strana Fontana delle facce, la più grande della città, anche se di minime proporzioni, si chiama così perché ha quattro profili, quattro come i rubinetti. Un modo per fare capire alla gente di non sprecare l’acqua, perché si era osservati. O ancora la colonna infame, una vera colonna portata dal porto a cui venivano legati nudi i ladri per essere fatti oggetto di insulti e lanci di oggetti, esclusi i contundenti, da parte della popolazione. E pare che servisse. Si scopre che il Teatro Margherita (foto a destra in basso) dei primi ‘900, chiuso ormai da più di trent’anni, ha le fondamenta in acqua. E non fu una scelta estetica, ma un escamotage per superare un’ordinanza che impediva di edificare teatri su terreni vicini al mitico Teatro Petruzzelli. Davide o Maria Luisa o Annarita, per esempio, informano che nella chiesa di S.Nicola, imponente costruzione romanica in pietra bianca di Bari, al pian terreno vengono celebrate le messe cattoliche mentre nei sotterranei le funzioni con rito ortodosso, data la provenienza turca del santo, le cui ossa furono portate lì da 62 marinai che le trafugarono in Turchia. Se non la segnalassero i ragazzi del risciò non si capirebbe che quella strana riga orizzontale sulla facciata, accanto alla porta a un metro da terra, serviva per misurare le stoffe, nel mercato di tessuti che si teneva in quella piazza. E’ piacevole farsi portare dal velo service nell’Antica Salumeria per assaggiare il prosciutto alla barese cioè a pezzettini, o nel Panificio Fiore (foto a destra in alto)per la famosa pizza barese, da accompagnare invariabilmente con birra Peroni. O andare a provare le orecchiette dalla signora Carmela, che le prepara in un attimo davanti a voi nella sua cucina sottana continuando a parlare in uno strettissimo dialetto con la nuora, il figlio, il marito, il fratello. Mentre su un televisore passano le immagini di Grease in barese, proposto da una Tv locale. www.veloservice.org
giovedì 19 gennaio 2017
IL DESERTO CHE ABBIAMO ATTRAVERSATO
E’ difficile che la trasposizione teatrale o
cinematografica di un libro soddisfi chi l’ ha letto e amato. Eppure per
registi e sceneggiatori continua a essere un’attrattiva oltre che una sfida.
L’eccessiva fedeltà al testo spinge a confronti che spesso fanno risaltare le
mancanze del film o della pièce. D’altra
parte la libera interpretazione mette in
luce incongruenze o minimizza passaggi
che il lettore ha apprezzato. Grande
curiosità e una forte dose di spirito critico sono quindi normali nello
spettatore. E così sarà stato per chi ha assistito ieri a Il deserto dei tartari tratto da quello che il suo autore, Dino
Buzzati, definì
“il libro della
mia vita” (al Teatro Menotti di Milano fino al
22 gennaio). La genialità dell’adattamento teatrale e della regia di Paolo
Valerio sta nell’aver trovato il modo di mettere sul palcoscenico una
visualizzazione del romanzo. Non ha
tentato di ricostruire l’interno della Fortezza Bastiani, dove si svolge quasi
interamente la storia, ma ha scelto di proiettare i quadri dello stesso
Buzzati. Davanti o meglio dentro
a questi si muovono e parlano i personaggi. E ogni tanto una frase del romanzo,
mentre viene detta, compare sullo schermo. Con il risultato di mantenere fermo
il contatto con il testo e rendere nello stesso tempo ancora più astratta
quella surreale situazione di attesa. La metafora della vita che trascorre
quasi senza che ce ne accorgiamo, così ben descritta da Buzzati, è
ulteriormente messa in evidenza dal fatto che Giovanni Drogo, il protagonista,
non è lo stesso attore che invecchia, ma sono diversi attori, che si confondono
con gli altri militari della Fortezza. Come se in questo luogo, nel tempo, ognuno
perdesse la sua identità. Nonostante lo spettacolo corra via in un’ora e mezza
senza alcun momento di staticità, si
percepisce in pieno quel senso dell’attesa di qualcosa che potrebbe non
arrivare mai. O quando arriva, almeno per Drogo, ormai vecchio, è troppo
tardi. Ottima la recitazione, buone le
musiche originali, d’effetto la voce di Marina La Placa. Prodotto dal Teatro
Stabile del Veneto-Teatro Nazionale, lo spettacolo che ha debuttato a marzo a
Verona, concluderà la tournée a
Trieste. Per i 110 anni dalla nascita di
Dino Buzzati il Teatro Menotti, in contemporanea alla rappresentazione, propone
Intorno a Buzzati. Incontri,libri e
teatro con studiosi, artisti, giornalisti(www.teatromenotti.org).