Stupisce vedere tanti gruppi di studenti alla prima di Anfitrione, in tournée in Italia e solo fino a stasera al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano. Della commedia di Plauto nella riscrittura di Teresa Ludovico sembra esserci solo la trama con i suoi equivoci. In realtà, per quanto lo spettacolo sia decisamente comico, ha una sua lettura esistenziale, che lo rende doppiamente coinvolgente. Dell’opera plautina viene messo in evidenza il dualismo tra la propria identità e il ruolo o la posizione che si ricopre nel sociale e di fronte agli altri. Accentuato nello spettacolo dal fatto che tutto non si svolge tra l'Olimpo e Tebe, ma nella Napoli dei camorristi.
Giove certo è un dio ma ha l’aspetto e il modo di agire del boss, proprio come Anfitrione, di cui prende le sembianze per poter far sua la moglie, la bella Alcmena. Che ha accettato di sposarlo nonostante gli abbia ucciso il padre, in uno dei tanti regolamenti di conti. In questa missione terrena Giove si fa accompagnare dal figlio Mercurio che prende le sembianze di Sosia, il guardaspalle di Anfitrione. In scena quindi sei attori Michele Cipriani, Irene Grasso, Demi Licata, Alessandro Lussiana, Michele Schiano di Cola e Giovanni Serratore che interpretano i sei personaggi e cioè il vero Anfitrione e Giove, il vero Sosia e Mercurio-Sosia, la bella Alcmena e un’amica-assistente-parrucchiera che cerca di sedurre con scarsi risultati il vero Sosia. Interessante e d’effetto la scenografia di Vincent Longuemare e il suo uso delle luci che con specchi in posizione strategica insiste e fa risaltare il concetto delle doppie identità. In sintonia l’accompagnamento musicale con i fiati del Maestro Francesco Ludovico. Il dialogo, quasi interamente in napoletano, è sostenuto e divertente, perfetto per tracciare ridicolizzandola l’immagine del camorrista con tutti i suoi dubbi, le sue debolezze, ma soprattutto la sua prosopopea e il suo becero maschilismo. Straordinari i movimenti di scena ottimamente eseguiti e all’altezza di un buon musical. Anche perché appropriati per dare quel tono di surreale-grottesco all’insieme.
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