Fa piacere, in un momento dove la
cultura è vista da alcuni come un inutile hobby per oziosi radical chic, che
mezz’ora prima dell’inizio di un reading ci
sia una coda di gente in attesa da
tempo, nonostante le temperature tropicali. Siamo a Milano al Piccolo
Teatro Grassi, all’appuntamento serale
della Milanesiana. Iniziata il 10 giugno continua fino al 22 luglio, non
solo a Milano ma in altre dodici località italiane. Ideata e diretta da Elisabetta
Sgarbi, tratta di letteratura, musica cinema, scienze, arte, filosofia, teatro e, in questa edizione importante perché al ventesimo traguardo, anche di diritto
ed economia. Il filo conduttore scelto è la speranza,
perfetto come più volte hanno commentato gli sponsor, che all’80% coprono le
spese dell’evento e i relatori. Ieri sera a leggere o far leggere brani tratti dai loro libri tre
scrittori
africani, che sul tema della lotta al potere cieco, dell’ingiustizia sociale e
della speranza, appunto, hanno impostato l’attività letteraria oltre che la loro
vita. Due sono premi Nobel, due dei tre presenti nella manifestazione. Wole Soyinka,
nigeriano classe 1934, lo è dal 1986 (in alto). Considerato uno dei più importanti scrittori
dell’africa sub-sahariana e il maggiore drammaturgo africano, è stato in
carcere per tre anni durante la guerra civile del suo Paese per aver chiesto
pubblicamente il Cessate il fuoco. La
sua esperienza in cella d’isolamento la racconta in L’uomo è morto. L’altro Nobel dal 2003 è John Coetzee, sudafricano,
classe 1940(al centro). Ma non è stato il suo unico riconoscimento. Sempre in difesa dei
diritti umani si è espresso contro il colonialismo e ha contribuito non poco a
portare la questione sudafricana in primo piano sulla scena mondiale. Il terzo
è Ngugi Wa Thiong’o, keniota classe 1938 (in basso). Subito dal primo scritto nel 1964 ha affrontato
la questione del razzismo e dei conflitti fra cristiani e non cristiani,
puntando sulla proprietà collettiva della terra come strumento fondamentale di
riscatto per i kenyoti. Deciso a proseguire in questo percorso ha rinnegato la fede
cristiana e la lingua inglese e ha iniziato a scrivere in giyuko e in swaili le
lingue del suo popolo. Imprigionato, ha scritto il suo primo romanzo in giyuko
su rotoli di carta igienica. Toccanti le letture di alcuni brani in inglese o,
nel suo caso in giyuko, con traduzione sullo schermo, nella cornice che cambia
colore. A seguire, la lettura di altri brani di ognuno, di Toni Servillo, coinvolgente
e trascinante come sempre. A chiudere la serata, introdotta dal critico Ranieri
Polese, Antonio Ballista ha eseguito al pianoforte parte di You
are the top , omaggio a Cole Porter, del compositore e pianista Alessandro
Lucchetti. Inaugurata un’ora prima, nel chiostro del teatro intitolato a Nina
Vinchi, la mostra fotografica che racconta vent’anni di Milanesiana e trenta di Teatri Uniti, laboratorio
permanente per la produzione e lo studio dell’arte scenica contemporanea, nato
a Napoli dall’unione di Falso Movimento, Teatro dei Mutamenti e Teatro Studio
di Caserta, di cui Servillo è direttore artistico.
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