Luxus. Lo
stupore della bellezza. S’intitola
così la mostra a Palazzo Reale (a sinistra), da oggi al 30 settembre, prodotta dal Comune di
Milano e dalla Fondazione Stefano Zecchi e curata dallo stesso Zecchi. Racconta
“come il lusso abbia accompagnato, nella bellezza, la cultura occidentale in un
costante e geniale intreccio con
quella orientale”. Un argomento non nuovo, ma
che continua ad attrarre. Difficile da affrontare per la minaccia sempre
incombente di cadere nello scontato, nel déjà vu, ma soprattutto di sforare. Ecco
nel caso di questa mostra lo sforamento non c’è stato, ma ci sarebbe voluto.
Buona la scelta degli oggetti esposti. Dai gioielli ai vasi, dalle scarpe ai
profumi, dai vini al vasellame, ai bicchieri, fino alla tavola imbandita con
candelabri a bracci e il mitico risotto di Gualtiero Marchesi dalla foglia d’oro, già
nei piatti. Ma anche ai materiali, come
i vetri, gli specchi piuttosto che i tessuti in fibra ottica degli abiti di
Federico Sangalli o ancora gli argenti. Non altrettanto convincente
l’allestimento. Ognuna delle dieci stanze dell’Appartamento del Principe ha una
sua identità, definita o spiegata da grandi libri con frasi celebri di
scrittori e maître à penser sul lusso e la bellezza. C’è
la stanza del Palazzo con i
simboli del potere, dal mantello dell’imperatore alla sedia dell’incoronazione (in basso).
C’è quella delle Vanità con le vestaglie del Vate. Ci sono le maschere e i
manichini con mantello che occhieggiano a Eyes
wide shut. Ci sono i costumi
teatrali che arrivano dalla Scala. E c’è
perfino la tigre imbalsamata, che viene dal Museo di Storia Naturale. La
cornice è prevaricante e spesso sposta l’attenzione dagli oggetti. Si perde il
filo del discorso. C’è troppa discrepanza fra la bellezza e la creatività dei contenuti e il contenitore. Non abbastanza
enfatizzato da arrivare all’onore del kitsch, né sufficientemente originale da
superare il pacchiano tout court.
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