Il problema della Fondazione
Prada, se si può definire tale, è quello di proporre, oltre alle permanenti,
varie esposizioni in contemporanea.
Con il risultato di un arricchimento della
mente e della vista certo, ma anche di farsi attrarre dalle opere più d’effetto.
A scapito di altre, di uguale interesse, ma che richiedono un’osservazione più
attenta. In questo momento, inaugurate tutte il 20 ottobre, ce ne sono ben quattro.
Le prime tre, fino a gennaio, curate da Germano Celant raccontano dell’arte a
Chicago dal dopoguerra alla metà degli anni ‘70. E in tutte e tre stupisce come
gli artisti abbiano precorso i tempi.
Difficile credere che le sculture di H.C.Westermann, (1922-1981), siano
state realizzate prima della pop art.
Quelle scatole di legno che diventano umani tormentati, piuttosto che quei
quadri dove si ironizza su scene d’amore o l’inquietante Suicide Tower (foto in alto). Sempre di quel periodo le opere di Leon Golub
(1922-2004). Un realistico e spietato quadro di guerre, violenza, razzismo
attraverso pittura su lino nello stile dell’Action Painting o fotografie
stampate su pellicola e montate su un binario di alluminio( al centro, a sinistra) . La terza mostra è una collettiva Famous artists from Chicago 1965-1975. Sono
nove e a ognuno di loro è dedicata una sala, oltre una sala comune con tappezzeria
a fiori old fashion (in alto a sinistra). Dai quadretti
tropicali in plexiglass e legno di Ed Flood alle composizioni con tratti quasi
infantili di Suellen Rocca, ai disegni pornografici di Jim Nutt. Guardando le date
nelle didascalie, dal ‘65 al ‘75, si può davvero pensare che siano gli anni di
nascita degli artisti, non quelli della
realizzazione. Sono lavori che rimandano al graffitismo, alla street art, ai cartoons, ai murales. Tre mostre, insomma, che richiederebbero
molto tempo, ma che devono fare il conto con l’invadenza di una quarta, nella
Cisterna, che ruba la scena. E’ il terzo episodio
di Slight Agitation, un progetto
di quattro commissioni site-specific, da vedere fino al 26 febbraio. Sono tre
enormi installazioni di Gelitin, un collettivo di artisti austriaci, che
ironizzano sui grandi monumenti della classicità, interpretati da un punto di
vista quotidiano-trash. C’è l’obelisco bianco fatto di blocchi di polistirolo a
metà fra una costruzione Inuit, un pene e un sigaro. C’è l’anfiteatro in legno,
a forma di torre, dove gli spettatori possono salire, sedersi sugli spalti di
moquette e fumare una sigaretta al centro. E poi c’è l’Arc de Triomphe: un uomo nudo con solo una canotta sgualcita e
dei calzini bucati, alto come un
elefante, e piegato ad arco, il cui fallo
è una fontana (in basso a sinistra).
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