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Ornella Bijoux |
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Unger |
C’è una differenza concettuale fra gioielli e
bijoux, che non riguarda il valore di mercato. I primi per
quanto possano risentire del periodo in
cui sono stati creati non lo raccontano, sono eterni, assoluti, parlano di un
popolo anche dopo secoli. I bijoux riflettono la contemporaneità, sono
l’espressione dei tempi, sono legati agli stili di vita, alle relazioni
sociali, alle mode.“Il prezioso tende all’eternità, il bijou è rivolto alla
cultura del presente” sintetizza Alba Cappellieri, curatrice della mostra
L’arte del bijou italiano dalla
Dolce Vita al Prêt-à-Porter, a Palazzo
Reale di Milano dal 19 febbraio al 2 marzo. Promossa e prodotta dal Comune con
Fiera di Milano, l'esposizione presenta 300 pezzi unici dagli anni ’50 al duemila. Come dice
il titolo, con una parte dedicata all’Italia del dopoguerra e del boom
economico, dalla prima sfilata organizzata a Firenze nel 1951 da Giovan Battista Giorgini, in cui
nasce ufficialmente la moda italiana, fino al 1968. E una seconda parte dove i bijoux sono accessori del vestire, legati alle tendenze del momento. Si passa
così dalla eleganza un po’ pomposa degli anni ’60 allo stile libero e
anticonvenzionale dei ’70, dal lusso gridato degli ’80 al quasi minimalismo dei
’90, fino alle sperimentazioni degli anni duemila. Accanto ai pezzi firmati dai
grandi stilisti da Armani a Ferrè, da Krizia a Missoni, da Valentino a
Versace, quelli delle cinque maison
milanesi (Bozart, Ornella Bijoux,Sharra Pagano, Ottavio Re, Unger) che, ognuna
con un suo linguaggio, hanno fatto la
storia del bijou. “Il perfetto incontro tra gesto creativo e attitudine
artigianale, la connessione fra l’intuizione del creatore e la capacità manuale
dell’artigiano. Cioè il made in Italy” ha commentato Filippo del Corno,
assessore alla cultura di Milano.
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