mercoledì 22 luglio 2015

LE FORME DEL COLORE



I confini fra arte e moda non esistono più. Una rassegna dedicata a uno stilista ormai è concepita con lo stesso spirito di quella per un pittore o uno scultore. Non ci aspettiamo più solo gli abiti, anche se incorniciati in scenografie spettacolari. La mostra Missoni. L’arte e il colore, dal 19 aprile all’8 novembre al MA GA di Gallarate, va oltre. Intanto c’è un’insistenza sull’artigianalità della maison che richiama il concetto delle arti applicate della Bauhaus e poi c’è un continuo dialogo-confronto fra pittura e tessuto. Tutto questo è ben sintetizzato  nella video installazione dell’artista turco Ali Kazma, all’inizio del percorso espositivo. Nei 
tre schermi si racconta il processo creativo, senza una cronologia precisa.  Una grande importanza è data alle fonti di ispirazione, che non sono vaghe, emozionali, personalistiche, ma raccontano di studio del colore, di scelte di contrasti e sfumature, piuttosto che di riproduzioni cromatiche più essenziali. Ed ecco opere di grandi maestri come Sonia Delaunay, Gino Severini, Kandinsky, Klee, Balla o di futuristi con i quali i legami sembrano essere anche più forti. Ne è un esempio il ritratto a Marinetti di Depero, in cui appare con una giacca patchwork di tessuti. Provengono da collezioni della famiglia Missoni, da musei e dallo stesso MA GA. Il concetto dell’artigianalità ritorna nella grande sala con enormi sacchi di matasse di lana, assolutamente da toccare, e tessuti a rete di vari colori che pendono dal soffitto a formare colonne. Quindi si arriva a Le forme della moda. Sono un centinaio di abiti, su manichini disposti in due piramidi, dagli inizi nel 1953 fino ai giorni nostri. La disposizione non è cronologica, ma segue un’idea cromatica, con il risultato di creare una vera e propria installazione. Interessanti le opere “dei contemporanei” che dialogano  con i tessuti delle collezioni, esposti in teche. Ce ne sono alcune di Ottavio Missoni, anche lui come Lucio Fontana o Roberto Crippa frequentatore del mitico bar Giamaica, fucina di creativi della Milano anni Cinquanta. L’ultima sala, forse la più scenografica, è quella con gli arazzi, realizzati in patchwork di tessuto a maglia.   

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