Magical Carpet Tour, in primo piano il tappeto-puzzle |
L’atteggiamento nei confronti dei
tappeti è estremo, non conosce mezzi termini. C’è chi li ama follemente e adora
riempirsene la casa, e chi li detesta e
non li vuole proprio. E della seconda categoria fanno parte molti architetti.
Certo il tappeto è un oggetto particolare.
Nato per essere funzionale ha perso questa
finalità. E’ diventato un elemento quasi esclusivamente decorativo e forse per
questo non è considerato tra gli architetti,
inguaribili integralisti. E’ anche vero che non c’è ricerca e creatività nel settore,
a differenza che per altri pezzi di arredo. Perfino nelle case più contemporanee il tappeto è raramente un oggetto di design. Quasi sempre è etnico, e molto spesso antico.
Quindi quando si viene a sapere di
una collezione di tappeti nuovi, si è stupiti, ovviamente incuriositi. E anche
un filo prevenuti. Così è stato per quelli del Magical Carpet Tour presentati nello
spazio Cohen Sedgh a Milano, da ieri fino al 2 febbraio (www.tappeticohendedgh.com). Disegnati da un architetto,
Luca Scacchetti, sono fatti realizzare in
Asia, e quindi con le migliori tecniche, da Cohen Sedgh che ne è anche
il distributore. L’impatto è notevole.
Sicuramente il colore ha una valenza, ma è secondaria rispetto ai disegni che
richiamano quelli classici (preghiere ecc.), rivisti in chiave architettonica e quasi
tridimensionale. Certo la loro collocazione non è facile, ma anche questo li
rende stimolanti . Interessante il
tappeto puzzle steso sul pavimento nel
mezzo della sala, a differenza degli altri dodici appesi alle pareti. E’
costituito da nove pezzi quadrati, di un metro e 50 di lato, con il disegno di
un paese visto dall’alto, in nove diversi modi. I quadrati possono essere re-assemblati
e ricomposti a volontà, affiancati,
messi per il lungo o addirittura isolati e in ambienti diversi. E questo
tappeto-puzzle, più degli altri, “smaschera” l’architetto.
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