mercoledì 24 aprile 2013

PERCHE' NON PARLI ?

 Vetrina Luxe Bohème  (Printemps Haussmann Parigi 2008)

Un uomo tacciato di manichino raramente è un seduttore. Al massimo gli si riconosce un’eleganza formale, ma fascino e sex appeal zero.  Per il manichino al femminile è diverso. Forse perché in francese la parola indica anche una creatura animata, in genere bella.  O forse perché c’è una letteratura, spesso deteriore,  su manichini donna capaci di far innamorare da dietro la vetrina. Ovviamente di notte nelle strade deserte.  I manichini fotografati nel volume “Mannequins. Bonaveri. A History of Creativity Fashion and Art” (Skira Editore),  non suscitano passioni, ma sono intriganti. Già dalle prime pagine si è presi dalla  curiosità e dalla voglia di continuare a sfogliare il libro, quasi per   sapere come va a finire la storia. Contribuiscono, oltre alla scelta delle foto, i testi ben coordinati  da Gianluca Bauzano, che è il curatore del volume.  A cominciare dai due primi scritti dei fratelli Bonaveri che, con il libro, hanno voluto festeggiare i sessant’anni dell’ attività di costruttori appunto di manichini, iniziata dal padre Romano nel ghetto ebraico di Ferrara. Niente nostalgie autoreferenziali un po’ scontate,  ma il racconto di una passione  diventata lavoro. L’importanza di saper creare qualcosa a figura umana     capace di “valorizzare l’ abito, esprimere il tema, senza tuttavia rubare la scena” come scrive Andrea Bonaveri .  Molte le testimonianze, anche gli aneddoti di stilisti, direttori creativi, couturier, curatori di esposizioni per i quali il manichino è stato fondamentale. Come per la mostra sulla moda in Italia nel 2011,  alla Venaria Reale di Torino, curata da Franca Sozzani, direttore di Vogue, che con i manichini ha ricostruito una sfilata con passerella e pubblico. Bellissime le immagini della mostra di Roberto Capucci al Teatro Farnese di Parma nel 1996. “Il manichino deve essere discreto. Direi metafisico, il volto un’idea, il naso appena accennato” scrive  Capucci.Molte le foto di presentazioni statiche o vetrine che spiegano il livello di creatività che si può raggiungere.   Ecco  manichini con articolazioni, per renderli più vivi   o  con le teste  sostituite da animali e piume,  come  nella mostra   di Louis Vuitton del 2012 al Musée des Arts Decoratifs a Parigi.  “Si tratta di forme  che chiedono di vivere su quel palcoscenico che è la vetrina” scrive  Antonio Marras. E a parole, alla presentazione del libro, aggiunge “Il manichino invita a entrare nel negozio, proprio  come le modelle sono il tramite per far vivere l’abito in sfilata”.

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