Si chiama Bice Lazzari. I linguaggi del suo tempo, la mostra che si apre il 16 ottobre nel settecentesco Palazzo Citterio di Milano. Un titolo perfetto per presentare le opere di un’artista che ha lavorato con tutti i linguaggi possibili, confrontandoli, affiancandoli, mixandoli. Nata nel 1900 e morta nel 1981, Lazzari ha attraversato quasi l’intero secolo “lasciando un segno profondo e inconfondibile”. Non a caso è stata l’unica donna inclusa nella mostra Kandinsky e l’avventura astratta alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia del 2003.
Conosciuta forse più all’estero che in Italia, delle oltre 110 sue opere esposte svariate provengono dalla Phillips Collection e dal National Museum Women di Washington e dal Salamon R.Guggenheim Museum di New York. Femminista, "di un femminismo non di prassi ma concreto, lontano dal clamore del femminismo di strada" come ha detto Renato Miracco, che ha curato magistralmente la retrospettiva. La mostra mette ben in evidenza i passaggi dell’artista dall’arte, nei suoi vari linguaggi, fino all’arte applicata. Dalla tempera alla matita su tempera, fino al mosaico (foto al centro), moltissime le tecniche usate. Lo studio della materia è stato per Lazzari importantissimo e molti quadri lo rivelano. Per mantenersi ha lavorato come artigiana disegnando stoffe al telaio, vetri, decorazioni di ambienti, borse. Giò Ponti le affidò la realizzazione dei tessuti per i suoi arredamenti. Ha decorato gli interni del transatlantico Raffaello. Anche la musica entra nelle sue opere. Con studi al Conservatorio di Venezia, era ossessionata dal bianco e nero dei tasti del pianoforte. E anche le partiture fanno parte di una serie di quadri che chiama Colonna sonora. Ma non sono titoli, sono solo dei nomi per "catalogare" lavori che utilizzano la stessa tecnica. Interessante ed evidente, come ha fatto notare Miracco, la circolarità della sua arte. Nelle opere degli ultimi anni si ritrovano gli stessi spunti ed elementi di quelle degli anni Venti. In un autoritratto o in una natura morta si individuano linee di riferimento uguali a quelle della pittura astratta. Notevole la ricerca dei colori, perfino nelle opere degli ultimi tempi, realizzate quando la malattia l’aveva resa cieca. La mostra, che chiude il 7 gennaio, è al primo piano, da dove è possibile vedere Fiumana di Pelizza da Volpedo, studio del più noto Quarto Stato, in un confronto a sorpresa con un’opera astratta di Bice Lazzari negli stessi colori. Una piccola, ma ulteriore prova di un allestimento d’eccezione.
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