Si segue con attenzione e si ride spesso. Ma far ridere non è la finalità e l’obiettivo primario di L’opera da 4 soldi in prima nazionale al Teatro della Cooperativa di Milano da venerdì scorso al 1° dicembre. Anche se il titolo potrebbe creare qualche dubbio in proposito e il sottotitolo ovvero come avrei fatto l’Opera da 3 soldi se avessi avuto i soldi per fare l’Opera da 3 soldi, confermare solidamente il carattere farsesco. Scrive nelle note Massimiliano Loizzi, che dello spettacolo è autore oltre che regista e unico interprete: “Avrei potuto chiamarla L’Opera del migrante evocando quell’Opera del mendicante di John Gay (poeta e drammaturgo britannico del 1700), da cui il capolavoro di Brecht fu tratto... raccontare un universo brulicante di miseria e dolore, con la maschera dell’intrattenimento e della satira”.
Certo la partenza è quella e cioè una storia ambientata nei bassifondi di Londra con mendicanti, delinquenti, tra rapine, prostituzione, ma anche amori. In realtà è un provocatorio attacco alla società capitalista e al mondo borghese, responsabile delle miserie del proletariato. Proprio come nell’opera brechtiana Loizzi al parlare alterna il canto, spesso supportato da scritte che compaiono sullo schermo-sfondo del palcoscenico. In un mix di melodramma e commedia. Dove i personaggi citati, e che ogni tanto si sostituiscono a quelli voluti da Bertolt Brecht, sono i nostri politici, sbeffeggiati ma assolutamente aderenti ai veri personaggi per l’insulso frasario. Ogni tanto Loizzi coinvolge il pubblico, ma senza insistenza disturbante. Scherza con qualcuno perché sembra non capire, chiede l’applauso, cammina fra le poltrone. Le sue battute sono veloci alle volte anche troppo, tanto da non riuscire ad afferrarle prima della risata del pubblico. La satira c’è ed è forte, riuscita, ma senza mai arrivare alla presunzione di voler lanciare dei messaggi.
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