Ci sono pièces teatrali che, con una non buona recitazione, possono essere equivocate, addirittura acquisire un’identità contrastante. Lo Psicopompo in prima milanese al Teatro Menotti Filippo Perego è una di queste. Per la forma con cui il tema è trattato e per certi dialoghi potrebbe apparire quasi grottesca o per lo meno al limite del surreale. Confermata in qualche modo dal titolo, ridicolo di primo acchito, per un pubblico non preparato. E invece la superba recitazione di Milvia Marigliano e Dario De Luca, che è anche autore del testo e regista, gli imprimono tutta la possibile, realistica drammaticità.
Si parla di morte, o meglio di suicidio assistito. Non a caso lo psicopompo in molte mitologie e religioni è una figura a forma di uccello che accompagna le anime dei defunti nell’oltretomba. In scena una donna di una certa età e un uomo più giovane. Lei una professoressa in pensione che vuole morire, lui un infermiere specializzato in suicidi assistiti. Il loro non è un primo incontro, anzi fra di loro c’è un legame fortissimo, forse il più forte dei legami. Anche se non si vedono da molto tempo. C’è ostilità, sarcasmo acido da parte di lei, compassione, voglia di scusarsi e soprattutto di aiutare da parte di lui. Tutto intervallato da domande pratiche della donna e risposte altrettanto di servizio dell’uomo, che vanno dalla scelta dei metodi, al dolore, ai costi, fino alle musiche per accompagnare il momento. La tensione tra i due si fa più forte, anche se sempre smussata dalla tenerezza, quando lei rivela di non essere una malata terminale, ma di voler porre fine alla sua vita perché è diventata una donna aspra. Riappaiono i ricordi di un passato marcato da una grande tragedia. Emergono i fraintendimenti, le incomprensioni, da cui si capisce perché l’uomo ha scelto quel mestiere. Finale non a sorpresa, quasi un happy end nel contesto della tragedia. Spettacolo da vedere, che fa riflettere con intelligenza sul tema dell’eutanasia e degli affetti.
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