Il titolo è rimasto lo stesso del romanzo Accabadora, di Michela Murgia premio Campiello 2010, uno dei libri più letti in Italia negli ultimi anni. Ma lo spettacolo sul palcoscenico del Teatro Menotti Filippo Perego di Milano, ieri sera, non è la rivisitazione teatrale del romanzo. La drammaturgia di Carlotta Corradi, su richiesta della regista Veronica Cruciani, ne racconta in un monologo solo una parte. Con un punto di vista diverso, quello di Maria data a sei anni in affido a una donna, una sarta, appunto la "accabadora" di Soreni, immaginario paese della Sardegna.
Una donna che Maria ama come una madre vera e ammira, ma che ha lasciato, fuggendo nel continente, dopo aver scoperto che è una "accabadora", aiuta cioè le persone in fin di vita a morire. Parola con la stessa radice dello spagnolo "acabar", uccidere. In una raffinata scenografia dove compaiono solo gli scheletri di mobili, Maria, la straordinaria Anna Della Rosa, dialoga senza risposta con la Tzia Accabadora, in fin di vita. All’inizio rivede episodi della sua infanzia, l’innamoramento, da bambina timida, dello sposo al matrimonio della sorella brutta, i giochi, le scoperte. Poi a poco a poco le viene in mente la verità taciuta, quindi il tradimento. La sua voce cambia, diventa accusatoria, ma mai diretta, perché sempre filtrata dall’affetto lontano, da una tenerezza che continua a vivere in lei soprattutto adesso di fronte a una donna morente. Non è facile da seguire Accabadora, anche se si ha letto il romanzo. Non va cercata una trama, ma un surreale filo conduttore che parla di sentimenti, ricordi, passioni, dolore. Scandito da una diversa intonazione della voce di Della Rosa, da quel suo alternare all’italiano, parole e anche frasi in dialetto sardo o solo con l’accento sardo, ma contenuto, senza mai diventare eccessivo o rasentare la comicità.
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