Si è dubbiosi sull’attualizzazione o meglio sull’ambientazione di un testo del teatro classico negli anni in corso. Il rischio di sfiorare anche impercettibilmente la parodia c’è ed è forte. Non lo corre Il giardino dei ciliegi, l’ultimo capolavoro di Anton Cechov al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano fino al 26 febbraio.
Riproposto con l’adattamento e la regia di Rosario Lisma, che ne è anche interprete, si attiene al testo, rivisitandolo con frasi, canzoni, espressioni, movimenti del momento. La panoramica dei sentimenti è quanto mai sentita e vera e ci si rende conto che non ha tempo. In contrasto con la situazione che, per quanto l’ambientazione sia rimodernata, è fortemente legata al periodo storico. Lopachin (Rosario Lisma), il figlio dei contadini escluso dalla stanza dei bambini affacciata sul giardino dei ciliegi, è un personaggio difficile da collocare nell’epoca attuale. Diventato ricco uomo d’affari se ne comprende la voglia di riscatto, ma non la generosità di fronte ai falliti. Come sono fuori posto Ljubov (Milvia Marigliano) e il fratello Gaev (Giovanni Franzoni) attaccati ai ricordi di un’infanzia felice tra gli agi e poco calati nella realtà. Ma sono perfetti, invece, per raccontare sentimenti che esisteranno sempre. Dall’amore al rimpianto della giovinezza, al piacere del ricordo. Come spiega Lisma, la difesa del giardino dall’abbattimento è la difesa della poesia e dei ricordi, di tutto ciò che è immateriale dagli attacchi di chi pensa alla materia. Ottima e convincente la recitazione, compresa la voce di Roberto Herlitzka, forse il vecchio maggiordomo. Intrigante la scenografia con lampadari a gocce partecipi della tensione della casa.
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