Quando un testo che affronta tematiche importanti ma di quotidiana rilevanza riesce a diventare uno spettacolo che, non solo si segue con interesse, ma fa ridere, diverte, e può diventare oggetto di riflessione, vuole dire che dietro c’è qualcosa di più che una buona dose di spirito di osservazione. E’ il caso di Da quando ho famiglia sono single, da ieri al 27 giugno al Teatro della Cooperativa di Milano. Sul palcoscenico, da solo, Claudio Batta autore del testo con Ricardo Piferi, che ha curato la regia. Si parla di rapporti tra genitori o meglio tra padre e figli, argomento sviscerato in tutti i possibili modi, e ricettore di tutte le più svariate banalità. Dall’impossibilità di essere severi agli aiuti dello psicanalista, dal confronto fra l’educazione severe ricevuta a quella libertaria concessa ai figli. Nelle varie scene che compongono lo spettacolo ci sono tutte e molte altre in più, ma in nessuna si percepisce il già visto, la ripetizione, il commento facile.
Il modo di porre l’argomento, per quanto rifugga dagli effetti facili, riesce sempre a incuriosire, rinnovarsi, a diventare qualcosa di mai sentito. Ottimi i ritratti di personaggi,dall’analista radical chic e perentorio alla mamma virago della coppia lesbo. Dal papà apprensivo di trentenne bamboccione e di sedicenne senza orari al figlio costretto a fare il padre di genitori figli dei fiori, dallo spinello facile. Mai un momento di incertezza, il ritmo è incalzante, la risata esplode continua e irrefrenabile. E tutto senza mai una volgarità gratuita o un’insistenza su terreni facili per ruffianarsi l’applauso. Ne viene fuori un’analisi ben fatta, con un rigore quasi scientifico senza averne la pesantezza, dove alla fine si arriva a provare una sorte di comprensione empatica per questa figura di genitore. Che sarà sempre più irrisolta, più si cercherà di studiarla e migliorarla.
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